16/08/2004

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Riferendosi, in un suo editoriale, alle terapie cosiddette “non ufficiali” e, in particolare, ai farmaci omeopatici, Enrico Bellone scrive: “Il pluralismo scientifico è prezioso per garantire la libertà di ricerca, ma si basa su un codice di comportamento: tu sei libero di esporre ipotesi e teorie su qualche fenomeno naturale, ma hai il dovere di andare poi alla lavagna, esibire pubblicamente le prove a tua disposizione, e modificare o rigettare il tuo punto di vista se esso non regge al fuoco della critica. In altre parole: il pluralismo scientifico si regge su regole severe, e non ammette l’idea che tutte le opinioni siano, a priori, tra loro equivalenti” (Le Scienze, giugno 2004).
Anche la logica, tuttavia, “si regge su regole severe”: e queste vorrebbero che se si è liberi di ricercare e “di esporre ipotesi e teorie” vuol dire allora che tutte le opinioni sono a priori equivalenti, e ch’è semmai a posteriori (una volta passate al vaglio dell’esperienza) che cessano di esserlo.
Ma il punto è un altro. Perché a Bellone preme che si vada “alla lavagna”? Perché, essendo impossibile dimostrare (praticamente) che i farmaci omeopatici non agiscono, gli preme che si dimostri (teoricamente) che non possono agire o che è impossibile che agiscano (vedi “noterelle” del 19 ottobre e del 13 dicembre 2003).
Ci si può così esimere dall’“esibire pubblicamente le prove” (experimenta in corpore vili) della loro inefficacia, e di dover perciò “modificare o rigettare” un punto di vista (quello della medicina “ufficiale”) che non regge, più che “al fuoco della critica”, alla prova dei fatti.
Questo privilegio assegnato alla “lavagna”, precipuo luogo delle dimostrazioni matematiche, ci ha comunque ricordato le seguenti parole di Goethe: “Io onoro la matematica, come la sublime e la utilissima delle scienze; purché però la si impieghi a proposito; e non sopporto che si voglia abusarla in campi, che non le appartengono, e dove quella nobile scienza apparisce come un assurdo. Come se non esistesse altro che quello che si può dimostrare matematicamente! E’ come se uno potesse essere tanto pazzo da non credere all’amore della sua bella, soltanto perché essa non è in grado di dimostrarglielo matematicamente! Matematicamente potrà dimostrargli la sua dote, non il suo amore!” (G.P.Eckermann: Colloqui col Goethe – Laterza, Bari 1912, vol.1°, pp.192-193).

Di Lucio Russo
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