15/04/2002

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Su tuttoLibritempoLibero (supplemento a La Stampa, 13 aprile 2002), Federico Vercellone, recensendo il saggio di Franca D’Agostini: Le disavventure della verità (Einaudi 2002), a un certo punto così scrive: “La ricerca della verità viene paragonata da Sesto Empirico a una stanza buia e piena d’oro. Il problema sarà allora quello di capire come si faccia luce per accostarsi adeguatamente all’oro contenuto nella stanza. L’indagine sulla verità riguarderà allora la funzione della luce e non quella dell’oro, il cui valore viene dato per assodato”. Il che significa – spiega poi – che importerebbe parlare, non tanto della verità (“di per sé autorevole”), quanto piuttosto “dei modi per acquisirla”.
Si dà dunque per scontato che la verità sia un oggetto e, in quanto tale, altro dal pensiero che l’acquisisce.
Cosa dire però se la stessa – per rimanere nei termini dell’esempio – fosse rappresentata dalla luce (illuminante), e non dall’oro (illuminato)? Cosa dire, cioè, se la verità fosse un soggetto, e non un oggetto? Non dice appunto il Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita”?
Una cosa comunque è certa: se fosse un soggetto, la si potrebbe essere, ma non avere. Per esserla, bisognerebbe però divenirla.
Ma quanti riescono oggi a concepire un divenire che sia nell’essere, o un divenire che sia l’essere? A comprendere, ovvero, il perché nel prologo del Vangelo di Giovanni si dica appunto: “In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio”?
Attualmente, in effetti, riusciamo a concepire il divenire sul piano dell’avere (della quantità), ma non su quello dell’essere (della qualità).
“Si diventa – ha detto Nietzsche – quel che si è”. Ciascuno è chiamato dunque a divenire l’uomo che è (in potenza).
Molti, ad esempio, nostante abbiano già acquisito lauree o diplomi, sognano di dover ancora sostenere l'”esame di maturità”. Ma pochi riescono a comprendere che questo esame ha a che fare con l’essere (con la maturità “umana” o dell’anima), e non con l’avere (con i titoli o i beni posseduti).
La volontà di avere (o della “roba”) dipende dunque dal fatto che, sull’avere stesso, viene inconsciamente a riversarsi la volontà di essere.
L’ego, in definitiva, non è che un Io-bambino impegnato, non a crescere per diventare ciò che è (un “Uomo”), bensì ad accrescere il numero dei suoi giocattoli per meglio competere (“bestialmente” o “darwinianamente”) con i coetanei.

Di Lucio Russo
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