Uomo “in potenza” e uomo “in atto”

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Il Corriere della Sera (1) ha pubblicato un nuovo intervento di Emanuele Severino nel dibattito sulla fecondazione assistita (in vista del referendum del 12 e 13 giugno).
Pur essendocene già occupati nelle note Uomini e non-uomini (2) e Innatalità e immortalità (3), vogliamo accogliere l’invito di Severino a rispondere a una sua precisa domanda.
Scrive infatti: “La domanda che rivolgo alla Chiesa (e ad altri) è: se un uomo può nascere solo se prima di esso esiste un qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare un essere umano, e se sin dal momento della fecondazione l’embrione è un essere umano “in atto”, che cosa è e dove è mai il qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare uomo e senza di cui nessun uomo potrebbe nascere? Dov’è l’uomo in potenza? La Chiesa non può rispondere a questa domanda”.
Severino, sulla scia di Aristotele, considera dunque “potenza” la materia, in quanto capace di recepire la forma, ed “atto” la forma, in quanto capace di imprimersi o realizzarsi nella materia.
Per spiegare che cosa si debba intendere per un “qualcosa di unitario” avente “la capacità (o “potenza”) di diventare uomo”, così infatti esemplifica: “Una statua può essere prodotta solo se, prima di esserlo, esiste, poniamo, un blocco di marmo capace di diventare una statua (per opera di uno scultore). Se il blocco fosse in frantumi, nessuno di essi, e nemmeno il loro insieme, avrebbe la capacità di diventare quella statua. Per produrre quella statua bisogna che le parti del blocco non siano in frantumi, ma unite; ossia, bisogna che il blocco sia qualcosa di unitario”.
Ma perché afferma che la Chiesa, alla domanda: “Dov’è l’uomo in potenza?”, “non può rispondere”? Perché la Chiesa, insegnando che “l’animazione interviene nel momento dell’unificazione delle cellule dei genitori” (4), non fa alcuna distinzione tra l’uomo in potenza (l’embrione) e l’uomo in atto (l’embrione “animato”).
Obietta appunto Severino: come l’esistenza del blocco di marmo unitario deve necessariamente precedere quella della statua, così l’esistenza dell’embrione, quale mero “insieme dei due gameti” (o quale mero “ammasso di cellule” – come dice Veronesi) (5) deve necessariamente precedere quella dell’uomo, quale embrione “animato” o uomo in atto; e così conclude: si deve pertanto “negare che sin dall’inizio l’embrione sia un essere umano in atto; e dunque è necessario che Dio infonda l’anima razionale dopo che l’embrione ha incominciato a esistere, ossia è necessario affermare che ciò che ha la capacità di diventare uomo sia costituito, perlomeno, dallo stato iniziale dell’embrione, per quanto breve esso sia. Per la scienza non sappiamo quando l’embrione incominci a essere persona. Ma, sulla base dell’argomentazione ora indicata, la Chiesa, per evitare l’assurdo, deve dire che all’inizio della sua esistenza l’embrione non è persona”.
Superfluo osservare che Severino dà grande importanza a questo argomento perché la Chiesa, nel momento stesso in cui riconoscesse l’esistenza di un intervallo fra il momento dell’unione dei gameti (che non fa ancora la “persona”), e quello della ”animazione” dell’embrione (che fa la “persona”), dovrebbe cessare di condannare e contrastare la manipolazione della sua prima fase di sviluppo.
Severino non sembra tuttavia considerare che se tale intervallo fosse molto breve (eventualità che non può essere esclusa, dal momento che la scienza non sa “quando l’embrione incominci a essere persona”, e che lui stesso dice: “Per quanto breve esso sia”) non cambierebbe praticamente nulla. Essendo arduo immaginare che l’intervento manipolatore umano possa essere tanto rapido da precedere quello animatore divino, altro non si farebbe, infatti, che perpetuare l’attuale “strage degli innocenti” (cui va peraltro aggiunta quella perpetrata con gli aborti. Osserva in proposito Giuseppe Leonelli: “In un’epoca in cui, giustamente, si discute dei diritti degli animali si riconosca che si è reintrodotta con l’aborto indiscriminato la pena di morte”) (6).
Comunque sia, l’argomento (aristotelico) di cui si serve per dimostrare che l’embrione “non è un esser uomo” non solo è praticamente inutile, ma è anche teoricamente lacunoso. Perché “lacunoso”? Perché – alla stessa stregua della Chiesa – prende in considerazione il corpo e l’anima del nascituro, ma ne ignora lo spirito o l’Io.
Per rendersene conto, occorre fare però un passo indietro e tornare alla sua esemplificazione.
Si provi infatti a rileggerla e a riflettere: è davvero il “blocco di marmo unitario”, quale causa materiale, ad “avere la capacità” di diventare una statua, o non è piuttosto lo scultore, quale causa efficiente, ad “avere la capacità” di trasformare tale blocco in una statua? E non si dovrebbe dunque distinguere la “capacità” del primo di subire un mutamento dalla “capacità” del secondo di produrlo?
Anche lo scultore – è vero – “infonde” la forma (la sua idea della statua) nel blocco di marmo dopo che questo “ha incominciato a esistere”; ma c’è una bella differenza – ne converrà Severino – tra il sottrarre dei pezzi a un blocco di marmo che non sia proprietà di nessuno e il sottrarli a un blocco di marmo (rovinandolo) che sia stato di contro già scelto e acquistato da uno scultore, compiendo così un “reato”.
Cosa vogliamo dire con ciò? Vogliamo dire che tanto la Chiesa, per la quale esiste solo l’uomo in atto (dal momento che Dio lo crea “ex nihilo”), quanto Severino, per il quale l’uomo in atto esiste solo dopo l’uomo in potenza, ignorano l’uomo che, quale potenza o realtà spirituale (quale scultore capace di produrre un mutamento nel blocco di marmo), non solo esiste prima dell’uomo, quale potenza o realtà materiale (quale blocco di marmo capace di subire un mutamento), ma, nel momento stesso della fecondazione, in quanto causa insieme efficiente, formale e finale, prende pure a modellarla, e a trasformarla così, gradualmente, in un uomo in atto (o uomo terreno).
Entrambi ignorano, in altre parole, che l’essenza individuale dell’uomo (l’Io o l’archetipo) precede l’esistenza ereditaria dell’embrione (il genotipo), così come questa precede, a sua volta, quella dell’uomo terreno (il fenotipo): entrambi ignorano, insomma, che l’uomo non solo vive, quale spirito, prima della nascita (così come dopo la morte), ma contribuisce pure, nella misura in cui gli è concesso di “scegliere” (sotto la guida delle gerarchie spirituali) i genitori, all’incontro e alla unione dei gameti, e per ciò stesso al proprio concepimento (dicono appunto gli orientali: “Perché nasca un bambino, devono essere d’accordo in tre: la madre, il padre e il nascituro”).
“Che cosa è e dove è mai – domanda Severino – il qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare uomo e senza di cui nessun uomo potrebbe nascere? Dov’è l’uomo in potenza?”. Una volta distinto – come detto – l’uomo quale potenza o realtà spirituale (attiva) dall’uomo quale potenza o realtà materiale (passiva o, per meglio dire, ricettiva), la risposta non è difficile: il “qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare uomo” (terreno o in atto) è l’uomo stesso, quale entità dotata appunto della capacità di passare, nascendo, dal mondo spirituale, in cui è, al mondo terreno, in cui esiste (come anima e corpo vivente).
Certo, l’idea della pre-esistenza (dell’Io o dello spirito) appare eretica agli occhi della Chiesa (7); ma per quale ragione dovrebbe apparire tale anche a quelli di Severino?
Forse perché, essendo rimasto nonostante tutto un cattolico, non “crede” all’Io spirituale? Ma per quale ragione credere che l’Io spirituale (il vero Io dell’uomo) possa essere solo oggetto di fede, e non anche, e in primo luogo, di conoscenza? Perché credere, ossia, che non si possa imparare a pensarlo e a conoscerlo, trasformando e rinnovando a tal fine se stessi?
Ma di questo abbiamo trattato altrove (in specie nella nota L’aldilà e l’aldiqua) (8), e non staremo dunque a ripeterci.

P.S.
Sempre il Corriere, pubblica oggi un editoriale (titolato: L’embrione e la persona) in cui Giovanni Sartori a un certo punto dice: “Il discorso serio, l’argomento logico, è questo: che se un embrione sarà una persona, ancora non lo è come embrione. E sfido qualsiasi ruiniano a fornire una definizione di “persona umana” che si applichi all’embrione” (9).
Siamo grati a Sartori di averci avvertito che il discorso è “serio” e l’argomento è “logico” perché – lo confessiamo – diversamente non ce ne saremmo accorti.
Che cosa c’è infatti di “serio” e di “logico” nell’applicare a una realtà che vive nel tempo (l’embrione) la logica (meccanica) che vale per quanto giace invece nello spazio (come, ad esempio, il “blocco di marmo” di Severino)?
Sta di fatto che com’è certo che un blocco di marmo che sarà una statua, ancora non lo è, altrettanto è certo che un embrione che sarà una “persona”, in tanto potrà divenirla solo in quanto la è già.
Come si vede, si tratta di essere, non “ruiniani”, bensì davvero “seri” e “logici”, e di applicare perciò alla realtà organica una logica diversa da quella che si applica alla realtà inorganica: quella, ad esempio, che permette di dire, a Hegel: “La cosa nel suo cominciamento non è ancora, ma questo non è solo il niente della cosa: vi è già colà dentro il suo essere” (10).

P.P.S.
Quanti negano che l’embrione sia un “essere umano” farebbero comunque bene a riflettere sulle seguenti parole (benché pertinenti a tutt’altro contesto) dello storico polacco Andrzej J. Kaminski: “Il totalitarismo, nel suo affanno spasmodico e folle verso il potere assoluto anche sulla realtà materiale, si arroga il diritto di decidere che cosa debba essere definito “essere umano”, e stabilisce a suo piacere che certi individui, gruppi, popoli non vadano considerati esseri umani” (11).

Note:

01) Corriere della Sera, 16 maggio 2005;
02) Uomini e non-uomini, 13 dicembre 2004;
03) Innatalità e immortalità, 25 febbraio 2005;
04) K.Rahner-H.Vorgrimler: Dizionario di teologia cattolica – TEA, Milano 1994, p.158;
05) cfr. noterella del 24 maggio 2005;
06) G.Leonelli: Nota introduttiva a T.J. Weihs: Embriogenesi – Filadelfia, Milano 1991, p.IX;
07) agli occhi degli odierni scienziati appare invece una bella “fantasia”; ma soltanto perché non si rendono conto che sono proprio le loro idee a essere materialisticamente e orribilmente “fantasiose”;
08) L’aldilà e l’aldiqua, 3 maggio 2005;
09) Corriere della Sera, 29 maggio 2005;
10) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p.106;
11) A.J.Kaminski: I campi di concentramento dal 1896 a oggi. Storia, funzioni, tipologia – Bollati Boringhieri, Torino 1997; cit. in R.Vivarelli: I caratteri dell’età contemporanea – il Mulino, Bologna 2005, p.184.

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Di Francesco Giorgi
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