Sulla reincarnazione

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Nella nota dedicata a Il dolore innocente di Vito Mancuso (20 settembre 2002), avevamo osservato come sia sufficiente consultare, in Teosofia, le pagine in cui Steiner parla delle ripetute vite terrene per rendersi conto che si tratta di ben altro che una mera e “moderna ritrascrizione” (come sostiene Mancuso) di antiche dottrine (per lo più orientali).
Per dimostralo, riprenderemo qui in breve l’argomento.
“Questa nuova forma cristiana d’insegnamento della reincarnazione, – scrive al riguardo Prokofieff – poté certo essere rivelata appieno all’umanità solo nel 1899, alla fine dell’era oscura denominata Kali Yuga. Doveva tuttavia essere preparata la sua annunciazione. Perciò l’idea della reincarnazione iniziò a emergere per così dire da sé gradualmente nell’Europa cristiana a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. G.E. Lessing nell’anno 1780 pubblicò la sua opera L’educazione del genere umano, in cui questa idea appare come punto centrale. E’ senz’altro fuori discussione che Lessing abbia mutuato esteriormente questa idea dall’Oriente, poiché le opere orientali su questo tema non erano ancora tradotte in alcuna lingua europea (la Bhagavad Gita per esempio fu tradotta per la prima volta in tedesco nel 1834)” (La nascita dell’esoterismo cristiano nel XX secolo e le forze occulte di opposizione – Widar, Venezia-Marghera 2002, p.73).
Ed ecco quel che scrive Lessing:
“§93) Così è, e non altrimenti! Proprio la strada su cui il genere umano giunge alla perfezione, ogni singolo uomo (chi prima e chi dopo) deve averla percorsa per suo conto. – “Deve averla percorsa nello spazio di un’unica vita? Può egli in un’unica vita esser stato un Ebreo sensuoso e un Cristiano spirituale? Può egli in un’unica vita aver superato entrambi?”
§94) Certamente no! – Ma perché non potrebbe essere che ogni singolo uomo sia esistito su questo mondo più di una volta?
§95) Forse è così risibile quest’ipotesi perché è la più antica, perché fu concepita dall’intelletto umano fin dall’inizio, prima che i sofismi della scuola lo sviassero e indebolissero?
§96) Perché non potrei anch’io aver già compiuto qui una volta, per il mio perfezionamento, tutti quei passi che possono portare agli uomini soltanto pene e ricompense terrene?
§97) E perché non, una volta successiva, tutti quei passi che le prospettive di una ricompensa eterna ci aiutano così potentemente a compiere?
§98) Perché non dovrei tornare a vivere tante volte, quante mi servono per raggiungere nuove conoscenze e nuove abilità? Riesco io a fare in una sola volta così tante cose che non valga più la pena ch’io ritorni di nuovo?
§99) E’ forse questo il motivo? O il motivo è invece ch’io ho dimenticato di esser già esistito? Buon per me che lo dimentico. Il ricordo dei miei precedenti stati mi consentirebbe soltanto di fare un cattivo uso del mio stato attuale. Ma ciò che per ora io devo dimenticare, l’ho forse dimenticato per sempre?
§100) O il motivo è, infine, che troppo tempo andrebbe così perduto per me? – Perduto? – Ma che cosa ho mai da perdere? Non è forse mia l’eternità intera?” (L’educazione del genere umano in Religione, storia e società – La libra, Messina 1973, pp.301-302).
Abbiamo riportato per esteso questi passi di Lessing perché ciascuno possa rendersi conto della fondatezza di queste ulteriori considerazioni di Prokofieff: “In Lessing il pensiero della reincarnazione era del tutto diverso da quello, diciamo, del buddismo tradizionale. In due conferenze, il 6 e il 14 ottobre 1911, Rudolf Steiner approfondì la principale differenza tra l’idea di reincarnazione in Occidente, nella sua prima apparizione in Lessing, e quella presente da secoli in Oriente. Questa differenza sta nel fatto che l’insegnamento orientale era un mezzo per la salvezza personale del singolo uomo, mentre in Lessing esso riguarda l’intera umanità. “L’impulso del Cristo rende tutto ciò che fa o può fare l’uomo, una questione dell’umanità” (O.O.131,14.10.1911 e la citazione successiva). Così Rudolf Steiner riassume la differenza tra l’idea occidentale e quella orientale della reincarnazione: “Quando si ripresentò l’idea della reincarnazione nel XVIII secolo, si presentò come pensiero cristiano”. La stessa cosa può essere detta di Goethe, Novalis e molti altri eminenti rappresentanti della cultura europea (vedi: Emil Bock, Wiederholte Erdenleben. Die Wiederverkorperungsidee in der deutschen Geistesgeschichte – Ripetute vite terrene. L’idea della reincarnazione nella storia spirituale tedesca-, Stuttgart 1967)” (op. cit., pp.73-74).
Per Lessing, le ripetute vite terrene sono dunque un mezzo per il graduale e progressivo “perfezionamento” del “genere umano”.
Orbene, chi avrà la pazienza di consultare la nota che abbiamo dedicato all’Hegel Teologo, sempre di Vito Mancuso (20 settembre 2002), potrà constatare che, quando si parla del “genere” umano, si parla in realtà del Cristo (del “Rappresentante – così lo chiama appunto Steiner – dell’umanità”). “Se il vero soggetto – avevamo infatti scritto (ci si perdoni l’autocitazione) – è un’essenza (o un “Io superiore”), qual è dunque il suo rapporto col Cristo? Non è difficile comprenderlo: se l’essenza di “ogni uomo” – come dice Steiner – è la “specie”, il Cristo è allora il “genere””. Ci è parso opportuno ricordarlo poiché ciò significa che il perfezionamento del “genere” umano coincide col perfezionamento, in ogni uomo, della coscienza e della realtà del Cristo (dell’Ecce homo!).
E’ importante dunque rilevare che l’idea della reincarnazione si ripresenta, nel XVIII secolo, come “pensiero cristiano”, ma è importante anche notare che si ripresenta in qualche modo connessa al moderno “evoluzionismo scientifico” (legato soprattutto ai nomi di Lamarck, Darwin ed Haeckel). E’ proprio in questa luce, ad esempio, che Steiner la illustra in Teosofia. Scrive infatti: “Come la specie, in senso fisico, risulta comprensibile solo se si considera condizionata dall’ereditarietà, così anche l’entità spirituale può venir compresa soltanto attraverso una analoga ereditarietà spirituale. Posseggo la mia figura umana fisica perché discendo da antenati umani. Donde traggo quello che si manifesta nella mia biografia? Come uomo fisico ripeto la figura dei miei antenati. Che cosa ripeto come uomo spirituale? (…) Come uomo fisico, discendo da altri uomini fisici, poiché ho la stessa figura dell’intera specie umana. Le qualità della specie, posso dunque, entro la specie, averle acquisite per eredità. Come essere spirituale invece, ho la mia propria figura, come ho la mia propria biografia. Questa figura, non posso quindi averla se non da me stesso. E poiché sono entrato nel mondo non con attitudini vaghe, ma precise, e il decorso della mia vita, quale si esprime nella mia biografia, è determinato da quelle attitudini, il mio lavoro su me stesso non può essere cominciato con la nascita. Come uomo spirituale, devo essere esistito prima della mia nascita. Nei miei antenati non sono certamente esistito, poiché, quali uomini spirituali, essi sono diversi da me. La mia biografia non è spiegabile con la loro. Come essere spirituale devo, anzi, ripeterne un altro la cui biografia spieghi la mia (…) Come dunque la figura umana fisica è sempre una ripetizione, una reincarnazione della specie, così l’uomo spirituale deve sempre essere una reincarnazione del medesimo uomo spirituale. Poiché, come uomo spirituale, ognuno costituisce, per l’appunto, una specie a sé” (Teosofia – Antroposofica, Milano 1957, pp 51-52).
Per quale ragione, dunque, la coscienza moderna ha acquisito (pur se in modo non unanime) l’idea dell’evoluzione, ma non quella della reincarnazione? E’ presto detto: perché si è voluto spiegare (materialisticamente), con l’ereditarietà, non solo quanto è fisico, ma anche quanto è animico-spirituale. E allorché ci si è accorti che, per comprendere l’individualità spirituale (quella che si esprime nella biografia), tale spiegazione non è soddisfacente (così come non lo è quella – sempre materialistica – che sostituisce all’ereditarietà il “condizionamento ambientale”) si è fatto allora ricorso all’idea di una “interazione” tra l’ereditarietà e l’ambiente (trascurando però di spiegare chi sia, quale “terzo”, a gestirla). In un caso, si è operata quindi una riduzione dell’uomo animico-spirituale all’uomo fisico, per poter così spiegare il primo con il secondo; nell’altro, si è invece annullata la realtà individuale, presentandola come una sorta di casuale e fugace spuma sollevata dall’incontro o dallo scontro – questo sì effettivo – della corrente ereditaria (endogena) con quella ambientale (esogena). Del resto, ove si riduca l’uomo ad animale (seppure “intelligente”), è naturale che si finisca poi con l’attribuire al primo quanto dovrebbe valere solo per il secondo. Osserva in proposito Steiner: “Vi sarà pur sempre chi (…) sosterrà, ad esempio, che i padroni dei serragli sanno benissimo come si differenzino individualmente singoli animali della medesima specie. Chi giudica così mostra però soltanto di non saper distinguere la differenza individuale dalla differenza che risulta conseguita unicamente mediante l’individualità” (Teosofia, pp.50-51). Ovvero, mostra soltanto di non saper distinguere (per così dire) l’individualità “a priori” (quella umana) dall’individualità “a posteriori” (quella animale) derivante – questa sì – dall’interazione tra l’ereditarietà e l’ambiente.
E’ chiaro, quindi, che se l’evoluzionismo non fosse stato ipotecato dal materialismo si sarebbe presto realizzato che come è necessaria l’idea dell’ereditarietà per spiegare l’uomo fisico, così è necessaria quella della reincarnazione per spiegare l’uomo animico-spirituale. In altri termini, se non ci si fosse ostinati a voler spiegare ogni cosa per mezzo dell’ereditarietà fisica (del condizionamento ambientale o dell’interazione tra i fattori biologici e quelli culturali), si sarebbe avvertito il bisogno di un’idea in grado di spiegare le caratteristiche animico-spirituali così come l’idea dell’ereditarietà spiega quelle fisiche. Per questo Steiner è arrivato ad affermare: “I risultati delle ricerche di Haeckel costituiscono, per così dire, il primo capitolo della scienza dello spirito” (Scienza naturale e antroposofia – Libri del Graal, Roma 1990, p.110)
Nel mondo animale (e anche per questo rimandiamo a quanto detto nella nota dedicata all’Hegel teologo) la specie (l’Io “collettivo” o “di gruppo”) trascende gli individui. Non sono perciò gli individui a reincarnarsi, ma la specie. Nel mondo umano, invece, l’individuo è la specie, ed è perciò l’individuo stesso a reincarnarsi (la ricerca scientifico-spirituale di Steiner ha messo in luce, ad esempio, che l'”individualità” di Novalis si era in precedenza incarnata nelle “personalità” di Raffaello, Giovanni Battista ed Elia – cfr. S.O.Prokofieff: Eterna individualità. La biografia karmica di Novalis – Widar, Venezia-Marghera 2001).
Una cosa è dunque l'”ego” o la “personalità storica” che “campa – come si suol dire – una volta sola”, altra l'”Io” o l'”individualità spirituale” che passa di vita terrena in vita terrena, al fine – come dice Lessing – di “perfezionarsi”, e quindi – secondo quanto abbiamo detto – di umanarsi o cristificarsi.
E’ ovvio, in ogni caso, che il necessario presupposto della reincarnazione è la morte. Per quanto ovvia, la cosa va comunque ricordata e sottolineata perché, come non c’è stata sempre la morte, e non sempre ci sarà, così non c’è stata sempre la reincarnazione, e non sempre ci sarà.
Scrive appunto Prokofieff: “Dal punto di vista del cristianesmo esoterico il periodo delle reincarnazioni delle anime umane, non è un processo che continua all’infinito, senza inizio e senza fine, come spesso si trova nella concezione orientale, ma ha un inizio e una fine, un alpha e un omega, che nella Bibbia sono rappresentati dalle due colonne di confine della storia universale, dal peccato originale e dal definitivo superamento della morte, descritti rispettivamente all’inizio della Genesi e al termine dell’Apocalisse di Giovanni, che conclude il Nuovo Testamento. Fra questi due poli sta il mistero del Golgota, che dà all’umanità la possibilità di trovare il passaggio dalla prima all’ultima condizione, vale a dire di superare alla fine la necessità della reincarnazione” (op.cit., p.69).
Non tutti gli uomini, però, hanno rimosso la consapevolezza della propria realtà spirituale, e delle ripetute vite terrene, per conquistarsi quella prima forma di autocoscienza rappresentata dall'”ego” (e basata sulla percezione sensibile).
Si è venuta così a creare una situazione nella quale i popoli che non hanno maturato tale livello di coscienza (quello stesso della “modernità”) sono rimasti “sottosviluppati” materialmente, mentre quelli che l’hanno maturato (cioè i popoli europei e occidentali) sono divenuti “sottosviluppati” spiritualmente, e oltretutto non possono, per rimediare a tale stato (sempreché non intendano, regredendo, pervertirsi) ibridare la propria cultura materialistica e individualistica con quella spiritualistica e collettivistica di coloro che sono rimasti al di qua dell'”ego” (o della “modernità”). Potrebbero – è vero – portarsi al di là dell'”ego” (sviluppando una moderna spiritualità, e per ciò stesso la capacità di accogliere e aiutare davvero i popoli “arretrati”), ma, per farlo, dovrebbero vincere le loro resistenze e cominciare, con l’aiuto della scienza dello spirito, a riportare alla luce, dalle tenebre dell’inconscio, quanto furono un tempo costretti (per la nascita e l’evoluzione appunto dell'”ego” e della “modernità”) a inabissarvi.
Prokofieff nota infatti (e giustamente) che, ove l’uomo europeo e occidentale non avesse smarrito o dimenticato la coscienza della realtà dello spirito e delle ripetute vite terrene, ben difficilmente avrebbe sviluppato l’amore per la libertà, per la terra e per ogni singola vita terrena (op.cit., p.72)
“Persistere nell’essere originario, – scrive del resto Steiner – voler conservare l’originaria e ingenua bontà divina attiva nell’uomo, volersi arrestare tremando davanti al pieno uso della libertà, in un mondo come l’attuale in cui tutto è predisposto per lo sviluppo della libertà umana, finisce per condurre l’uomo a Lucifero, il quale vorrebbe veder rinnegato il mondo attuale” (Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p.99).
La vera e tragica grandezza dell’Europa e dell’Occidente sta pertanto nel fatto di aver avuto – per così dire – il coraggio (“faustiano”), in nome della libertà (quale necessario presupposto dell’amore), di rendersi “peccatori” (ossia, esistenzialmente o fattualmente materialisti o “arimanici”), esponendosi così al rimprovero (a volte anche violento e crudele) di tutti coloro che, essendosi timidamente (infantilmente o “lucifericamente”) trattenuti al di qua dell'”ego” (e della “modernità”), si reputano “giusti”.
Dice infatti il Cristo: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi” (Lc 5,31).
Ma se è vero – come dice ancora il Cristo (allorché apprende della malattia di Lazzaro) che “questa non è una malattia da morirne, ma è per la gloria di Dio, affinché il Figlio di Dio ne sia glorificato” (Gv 11,4), è pur vero, allora, che l’Europa e l’Occidente potranno superare il loro attuale e miserevole stato (spirituale) soltanto se saranno capaci di “convertirsi”, e di accogliere perciò in modo vivo Colui che è venuto appunto per i “peccatori” o gli “ultimi”, e non per i “giusti” o i “primi” e, per Sua intercessione, quel “Consolatore” che – com’è detto nel Vangelo – Gli “renderà testimonianza” (Gv 15,26) e “guiderà verso tutta la verità, perché non parlerà da se stesso” (Gv 16,13).

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Di Francesco Giorgi
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