10/03/2007

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Ne L’individuo libertario (15 febbraio 2002), abbiamo sostenuto:
1) che quella che gli studiosi della morale chiamano la “grande divisione” tra l’Essere e il Dover-essere si determina soltanto quando, per rendere possibile la nascita della moderna autocoscienza, il pensare (la forma) si scinde dal volere (dalla forza);
2) che il Dover-essere caratterizza innanzitutto la necessità della natura: non, ovviamente, come un (etico) dover-essere quel che non si è, bensì come un (deterministico) non poter-essere che quel che si è (i minerali, le piante e gli animali non possono essere che quello che sono);
3) che la convinzione degli studiosi della morale, e in specie di Kant, che il regno del Dover-essere è il regno umano, e non quello della natura, discende da un’inadeguata comprensione della realtà dell’Essere originario o, per essere più precisi, dal non-essere della coscienza intellettuale o riflessa dell’Essere.
Per poter pervenire a una chiara e viva esperienza della solare pienezza dell’Essere o dello Spirito (dell’Io o dell’Essere autocosciente quale unità o sintesi, per così dire, di logos, pathos ed eros), è necessario infatti comprendere – come consente di fare la scienza dello spirito – in qual modo si sia venuta a instaurare, nell’essere umano, e solo in lui, la “grande divisione” tra la “ragion pura” (noetica) e la “ragion pratica” (etica) o, altrimenti detto, tra la spenta e vuota forma dell’essere (dell’ordinario e cosciente pensiero astratto) e la viva e cieca forza del dover-essere (dell’ordinaria e incosciente volontà istintiva).
Ci ha fatto pertanto piacere, leggendo l’Autobiografia spirituale del filosofo russo Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1874-1948), imbatterci nelle seguenti parole: “L’essere è razionale e può essere espresso attraverso un concetto solo perché è stato precedentemente razionalizzato ed è esso stesso un concetto. Secondo la terminologia che in seguito ebbi occasione di perfezionare, l’essere con il quale hanno a che fare la gnoseologia e l’ontologia razionali è già un prodotto del pensiero. In un primo tempo la formulazione era stata questa: c’è un essere originario, che precede il processo di razionalizzazione, ed è appunto questo l’essere autentico che non può essere conosciuto attraverso un concetto” (Jaca Book, Milano 2006, pp. 98-99): ossia per mezzo – diciamo noi – di un concetto astratto (nominalistico) o di una ordinaria rappresentazione.
Ci ha fatto altresì piacere, essendoci spinti a parlare – come sanno i nostri lettori – di una “immanenza della trascendenza” (La fede dei laici, 20 gennaio 2005), quanto scrive qui ancora Berdjaev: “La mia esperienza spirituale è immanente, non conosce alcuna oggettivazione, alcuna alienazione. Dio è più intimo in me di me stesso (sant’Agostino). Ma la mia esperienza spirituale consiste nella trascendenza verso il trascendente. Dio è trascendente; ma esiste un’esperienza immanente, non alienata né oggettivata, della trascendenza di Dio” (ibid., p. 346).
Sarà bene forse ricordare, a questo proposito, che sempre Berdjaev, ne La concezione di Dostojevskij (Einaudi, Torino 1977) ha affermato che, per il grande scrittore russo, da lui definito uno “gnostico”, la cui “opera è conoscenza, scienza dello spirito” (p. 17), “l’uomo non è un essere “psicologico” ma anche spirituale. Lo spirito non è fuori dell’uomo, ma dentro di lui. Dostojevskij afferma l’infinita libertà dell’esperienza spirituale, toglie tutti i limiti, fa piazza pulita di tutti gli ostacoli. Gli spazi dello spirito si rivelano in un interiore moto immanente. Nell’uomo e attraverso l’uomo si raggiunge Dio” (p. 36).

Di Lucio Russo
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