27/04/2012

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Ci siamo occupati, in passato, del teologo Vito Mancuso (cfr. Hegel teologo, 20 settembre 2002; Il dolore innocente, 20 settembre 2002; Sulla reincarnazione, 5 ottobre 2002; Amore e verità, 6 marzo 2005; La vita autentica, 11 giugno 2010); abbiamo ora letto la sua più recente fatica, Obbedienza e libertà. Critica e rinnovamento della coscienza cristiana (Fazi, Roma 2012), e siamo giunti alla seguente conclusione: è senz’altro positivo avvertire l’urgenza di un tale rinnovamento, ma è senz’altro negativo illudersi di poterlo realizzare senza avere il coraggio di sviluppare (per amore dell’uomo e del Cristo) un nuovo e più profondo grado di coscienza.
Quale rinnovamento della coscienza cristiana ci si può infatti attendere da chi afferma (per non dire altro) che “la persona spirituale è tale perché lavora sulla propria interiorità, su ciò che nel linguaggio tradizionale chiamiamo “anima”” (p. 144), rendendoci al contempo edotti che “il concetto di anima è sorto per rendere ragione del fenomeno fisico della vita” (p. 71), che “l’anima è spirito” (p. 68), che lo spirito è “essere-energia” (p. 79), che “in principio era la relazione” (p. 181), e dichiara: “Io non accetto né la prospettiva dualista né la prospettiva monista, e abbraccio piuttosto una visione duale, che potrei definire di evoluzione progressiva, una visione del mondo non statica ma dinamica, secondo la quale dalla materia-mater sorge ogni cosa anche lo spirito, ma lo spirito che sorge dalla materia-mater è un’altra cosa rispetto alla materia, è differente, è di più” (pp. 81-82).
Lo spirito (ossia, per Mancuso, l’”essere-energia” o l’”anima”) sarebbe dunque una ”proprietà emergente” (frutto – spiega appunto – di “una logica definibile come “emergentismo””) (p. 77). Si dicono “emergenti” – spiega infatti Boncinelli – quelle proprietà che “emergono solo a un certo livello di aggregazione, mentre sono assenti nei precedenti […] In questa luce, la vita è una proprietà emergente degli aggregati acquosi di certi tipi di macromolecole e la coscienza è una proprietà emergente degli aggregati di certi tipi di circuiti neuronali” (Il cervello, la mente e l’anima – Mondadori, Milano 1999, p. 21).
Nel nostro Il cervello, la mente e l’anima (12 dicembre 2001), avevamo però osservato: “Ma che cosa fanno i nuotatori prima di “emergere” dall’acqua? Vi si tuffano o vi si immergono. E perché, dunque, non potrebbero fare lo stesso le qualità o le essenze [le cosiddette “proprietà” ]? Per quale ragione, cioè, non potrebbero immergersi nel sensibile e, dopo averlo portato “”a un certo livello di aggregazione””, “”emergerne””? Chi crede che le proprietà o le qualità siano solo “”emergenti”” somiglia, di fatto, a uno sprovveduto spettatore che, non avendo avuto modo di vedere il luogo dal quale si è tuffato il nuotatore, si dica convinto che questi è direttamente “”emerso””, non si sa come, dall’acqua”.
Si pensi al seme di una pianta. Il seme che “emerge” oggi dalla pianta non è forse il seme dal quale è “emersa” ieri la pianta? Oppure si pensi ai primi versi dell’inno dantesco alla Vergine: “Vergine madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”: “figlia” dello spirito è quindi l’”umana natura” o, per dirla con Mancuso, la “materia-mater” (incosciente) e “figlio” dell’“umana natura” o della “materia-mater” è lo spirito (cosciente), giacché questo, il “fattore”, “non disdegnò di farsi sua fattura”.
Non si tratta dunque di rifiutare la “prospettiva dualista” o la “prospettiva monista” (né di accettare quella “duale”), quanto piuttosto di scegliere, sul piano dinamico ed evolutivo, tra il monismo della materia e il monismo dello spirito.
Si ha il primo quando si crede (al pari di Boncinelli e Mancuso) che lo spirito “emerga” solo a un certo livello di aggregazione, e che sia assente nei precedenti, mentre si ha il secondo quando si sa che lo spirito che sarà alla fine (dell’evoluzione dell’uomo e del mondo) è lo spirito, l’”Io sono” relazionante (non “la relazione”), che era “in principio” (“Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine” – Ap 22,13).

Di Lucio Russo
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