Le opere scientifiche di Goethe (49)

L

Affronteremo stasera il quinto paragrafo del sedicesimo capitolo, e, a Dio piacendo, esamineremo anche il sesto, dal momento ch’è molto breve.

Scrive Steiner: “Un pensare che non sia stato radicalmente guastato da Cartesio, Locke, Kant e dalla fisiologia moderna, non riuscirà mai a capire che si possano riguardare luce, colore, suono, calore, ecc., come stati puramente soggettivi dell’organismo umano, e tuttavia affermare l’esistenza d’un mondo oggettivo di processi fuori dell’organismo” (p. 227).

Due volte fa, abbiamo visto che Steiner giudica “malsane e insufficienti” le idee della fisica, e stasera leggiamo di un pensiero “radicalmente guastato da Cartesio, Locke, Kant e dalla fisiologia moderna”.
Si tratta di espressioni “forti” che potrebbero sembrare, a prima vista, perfino eccessive o fuori luogo. Ma non è così. Ove non fossimo abituati, come siamo, a vivere nell’astrazione, o ad avere con le idee un rapporto esclusivamente cerebrale, ci renderemmo presto conto, infatti, che ciò che per il pensare è falso, per il sentire è brutto e per il volere è male.
Vivendo nell’astrazione, riconosciamo invece il male del volere, ma non il falso del pensare, e ci diamo così a biasimare moralisticamente il primo e a lodare ingenuamente il secondo, comportandoci così come quel tizio che – a detta di Bertrand Russel (1872-1970) – soleva lodare le chiavi e biasimare i buchi delle serrature.
Fatto si è che insieme ai centri di riabilitazione dell’attività motoria, che provvedono a riparare i danni prodotti da traumi fisici, sarebbe opportuno creare dei centri di riabilitazione dell’attività pensante, che provvedano a riparare i danni prodotti dall’educazione scolastica e dalla cultura attuale.
Tali istituti – sia chiaro, anzi chiarissimo – non dovrebbero indottrinare il pensiero, educandolo a pensare questo o quello (poiché già lo si fa), bensì dovrebbero disintossicarlo, ri-educandolo alla libertà: ovvero, a essere semplicemente se stesso.
Un pensiero libero mai potrebbe ad esempio accettare che si divida la realtà del mondo con una linea, dichiarando che quanto ne sta al di là è oggettivo, mentre quanto ne sta al di qua è soggettivo, e quindi, in sostanza, illusorio.

Continua Steiner: “Chi fa dell’organismo umano il generatore dei processi del suono, del calore, del colore, ecc., deve pur vedere in esso il generatore dell’estensione, grandezza, posizione, movimento, forze, ecc.. Poiché queste qualità matematiche e meccaniche sono in realtà inscindibilmente collegate col restante contenuto del mondo della percezione. La separazione dei rapporti di spazio, numero e movimento, come pure delle manifestazioni energetiche, da tutte le altre qualità sensibili (suono, colore, ecc.) non è che una funzione del pensiero che astrae. Le leggi della matematica e della meccanica si riferiscono a oggetti e processi astratti, rescissi dal mondo dell’esperienza, e perciò possono anche trovare applicazione solo nell’ambito del mondo dell’esperienza” (p. 227).

Le qualità cosiddette (da Locke) “primarie” sono del tutto equivalenti, in realtà, a quelle “secondarie”, poiché tanto le une che le altre sono date dalla percezione (e sono quindi dei percetti). E’ dunque il pensiero a dividerle e ad assegnare alle qualità dell’estensione, della posizione o del movimento, un “carattere primario” e alle qualità del suono, del calore o del colore, un “carattere secondario”, sovrapponendo così, a un insieme di percezioni, due giudizi.
Dice Steiner che le leggi della matematica e della meccanica in tanto possono “trovare applicazione solo nell’ambito del mondo dell’esperienza”, in quanto “si riferiscono a oggetti e processi astratti, rescissi dal mondo dell’esperienza”. Ciò spiega a sufficienza il perché, da tali leggi, sia possibile ricavare molte cose utili materialmente, ma poche utili spiritualmente. Un pensiero che traffichi solo con “oggetti e processi astratti, rescissi dal mondo dell’esperienza”, può infatti rendere grandi servigi alla tecnica, ma non alla conoscenza della realtà del mondo e dell’uomo.
L’intelletto (la “mente computazionale”) opera di fatto come un setaccio che, della realtà del mondo, lascia passare tutto ciò ch’è quantitativo, e per ciò stesso comprensibile matematicamente, ma niente di ciò ch’è vivente e qualitativo, che viene così trattenuto nell’inconscio.
Tale mente, dunque, conosce solo in quanto misura.
Proviamo però a pensare a quel che accadrebbe se, desiderando ardentemente conoscere la persona amata, ci dessimo con zelo e rigore a misurarla, come se fosse uno scheletro. Ma se troviamo grottesco o ripugnante fare una cosa del genere con la persona amata, per quale ragione la facciamo allora col mondo? Lo amiamo forse meno, o non lo amiamo affatto?
Sarà bene dunque ricordare che Arimane (ossia l’essere in cui “vive il gelido odio contro tutto ciò che si evolve in libertà”) avversa l’”incalcolabile” tanto quanto Lucifero avversa il “calcolabile”. “L’intento di Arimane – spiega infatti Steiner – è di fare una macchina cosmica di quanto egli emana dalla terra negli spazi universali. Il suo ideale è unicamente: “Misura, numero, peso””. Un intento quindi del tutto diverso da quello dell’Arcangelo Michele che (in perfetta armonia con l’intento del Cristo) mira invece a stabilire “il pareggio fra l’incalcolabile e il calcolabile” (Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 152).

Scrive Steiner: “ Finché gli scienziati moderni e i loro caudatari, i filosofi moderni, sosterranno che le percezioni sensibili non sono che stati soggettivi suscitati da processi obiettivi, un pensiero sano dovrà sempre opporre ch’essi giocano con dei concetti vuoti, oppure attribuiscono all’oggettività un contenuto preso a prestito dal mondo dell’esperienza che dichiarano soggettivo” (pp. 227-228).

Bene, prendiamo allora questa piccola enciclopedia e vediamo che cosa dice alla voce “quark”: “Particella elementare ipotizzata come costituente di tutti gli adroni (protoni, neutroni, ecc.), cioè le particelle subatomiche che risentono dell’interazione forte (che agisce “all’interno dei nuclei atomici tenendo insieme protoni e neutroni” – nda) (…) L’idea dell’esistenza dei quark nacque per spiegare la sproporzione tra l’alto numero (alcune centinaia) di adroni scoperti in confronto ai leptoni (la famiglia di particelle elementari che risentono dell’interazione debole (manifestantesi, ad esempio, nel decadimento radioattivo β – nda), che sono in numero di 6 (più le rispettive antiparticelle): questo spinse a ricercare una semplificazione per gli adroni. Negli anni 60 fu avanzata dal fisico statunitense M.Gell-Mann (n.1929) l’ipotesi che le vere particelle elementari siano 6 quark, ognuno caratterizzato da un particolare sapore (è un’espressione di pura fantasia): up (sopra), down (sotto), strange (stranezza), charm (fascino), top (alto), beauty (bellezza); ogni tipo di quark può presentarsi in tre colori (sempre con espressione di fantasia): rosso, blu e verde” (Enciclopedia della scienza e della tecnologia – DeAgostini – Novara 1994, p. 867).
Come vedete, non solo si attribuiscono “fantasiosamente” ai quark (alla presunta ”oggettività”) dei contenuti (sapori e colori) presi a prestito – come dice Steiner – da quel “mondo dell’esperienza che si dichiara soggettivo”, ma s’indulge addirittura in un fatuo e stucchevole antropomorfismo.
Ma non è tutto. La ricerca di “una semplificazione per gli adroni” non ricorda infatti quanto abbiamo visto affermare a suo tempo da Barsanti della philosophia linneana? Ossia che “come fu presto chiaro che a dispetto di certe premesse essa conduceva a un sistema artificiale, così fu contemporaneamente altrettanto chiaro che ciò costituiva un grande vantaggio per la scienza botanica, e forse il vantaggio più importante. Gilibert se ne rese conto con grande lucidità: nonostante quello di Tournefort fosse più naturale, il sistema di Linneo andava indiscutibilmente preferito ad esso perché era “più uniforme nella sua articolazione”, ossia evitava di fornire troppi criteri per classificare i corpi (ciò che disorienta il naturalista) e forniva, molto più efficacemente, un solo parametro, la chiave per districarsi nel labirinto della natura” (Le opere scientifiche di Goethe (4) – ndr).

Dopo aver citato un altro passo di Antonio Lampa, “Metodo matematico e matematica non sono identici, poiché il metodo matematico può essere adottato senza l’applicazione della matematica. Un esempio classico per questo fatto ci offrono, nel campo della fisica, le ricerche sperimentali di Faraday (Michael Faraday, 1791-1867 – nda), che a mala pena intendeva la quadratura di un binomio. La matematica non è che un mezzo per abbreviare delle operazioni logiche, e perciò risolverle anche in casi complicatissimi in cui l’ordinario pensiero logico ci lascerebbe in asso. Al tempo stesso riesce però ad altro ancora; in quanto ogni formula esprime implicitamente il processo per cui diviene; essa getta un ponte vivente fino ai fenomeni elementari che hanno servito come punto di partenza alla ricerca”, Steiner scrive: “Ogni formula matematica costruisce, sì, un “ponte vivente” verso i fenomeni elementari che hanno servito da punto di partenza alle ricerche. Ma questi fenomeni elementari sono della stessa specie di quelli non elementari, partendo dai quali il ponte viene costruito” (p. 228-229).

Che cosa vuol dire che “i fenomeni elementari sono della stessa specie di quelli non elementari”? E’ semplice: che entrambi hanno carattere matematico.

Spiega appunto Steiner: “Il matematico riporta le proprietà di complicate figure numeriche e spaziali, come pure le loro scambievoli relazioni, a proprietà e relazioni delle figure numeriche e spaziali più semplici”; e prosegue: “Lo stesso fa nel proprio campo il meccanico. Egli riporta complicati processi di movimenti ed azioni di forze a movimenti ed azioni di forze più semplici, più facilmente abbracciabili, e a questo scopo si serve delle leggi matematiche, fino a dove i movimenti e le azioni di forze sono esprimibili in figure spaziali e numeri” (p. 229).

Notiamo bene la differenza. Tanto il matematico che il meccanico riducono fenomeni non elementari a fenomeni elementari, ma mentre il primo, riducendo “figure numeriche e spaziali” complesse a “figure numeriche e spaziali” semplici “della stessa specie”, non esorbita dalla sfera della matematica, il secondo, riducendo “processi di movimenti ed azioni di forze” complessi a “figure numeriche e spaziali” semplici di specie diversa (con le quali vorrebbe esprimere “processi di movimenti ed azioni di forze” semplici), esorbita dalla sfera della meccanica.

Osserva infatti Steiner: “In una formula matematica, che esprime una legge meccanica, i singoli membri non significano più figure puramente matematiche, bensì forze e movimenti. I rapporti in cui questi membri stanno tra loro, non vengono determinati da leggi puramente matematiche, bensì dalle proprietà delle forze e dei movimenti. Non appena si prescinda da questo particolare contenuto delle formule meccaniche, non si ha più a che fare con leggi meccaniche, ma solo matematiche” (p. 229).

Dal momento che stiamo parlando di “meccanica”, sarà forse opportuno ricordare che questa comprende, tradizionalmente, la statica, la cinematica e la dinamica. Riapriamo dunque la nostra piccola enciclopedia alla voce “meccanica”, e vediamo come spiega la differenza tra le tre: la statica studia “le condizioni di equilibrio dei corpi sottoposti a determinate forze”; la cinematica descrive “il moto indipendentemente dalle cause che lo producono”; la dinamica tratta “del moto prendendo in considerazione le forze che lo determinano”.
Teniamo pertanto presente che le osservazioni di Steiner si riferiscono in generale alla meccanica, ma in particolare alla dinamica.

Scrive Steiner: “Come la meccanica sta alla matematica, così la fisica sta alla meccanica. Compito del fisico è riportare processi complicati nel campo del colore, del suono, del calore, dell’elettricità, del magnetismo, ecc., a più semplici fenomeni entro la stessa sfera” (p. 229).

In altre parole, quando la meccanica e la fisica, nell’intento di ricondurre fenomeni complessi a fenomeni semplici, esorbitano dalle loro rispettive sfere, la prima si riduce a matematica, in quanto riduce le “forze” e i “movimenti” a “figure puramente matematiche”, e la seconda a meccanica, in quanto riduce le qualità a “forze e movimenti”.

Scrive appunto Steiner: “Non la riduzione dei processi di colore, suono, ecc., a fenomeni di movimento e a rapporti di forze entro una materia priva di colore e di suono, corrisponde nel campo della fisica al metodo matematico (“metodo matematico e matematica – diceva appunto Lampa – non sono identici” – nda), bensì la ricerca dei rapporti entro i fenomeni di colore, suono, ecc.. La fisica moderna passa sopra ai fenomeni di suono, colore, ecc., come tali, e considera solo forze e movimenti immutabili di attrazione e repulsione nello spazio. Sotto l’influsso di questo modo di rappresentazione la fisica d’oggi è già diventata matematica e meccanica applicate, e gli altri campi della scienza naturale sono sulla strada di diventare lo stesso. E’ impossibile allacciare con un ponte vivente (come riconosce pure Du Bois-Reymond – ricorda Steiner – ne I limiti della conoscenza della naturanda) i due seguenti dati di fatto: 1°) che in un dato punto dello spazio domini un determinato processo di movimento della materia priva di colore; 2°) che in quel punto l’uomo veda rosso” (pp. 229-230).

“Sotto l’influsso di questo modo” di pensare la scienza (e non più solo, ormai, quella “naturale”) è dunque diventata – come si dice – “più realista del re” (della matematica). Secondo quanto abbiamo visto, un conto è infatti ridurre matematicamente figure numeriche e spaziali complesse a figure numeriche e spaziali semplici, altro ridurre matematicamente a figure numeriche e spaziali semplici i fenomeni della vita (le forze), dell’anima (le qualità) o dello spirito (i pensieri). (Ad esempio, il celebre matematico tedesco Georg Cantor [1845-1918], morto in un manicomio di Halle, era “uno che cercava di trovare Dio attraverso la matematica” – J.Volpi: In cerca di Klingsor – Mondadori, Milano 2000, pp. 40-41).

Conclude Steiner: “La qualità “rosso” e un determinato processo di movimento, sono in realtà un’unità inscindibile (…) Voler derivare il fatto: “io vedo rosso”, da un processo di movimento è altrettanto assurdo quanto il derivare proprietà reali di un pezzo di salgemma cristallizzato in forma cubica dal cubo matematico” (p. 230).

Nulla sapremmo, infatti, delle qualità di un cristallo di salgemma ove sapessimo solo quanto ha in comune con il cubo matematico: quanto non ne fa ancora, cioè, un cristallo di salgemma.
Abbiamo finito il quinto paragrafo; occupiamoci quindi del sesto, che è – come potete vedere – brevissimo.

Scrive Steiner: “I fisici moderni, solo perché sedotti dal preconcetto che un semplice fatto matematico o meccanico sia più comprensibile di un fenomeno elementare di suono o di colore, eliminano dai fenomeni lo specifico del suono e del colore e considerano solo i processi di movimento corrispondenti alle percezioni di senso. E poiché non possono pensare movimenti senza qualcosa che si muova, considerano portatrice dei movimenti la materia spogliata di tutte le sue proprietà. Chi non è impigliato in questo preconcetto dei fisici, deve riconoscere che i processi di movimento sono condizioni legate alle qualità sensibili. Il contenuto dei movimenti ondulatori corrispondenti ai fenomeni sonori sono le qualità del suono. Lo stesso vale per le altre qualità di senso” (p. 231).

Fatto si è che l’intelletto per godere del fatto che “i conti – come si suol dire – tornino”, deve ridurre al calcolabile anche l’incalcolabile, espellendo così quest’ultimo dalla realtà. Eppure – lo dimostra l’Urphänomen di Goethe – l’incalcolabile potrebbe essere perfino più “semplice” di un “semplice fatto matematico”. Per poterlo scoprire, bisognerebbe però osservare amorevolmente i fenomeni reali (dati dalla percezione sensibile) e non trascorrere la maggior parte del tempo alla lavagna o, come si fa oggi, al computer.
Ricorda ad esempio Jorge Volpi: “Per poter meditare scientificamente su ipotesi che, diversamente, non avrebbe potuto verificare, Einstein mise spesso in pratica un metodo di lavoro che chiamò Gedankenexperiment o “esperimento mentale””; e del giovane fisico Francis P.Bacon, protagonista del suo libro, dice: “Fin da quando si era manifestata la sua precoce passione per la matematica pura aveva fatto il possibile per tenersi a distanza dalle questioni concrete, concentrandosi su formule ed equazioni che sembravano sempre più astratte e alle quali, in molti casi, era a stento possibile associare una spiegazione reale” (Op. cit., pp. 63 e 64-65).
Possiamo ben capire dunque Goethe, quando scrive: “Chi fosse in grado di insegnare una critica dell’intelletto umano sarebbe un benefattore dell’umanità. Circoscrivere l’intelletto umano nel suo ambito” (Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 266).

Roma, 7 novembre 2001

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Di Lucio Russo
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