21/05/2014

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E’ nota questa affermazione di Einstein (tratta da Pensieri di un uomo curioso): “La cosa più incomprensibile dell’universo è che esso sia comprensibile”.
Ebbene, domandiamoci: se si fosse trattato di un libro, e non dell’universo, avrebbe detto: “La cosa più incomprensibile di un libro è che esso sia comprensibile”?
(Galilei: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo)…” [G.Galilei: Antologia – La Nuova Italia, Firenze 1970, p. XXXVIII].)
Sicuramente no. E perché? Perché, nel caso del libro, si riconosce che il pensare del lettore pensa o ripensa i pensieri che l’autore ha racchiuso nel suo scritto, mentre, nel caso dell’universo, non si riconosce che il pensare dello scienziato pensa o ripensa i pensieri che il Creatore ha racchiuso nelle sue creature.
(R.W.Emerson: “La natura è l’incarnazione di un pensiero, e ritorna a essere pensiero, così come il ghiaccio ridiventa acqua e gas. Il mondo è un precipitato della mente, e la sua volatile essenza tende sempre a rifluire nella condizione del pensiero libero” [cit. in G.Roggero: La storia recente come storia dell’anima – Estrella De Oriente, Caldonazzo (TN) 2014, p. 102]; Steiner: “Noi osserviamo il mondo sapendo che esso è il documento con cui Dio esprime la Sua divinità” [Il mistero della morte – Antroposofica, Milano 2014, vol. III, p. 49].)
Oggi s’insegna che l’universo è costituito non solo di materia e di energia, ma anche d’informazione; si sarebbe quindi a un passo dal riconoscere la realtà dei pensieri che sono nelle cose (“in re”). E’ assai improbabile, però, che questo passo venga fatto, perché il materialismo ostacola tale riconoscimento, parlando d’informazione (di bit), e non di pensiero (di concetti e di idee). Per questo abbiamo detto, nel nostro Del “Bit Bang” (16 aprile 2014), che l’informazione è la “foglia di fico” con la quale il materialismo, messo alle strette, nasconde la realtà spirituale del pensiero.
La realtà dei concetti e delle idee, già nascosta, ad esempio, dagli “archetipi in sé” di C.G. Jung, dagli “psiconi” di John Eccles, dagli “psicostati” di Edoardo Boncinelli e dai “qualia” di David Chalmers, vorrebbe essere dunque riconosciuta dall’uomo, ma il pensare ordinario non sa (o non vuole) riconoscerla perché ancora ignora (o teme) la sua stessa vivente e percepente realtà (cfr. Il pensare e i pensieri, 10 novembre 2013).
Morale della favola: “La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno riconosciuta” (Gv1,5).

Di Lucio Russo
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