29/08/2014

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Nella sua biografia di Rudolf Steiner, Heiner Ullrich scrive: “Nell’antroposofia di Rudolf Steiner e quindi anche nella scienza dell’uomo della pedagogia Waldorf o nella medicina intuitiva incontriamo oggi nuovamente l’antico e ben noto volto del mito. A differenza delle narrazioni mitiche originali, però, la visione del mondo antroposofica rappresenta una sintesi di eterogenee interpretazioni mitiche del mondo e, per così dire, un mito di secondo grado. Il paradosso dell’antroposofia è che essa esibisce un’ambizione scientifica, ma in realtà compie un ritorno al mito.” (cit. in D.Liberi: L’educazione scientifica nella pedagogia Waldorf in rapporto all’Antroposofia, 23 luglio 2014).
Simili idee possono venire solo a chi, avendo raccolto diligentemente informazioni sull’opera di Steiner, ma non avendola studiata, né tantomeno approfondita, ignora che cosa sia (Chi sia) la scienza, così come ignora, vuoi la differenza tra lo Spirito della scienza (ch’è uno) e i suoi metodi (che devono variare al variare dei suoi campi d’indagine), vuoi la differenza tra ciò ch’è “pre-scientifico”, in quanto frutto “mitico” dell’anima senziente o frutto “dottrinario” dell’anima razionale-affettiva, e ciò ch’è “scientifico”, in quanto frutto “conoscitivo” (esperienziale) della moderna anima cosciente.
Non c’è dunque da sperare che una persona del genere realizzi che l’insegnamento (teorico-pratico) dell’antroposofia non compie un “ritorno al mito”, bensì una “andata all’immaginazione”: che non compie, cioè, un regresso allo stato di sogno, bensì un progresso a un più alto stato di veglia (a un superiore grado di coscienza).
Il bello, poi, è che proprio le osservazioni di Ullrich, in confronto a quanto proposto in modo assolutamente nuovo (evolutivo) dall’antroposofia, si mostrano frutto di una ingenua e conservatrice (per non dire “codina”) adesione ai “miti” riduttivi, quantitativi o computazionali dell’odierna forma mentis (dell’odierno materialistico e scientistico “conscio collettivo”).
Fatto si è che chiunque non trovi il coraggio (in barba al noto adagio arimanico) di lasciare la “via vecchia per la nuova” potrà dire che cosa l’antroposofia non sia (non una scienza, un’arte o una religione, come quelle che conosce), a che cosa gli sembri assomigliare o a che cosa l’associ (i cattolici, ad esempio, l’associano all’antica “gnosi”): potrà dire, insomma, in qual modo se la rappresenti (“Dimmi come te la rappresenti, e ti dirò chi sei”), ma mai che cosa (Chi) realmente sia.
Si rifletta su queste parole di Aleksandr Herzen: “L’inerzia del pensiero appartiene alla religione e al dottrinarismo, i quali presuppongono una limitatezza ostinata, una chiusura assoluta di chi vive in disparte o in una cerchia ristretta [come quella, ad esempio, dell’attuale “comunità scientifica” nda] che rifiuta tutto quel che di nuovo reca la vita…o, per lo meno, non se ne cura. La verità reale deve sottostare all’influsso degli avvenimenti e rispecchiarli, pur rimanendo fedele a se stessa, altrimenti non sarebbe una verità viva, ma una verità eterna, che ha trovato rifugio dai turbamenti di questo mondo nel silenzio mortale di una stasi sacrosanta” (A.Herzen: Il passato e i pensieri – Einaudi-Gallimard, Torino 1996, p. 848).

Di Lucio Russo
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