22/11/2009

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Nel suo Hai vinto, Galileo! (Mondadori, Milano 2009), Piergiorgio Odifreddi – come recita il risvolto di copertina – “ripercorre la strada che ha portato alla vittoria dell’eliocentrismo: l’antica formulazione proposta da Aristarco e quella moderna riproposta da Copernico, la coraggiosa e tragica protodifesa intrapresa da Giordano Bruno, il sistematico sviluppo compiuto da Keplero e Galileo, le feroci persecuzioni intentate dal cardinale Bellarmino e da papa Urbano VIII, la definitiva sistemazione raggiunta da Isaac Newton, la verifica sperimentale ottenuta con il pendolo di Foucault, e la subdola riscrittura della storia attentata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”.
E’ vero: nello scontro tra lo spirito scientifico, rappresentato da Galileo, e lo spirito dogmatico, rappresentato dalla Chiesa cattolica, ha vinto indubbiamente il primo.
Non la si racconta tutta, però, se si tace che quanto non è riuscita a fare ieri la metafisica spiritualistica e religiosa, è riuscita a farlo oggi la metafisica materialistica e scientistica, di cui proprio Odifreddi è un illustre e noto rappresentante.
Afferma, ad esempio: “Se non si vogliono stravolgere i significati delle parole, i vari aspetti della realtà sono e rimangono di pertinenza della fisica, e non della metafisica; la quale, religione compresa, è invece “un ramo della letteratura fantastica”, secondo una felice espressione di Borges, nel senso che si interessa appunto di ciò che sta oltre la realtà, e non può dunque pretendere di avere alcunché da dire al riguardo” (pp. 122/123).
Ebbene, non sarebbe stato più “galileiano” affermare, non che “i vari aspetti della realtà sono e rimangono di pertinenza della fisica”, ma che i vari aspetti della realtà fisica sono e rimangono di pertinenza della scienza fisica, così come “i vari aspetti” di ciò che “sta oltre” la realtà sensibile, ossia quelli della realtà animica e della realtà spirituale, “sono e rimangono di pertinenza”, non della “metafisica”, bensì, rispettivamente, della scienza dell’anima e della scienza dello spirito (e dei loro metodi)? O è forse più scientifico, operando una reductio ad unum di carattere materialistico, “fare d’ogni erba un fascio” e dare così vita, per quel che riguarda la realtà extrasensibile, a un nuovo “ramo della letteratura fantastica” (in barba, a quel Galileo che voleva scoprire, nella materia, le “impronte del Creatore” e che parlava, riguardo al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, di una “ispirazione divina”)?
Afferma ancora Odifreddi che Copernico, Bruno, Keplero e Galileo sono stati “gli acuti alfieri di un futuristico pensiero, che si è rivelato come la sola impresa intellettuale in grado di fornire risposte sensate e coerenti alle domande sull’universo, la natura, la vita e l’uomo” (p. 123).
Ma Copernico, Bruno, Keplero e Galileo sono stati “gli acuti alfieri di un futuristico pensiero” (cfr. Sergej Prokofieff e La filosofia della libertà, 18 ottobre 2007) che è stato tradito e rinnegato, nel momento stesso in cui è caduto nelle grinfie della metafisica materialistica e scientistica (stando alla quale, peraltro, tali “acuti alfieri” non sarebbero stati, in realtà, che delle “scimmie giocherellone” – cfr. Il Gatto e la Volpe, 18 luglio 2009).
Le attuali risposte date dalla scienza materialistica “alle domande sull’universo, la natura, la vita e l’uomo” non sono perciò “sensate e coerenti”, ma “pietre” e “serpi” date a chi avrebbe invece bisogno di “pani” e di ”pesci”. “Chi tra di voi – si legge appunto in Matteo (7,9-10) – al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe?”.
Per convincersene, sarebbe sufficiente osservare (con amorevolezza) le sempre più angosciose e disperate reazioni che tali risposte suscitano nelle anime umane, e in specie in quelle dei giovani (cfr. Noterella del 2 marzo 2005). Come abbiamo più volte ricordato, è infatti dagli errori del pensiero che nascono gli orrori della volontà.
Come non ricordare dunque quegli uomini che – a detta di Paolo – “si sono perduti nelle loro vane elucubrazioni”, e che “mentre si vantavano di essere sapienti, diventarono stolti” (Rm1 1, 21-22), o quelli – come afferma Meister Eckhart – che accecano “gli altri affinché rimanga nascosta la loro cecità” (Dell’uomo nobile – Adelphi, Milano 1999, p. 204)?

Di Lucio Russo
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