Nel suo Breve storia dell’anima (Mondadori, Milano 2003), Gianfranco Ravasi scrive: “Al fine del nostro discorso, ricorderemo che Steiner distingue nell’uomo una natura fisica, una “eterica”, una astrale e, infine, l’io. Nella morte si depone l’involucro fisico e, pochi giorni dopo, anche la natura eterica. A quel punto segue un periodo di purificazione nel mondo delle anime, al cui termine si depone anche la natura astrale. L’io rimasto cresce come un seme per un arco di tempo che oscilla tra i cinquecento e i mille anni. Riceve poi una nuova natura astrale ed eterica e si reincarna in un nuovo corpo fisico. Cristo, apparso nella quinta delle sette ere cosmiche, vive invece una particolare duplice “incarnazione”. Egli infatti si presenta in due Gesù, il Gesù-Salomone e il Gesù-Natan: essi si unificano al momento della disputa con i dottori della Legge nel tempio di Gerusalemme (Lc 2, 41-50). Sulla croce egli depone il corpo di questo Gesù unificato e diventa lo spirito della terra e della natura fisica ed eterica degli uomini, apparendo ai suoi discepoli come luce. Una cristologia, quindi, “reincarnazionista” piuttosto estrosa e bizzarra” (pp.57-58).
Ci duole per Ravasi, ma sono invece queste sue affermazioni a risultare piuttosto estrose e bizzarre. Secondo Steiner, infatti:
1. il Cristo non è “apparso nella quinta delle sette ere cosmiche”, bensì nel quarto “periodo di cultura” (quello “greco-latino”) della quinta “epoca di civiltà” dell’evoluzione terrestre (detta “post-atlantica”);
2. l’entità divina del Cristo si è fatta “carne” nel Gesù “unificato” al momento del battesimo nel Giordano, e non ha pertanto vissuto “una particolare duplice incarnazione” né si è presentata “in due Gesù”;
3. i due bambini Gesù non sono un “Gesù-Salomone” e un “Gesù-Natan” (cosa che potrebbe far pensare che Salomone e Natan fossero le loro rispettive precedenti incarnazioni), bensì sono un Gesù “salomonico”, discendente cioè dalla linea regale di Salomone (di cui parla Matteo), e un Gesù “natanico”, discendente cioè dalla linea sacerdotale di Natan (di cui parla Luca);
4. il Risorto non diventa lo spirito “della natura fisica ed eterica degli uomini”, bensì prende a inabitare quale “Io-sono” o Io universale (quale Io dell’intera umanità) l’Io individuale: vale a dire, il cuore di ogni essere umano (agendo da qui sul corpo fisico ed eterico);
5. è “reincarnazionista” la gesuologia, ma non la cristologia. Le ripetute vite terrene riguardano infatti i due bambini Gesù (o, più propriamente, solo quello del Vangelo di Matteo), ma non l’entità divina del Cristo (il cui farsi “uomo” è unico e irripetibile).
Ma c’è dell’altro. Riferendosi a coloro che cercano di “far concordare e coesistere la metempsicosi con il messaggio cristiano”, Ravasi afferma: “Il carattere irripetibile e “identitario” della persona umana e la compattezza intima ed esistenziale tra anima e corpo rendono difficilmente praticabile una concordanza tra le due concezioni” (p.58).
Ora, a parte il fatto che la dottrina della “metempsicosi” (secondo la quale l’anima umana potrebbe “trasmigrare” anche in un corpo non umano) è una versione decaduta o degenere di quella delle “ripetute vite terrene”, occorre rilevare che l’appello alla “compattezza intima ed esistenziale tra anima e corpo”, se è scontato da parte di un materialista (di un Remo Bodei, ad esempio, che teorizza l’“io corporeo”), stupisce invece da parte di un cattolico.
Infatti, delle due, l’una: o la “compattezza” è tale da non consentire all’anima di separarsi dal corpo, e allora alla morte di questo non sopravvive alcunché; o l’anima, a dispetto della “compattezza”, riesce a separarsi dal corpo e a sopravvivere alla sua morte, e allora si ripresenta tale e quale il problema: quest’anima separata dal corpo ritorna o no sulla terra?
10/12/2003
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