19/01/2007

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Da quando Benedetto XVI ha dichiarato che non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio (del Logos), diversi intellettuali cattolici hanno preso a esaltare il valore del pensiero, della razionalità e della libera ricerca della verità (cfr. Noterella 11 ottobre 2006).
Roberto di Ceglie, ad esempio, afferma che l’identità religiosa europea si caratterizza appunto per il “primato della verità e della sua ricerca”, per “l’esaltazione della ragione umana e del dialogo come unica possibile via al vero”, per il “rispetto della persona nella sua irriducibile singolarità” e per il “riconoscimento del valore assoluto della sua propria libertà” (Giù le mani dalla nostra libertà – a cura di V.Feltri e R.Brunetta – Libero Free 2006, pp. 42 e 52).
Sarà, ma non è facile dimenticare, per fare solo un esempio riguardante l’Italia, che la Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio condannò e mise all’indice, nel 1933, l’Opera omnia di Giovanni Gentile e, nel 1934, quella di Benedetto Croce: vale a dire, le opere di due autentici e liberi ricercatori della verità.
Scrisse allora Agostino Gemelli, motivando la condanna dell’”immanentismo assoluto” di Gentile: “Tutta la storia della filosofia, egli sostiene, fu un avviamento a tale soggettivazione del reale, a tale immanentismo. La filosofia greca ammetteva la trascendenza degli esseri e di Dio di fronte al pensiero; ma il Cristianesimo (è, questa, una delle tesi gentiliane più curiose) cominciò ad affermare l’immanenza: difatti, il dogma dell’Incarnazione è un mito che cela una grande verità: se Dio esiste nell’uomo, il Trascendente diventa immanente” (G.Verucci: Idealisti all’indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant’Uffizio – Laterza, Roma-Bari 2006, p. 249).
Nel suo recente discorso di Regensburg, il Papa ha però affermato: “Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro e impenetrabile”: cioè a dire, in quella trascendenza in cui lo “spingono”, seppure in modo diverso, tanto i seguaci dell’Antico Testamento, quanto quelli del Corano.
Ci si decida, dunque: trascendenza o immanenza? Fino a quando, infatti, si potrà costringere il Cristianesimo (mettendo così a repentaglio la sua stessa vita) in uno spirito greco, in un’anima giudaica e in un corpo romano (cfr. Teologia e scienza, 9 gennaio 2007), senza mai decidersi a trasformarli, grado a grado, in uno spirito (in un pensare), in un’anima (in un sentire) e in un corpo (in un volere) cristiani? E fino a quando ci si potrà barcamenare tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, opponendo l’immanenza (la libertà) alla trascendenza (alla Legge) delle religioni monoteistiche (non tri-unitarie), e la trascendenza (la Legge) all’immanenza (alla libertà) della spiritualità laica?
Che questi interrogativi siano tutt’altro che peregrini potrebbe dimostrarlo quanto ha scritto il teologo (laico) Vito Mancuso, parlando di Hegel: ”Se si decide che il cristianesimo debba conservare, sulla base dell’Antico Testamento o di ciò che tradizionalmente vi si legge, il principio di estraneità tra Dio e l’uomo, allora occorre inevitabilmente dichiarare la proposta di Hegel come inaccettabile. Se invece prevale un’impostazione differente, che considera decisiva la novità evangelica dell’incarnazione di Dio, e quindi superata l’estraneità di fondo tra Dio e uomo (corsivi nostri), allora il pensiero di Hegel si rivela carico di promessa” (V.Mancuso: Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del “principe di questo mondo” – PIEMME, Casale Monferrato (Al) 1996, p. 147).

P.S.
Chi desideri tradurre gli astratti concetti di “immanenza” e “trascendenza” nel linguaggio scientifico-spirituale dell’anima cosciente, consulti: L’aldilà e l’aldiqua (3 maggio 2004); Sofianismo e goetheanismo (10 giugno 2004); e, soprattutto, La fede dei laici (20 gennaio 2005).

Di Lucio Russo
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