27/03/2004

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Il 25 marzo 2004, il Giornale, in un articolo titolato: La nuova Bibbia: comandamenti al futuro e Ave Maria senza “Ave”, ha dato notizia che, per decisione della Conferenza episcopale italiana (Cei), d’ora in poi, non dovremo più cominciare la nostra preghiera dicendo: “Ave Maria”, bensì: “Rallegrati, piena di grazia”.
La cosa ci ha lasciato perplessi, e, il giorno successivo, ne abbiamo così espresso le ragioni:
1) va in questo modo perduto il senso di quel rovesciamento di Eva in Ave che simboleggia, nel modo più icastico, il rinnovamento e la redenzione dell’anima.
Consideriamo, ad esempio, la differenza tra il vetro e lo specchio: il vetro è trasparente, e vi possiamo perciò guardare attraverso; lo specchio non lo è, e non possiamo perciò che rimirarvi noi stessi. La trasparenza del primo può essere quindi paragonata alla purezza di un’anima mediante la quale si rivela il mondo, l’Io o Dio, mentre la non trasparenza del secondo può essere paragonata all’impurità di una psiche mediante la quale si viene riportati costantemente a sé stessi: ovvero, all’ego o alla propria natura psicofisiologica.
“La trascendenza visibile – scrive appunto Scaligero – è il senso ultimo del pensiero umano, che infine conosca il proprio essere come essere del mondo, o come realtà simultaneamente esteriore ed interiore, vivente del suo nascere puro, in cui tutto, anche sviluppandosi, è di continuo in germe: come nel grembo della Vergine” (M.Scaligero: Iside-Sophia: la dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p.9).
Se le anime pure (i “puri di cuore”) vedranno dunque, mediante l’ Ave, la verità, le anime impure rimarranno invece prigioniere, mediante l’ Eva , delle proprie opinioni.
2) il nostro tempo (come abbiamo cercato in qualche modo di spiegare nella nota Del sentimento tragico della vita, del 13 novembre 2003) evoca più la Mater dolorosa che non la Mater gaudiosa.
E’ vero, infatti, che l’Arcangelo Gabriele esorta Maria a rallegrarsi perché il Signore è con Lei, perché è benedetta fra le donne e perché benedetto è il frutto del grembo suo, ma è anche vero che finché il fiat della Vergine non sarà pronunciato da ogni labbro umano e il Signore non sarà con ogni uomo, finché non sarà benedetta ogni anima e non sarà benedetto il suo frutto, non ci sarà granché da rallegrarsi.
“Debbo essere Maria – dice appunto Angelo Silesio – e partorire Iddio fuori di me stesso, se voglio che Egli mi conceda la beatitudine in eterno”; e aggiunge: “Seppure Cristo nasca mille volte a Betlemme ma non in te, tu resti perduto per l’eternità” (A.Silesio: Il viandante cherubico – Bocca, Milano 1942, pp.14 e 18).
Ed è a quest’ultimo pensiero che s’ispira la seguente piccola poesia di Rinaldo Küfferle (Antroposofia Rivista mensile di scienza dello spirito, anno XII, n°12, dicembre 1957, p.368):

E’ sceso in terra il sole nel buio dicembrino:
raggiando, in una greppia sorride un bel bambino.
La terra, non più sola, guarda al domani in festa:
per volontà d’amore, con lei quel bimbo resta.
E’ nato in una greppia il nostro Salvatore,
congiunto s’è alla terra per volontà d’amore.
Ma il cuor tuo stesso, o uomo, fa che una greppia sia,
se vuoi che in te rinasca il frutto di Maria!

Oggi, 27 marzo 2004, sempre il Giornale dà invece notizia che mons. Claudio Giuliodori (direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Cei) rende noto che “non è prevista alcuna modifica alla preghiera dell’Ave Maria, non essendo mai stata oggetto di esame da parte dei Vescovi, né si prevedono variazioni di tale testo in futuro”.
Quanto peggio per la stampa, tanto meglio per noi.

Di Lucio Russo
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