Antropologia (8)

A

Cominciamo subito a leggere.

Dice Steiner: “La fisiologia crede di aver qualcosa in mano quando parla di nervi sensori e motori, ma in realtà non fa che giocare con le parole. Parla di nervi motori perché esiste il fatto che l’uomo diventa impotente a camminare quando certi nervi vengono lesi, per esempio i nervi delle gambe. Si dice che in tale caso l’uomo non può camminare perché i nervi motori, che mettono in movimento le gambe, sono paralizzati. Ma in realtà l’impotenza in questione proviene dal fatto che l’uomo non è capace di percepire le proprie gambe” (pp. 38-39).

Se avete letto l’articolo al quale vi ho rimandato la volta scorsa, non ci sarà molto altro da dire al riguardo.
Vi sarà ormai chiaro, infatti, che il sangue, per così dire, “fa”, mentre il nervo “sa”. E’ grazie al sangue che muoviamo le nostre gambe, mentre è grazie al nervo che sappiamo di muoverle. Grazie al sangue non potremmo però muoverle se grazie al nervo non sapessimo che sono le “nostre”: cioè a dire, che le abbiamo.
Ma perché, allora, la fisiologia parla di nervi “motori”? Perché non potrebbe spiegarsi altrimenti il movimento, che ha – come sappiamo – natura extrasensibile. Mediante gli organi di senso possiamo percepire infatti il “mosso”, ma non il movimento.
La fisiologia, anziché cercare di afferrare l’essenza del movimento del corpo, impegnandosi a sperimentare il movimento (eterico) del pensare, preferisce dunque, più comodamente, attribuire il potere di muoverci a qualcosa di morto (al nervo).

Dice Steiner: “Certamente, anche nella manifestazione corporea noi abbiamo una triplice espressione di tale simpatia e antipatia. Possediamo – per così dire – tre focolai in cui simpatia e antipatia si interpenetrano. Anzitutto ne abbiamo uno nel nostro capo, là dove, collaborando fra loro sangue e nervi, nasce la memoria. Dovunque l’attività dei nervi è interrotta, e dove avviene una specie di salto, esiste un tale focolaio in cui simpatia e antipatia si interpenetrano. Un altro di questi salti lo troviamo nel midollo spinale, là dove un nervo penetra nel corno posteriore del midollo spinale e un altro ne esce dal corno anteriore. Un terzo si trova nei gangli che sono inseriti nel sistema nervoso simpatico. Noi siamo tutt’altro che semplici nella nostra struttura! In tre punti del nostro organismo, nel capo, nel petto e nella parte bassa del corpo, abbiamo confini dove simpatia e antipatia s’incontrano. Nel percepire e volere non avviene un trapasso da un nervo sensitivo a un nervo motore, bensì una corrente diretta salta, per così dire, da un nervo all’altro, e per questo mezzo viene in noi stimolato l’elemento animico: nel cervello e nel midollo spinale” (pp. 39-40).

Nell’articolo ricordato, ho spiegato che il nostro sistema nervoso viene generalmente distinto in due parti: in quella del sistema nervoso “centrale” e in quella del sistema nervoso “autonomo”. La prima viene però suddivisa a sua volta in due parti: in quella “cerebrale”, che ospita i nervi “cranici”, e in quella “spinale”, che ospita i nervi “spinali”. Aggiungendo, a queste due, quella del sistema nervoso “autonomo” (nel quale si distinguono l’ortosimpatico e il parasimpatico), si hanno dunque tre parti, che stanno rispettivamente in rapporto con il “capo”, con il “petto” e con la “parte bassa del corpo”. In termini antroposofici, è questo il “corpo senziente”. Nello stesso articolo, ho anche precisato che nella parte “cerebrale” del corpo senziente, l’attività (vigile) dell’Io prevale su quella del corpo astrale; che nella parte “spinale”, l’attività (sognante) del corpo astrale prevale su quelle dell’Io e del corpo eterico; e che, nella parte “autonoma”, l’attività (dormiente) del corpo eterico prevale su quella del corpo astrale.
E’ comunque importante tenere presenti due cose.
La prima è che non vi è alcuna differenza, dal punto di vista anatomico, tra i nervi giudicati “sensori” e quelli giudicati “motori”, e che si tratta quindi di una differenza (funzionale) “pensata”, ma non “percepita”.
Che in tale distinzione ci sia qualcosa che non va, induce peraltro a sospettarlo la stessa fisiologia allorché ammette, oltre all’esistenza di nervi “sensori” e di nervi “motori”, quella di nervi cosiddetti “misti”: di nervi, cioè, che possono essere tanto “sensori” quanto “motori”.
La seconda è che nel “meccanismo basato sul gioco alterno dell’eccitamento e della inibizione” – come recita questo manuale –, “considerato ormai un elemento fondamentale nella spiegazione di tutti gli atti del sistema nervoso”, si può benissimo vedere il “gioco alterno” dell’eccitamento, prodotto dalla forza calda della sim-patia, e della inibizione, prodotta dalla forza fredda dell’anti-patia.
“Per la coscienza ordinaria – ha detto Steiner – la volontà è qualcosa di sommamente enigmatico”. Ma la volontà è enigmatica tanto quanto lo è il movimento. Dal punto di vista prettamente energetico (o dinamico), si tratta infatti della medesima forza.
“La realtà – scrive Steiner, nelle sue Massime antroposofiche – consiste dappertutto in entità; e ciò che in essa non è entità, è attività che si esplica nella relazione tra un essere e un altro”. Il che sta a significare che quanto “non è entità”, è appunto volontà o movimento.
Noi seguiamo – lo sapete – la “via del pensiero”; ma la seguiamo proprio perché è la sola che possa dischiuderci l’”enigma” della volontà, e permetterci di ritrovarla.
Scaligero ha intitolato uno dei suoi libri: La via della volontà solare. Ma se c’è una volontà “solare”, – domandiamoci – vuol dire allora che ce ne sono altre (“non solari”)?
E’ così. Ma la “volontà solare” si distingue da ogni altra perché, in essa, il calore del volere si riunisce alla luce del pensare, restituendo al sentire la sua armonia originaria.
Fatto si è che la luce “fredda” del razionalismo (o dell’intellettualismo) è del tutto incapace di illuminare, educare o umanizzare la volontà. Nessuna meraviglia, dunque, se questa, abbandonata a se stessa, prima o poi si vendica, distruggendo, in modo più o meno cruento, tutti i programmi (“le magnifiche sorti, e progressive”) orgogliosamente concepiti dal pensiero astratto (dalle cosiddette “ideologie”).
Un fatto è certo: la “volontà solare” non è una volontà (naturale e aggressiva) di “potenza” (Nietzsche), né una volontà (intellettuale e buonista) d’”impotenza” (Vattimo, Popper), bensì una volontà d’amore, cui sono chiamati ad aprire il varco – per riprendere il titolo di uno scritto di Steiner – I gradi della conoscenza superiore.

Dice Steiner: “Nel capo noi siamo principalmente capo, ma il sistema in questione si estende all’uomo intero, solo non in linea principale. Benché nella testa abbiamo i veri e propri organi sensori, tuttavia i nostri sensi del tatto e del calore sono estesi al corpo intero; dovunque si provi una sensazione di calore siamo “testa”. Solo che nella testa siamo “principalmente” testa; altrove lo siamo solo “in seconda linea”. Lo stesso dicasi per il sistema ritmico e per il sistema metabolico; i tre sistemi si interpenetrano” (pp. 40-41).

Parlando del pensare, del sentire e del volere, abbiamo già visto che queste distinzioni vanno concepite come “articolazioni funzionali”: ossia, non come (statiche) tricotomie, bensì come (dinamiche) triarticolazioni.
Potremmo anche dire, volendo, che, per concepirle giustamente, si dovrebbe aggiungere, all’occhio dello scienziato, quello (morfologico) dell’artista. Non solo, infatti, è possibile distinguere – come abbiamo fatto – tra la testa, il petto e l’addome (con gli arti), ma è anche possibile ad esempio distinguere nella stessa testa (centro d’irradiazione dell’attività neuro-sensoriale), la parte superiore del cranio e della fronte (espressione diretta del sistema neuro-sensoriale), quella mediana del naso (espressione indiretta del sistema ritmico) e quella inferiore della mandibola (espressione indiretta del sistema metabolico); oppure, nel piede (facente parte del sistema metabolico e degli arti), la parte del tallone (ch’è una sorta di testa), quella della pianta (ch’è una sorta di petto) e quella delle dita (che sono invece autentici arti).

Dice Steiner: “Ora sorge la domanda: perché abbiamo l’opposta polarità tra il sistema della testa e quello del sistema locomotore unito a quello metabolico? (Trascuriamo, per il momento, il sistema di mezzo). L’abbiamo perché, in un determinato momento, il sistema della testa viene “espirato” dal cosmo. Dall’antipatia del cosmo proviene all’uomo il sistema del capo. Quando ciò che l’uomo porta in sé “ripugna” tanto fortemente al cosmo che questo lo espelle, ne deriva, quale immagine, il capo. Nel capo, con la sua forma rotonda, l’uomo porta veramente in sé l’immagine del cosmo, che questo, per antipatia, espelle da sé. Noi possiamo servirci del nostro capo, quale organo per conseguire la libertà, perché il cosmo lo ha espulso da sé” (p. 41).

Che cosa è dunque il capo umano? Un escreto o un escremento (“minerale”) del cosmo. Un escreto o un escremento assai prezioso, però, perché è grazie a questo che l’uomo può godere della sua libertà. Le piante e gli animali, proprio in quanto non “espirati” o “espulsi” dal cosmo (oppure “non nati”, in quanto ancora racchiusi nell’utero cosmico), non sono infatti liberi.
Per l’uomo, una tale “espirazione” o “espulsione” equivale naturalmente a una morte. Ma è appunto grazie a questa morte – lo abbiamo detto – che nasce la libertà. Certo, la libertà da (dal cosmo o dallo spirito), e non ancora la libertà per (per il cosmo o per lo spirito). Ma è proprio per poter passare dalla libertà negativa (vuota di spirito vivente) a quella positiva (piena di spirito vivente) che Steiner ci ha indicato il cammino de La filosofia della libertà.

Dice Steiner: “Non consideriamo giustamente il nostro capo se lo pensiamo inserito nel cosmo altrettanto intensamente di come lo è il nostro sistema del ricambio e delle membra (che abbraccia anche la sfera del sesso). Il nostro sistema del ricambio e delle membra è inserito nel cosmo, e il cosmo lo attira a sé, ha simpatia per esso, come invece ha antipatia rispetto al capo. Nel capo la nostra antipatia incontra l’antipatia del cosmo; esse si urtano, e da questo urtarsi delle nostre antipatie con quelle del cosmo nascono le nostre percezioni” (p. 42).

Ricordate Leopardi? “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, / E questa siepe, che da tanta parte / Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude…”.
E’ dunque una “siepe” a opporsi allo sguardo che vorrebbe raggiungere l’”ultimo orizzonte”: è cioè una percezione determinata o finita a opporsi allo sguardo che vorrebbe raggiungere una percezione indeterminata o infinita (quella, giustappunto, de L’infinito).
Ebbene, se si può mettere sicuramente in rapporto la percezione indeterminata con la sim-patia (“E il naufragar m’è dolce in questo mare”), si può mettere altrettanto sicuramente in rapporto la percezione determinata con l’anti-patia. Dobbiamo però ricordarci della nota proposizione di Spinoza (ritenuta da Hegel “di una importanza infinita”): “Omnis determinatio est negatio” (“Ogni determinazione è una negazione”), e riconoscere in tale negazione un’espressione dell’anti-patia.
Ascoltate quanto dice al riguardo Hegel (nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche): “L’essere determinato è l’essere con un determinato carattere (…) L’astrarre dell’intelletto è il violento afferrarsi a una determinazione, uno sforzo per oscurare e allontanare la coscienza dell’altra determinazione che colà si trova”.
Ma come si potrebbe operare un simile “sforzo”, se non si potesse far leva sull’anti-patia?
Tornando al poeta, è dunque l’anti-patica (benché “cara”) percezione determinata della siepe a impedire la sim-patica percezione indeterminata “dell’ultimo orizzonte”.
Sarà bene riflettere su queste cose, perché l’affermare – come fa qui Steiner – che dall’”urtarsi delle nostre antipatie con quelle del cosmo nascono le nostre percezioni” potrebbe sembrare a prima vista in contraddizione con l’affermare – come lo stesso Steiner ha fatto in precedenza – che “dalla fantasia (e quindi dalla sim-patia – nda) sorge l’immaginazione che dà la percezione dei sensi”.
Potrebbe, ma non è così. Dalla fantasia – dice infatti Steiner – sorge l’immaginazione, non l’immagine percettiva: sorge cioè l’attività indeterminata dell’immaginare, e non una percezione determinata (un “immaginato”).
Ove poi ci ricordassimo di quanto ha già detto, in rapporto alla memoria (“Qui abbiamo il nesso tra l’antipatia, che è semplice sentimento che respinge in maniera ancora indeterminata, e il riflesso preciso dell’attività di percezione esercitata immaginativamente nel ricordo”), più facilmente realizzeremmo che anche la sim-patia (da cui scaturisce l’immaginazione) “è semplice sentimento” che attrae “in maniera ancora indeterminata”.
Fatto sta che ci si può giustamente orientare in queste cose (in particolare, nel “gioco alterno” della corrente calda della sim-patia e di quella fedda dell’anti-patia), soltanto se – come dicemmo quando ci occupammo de La filosofia della libertà – ci si abitua a distinguere, nell’ambito del processo percettivo, tanto il momento iniziale (sim-patico) dell’atto percettivo da quello finale (anti-patico) dell’immagine percettiva, quanto il ruolo che vi svolge l’incosciente (sim-patico) percetto da quello che vi svolge il cosciente (anti-patico) concetto.
Ricordiamoci, a quest’ultimo proposito, che la rappresentazione è un’illustrazione del concetto, e non – come in genere si crede – dell’oggetto.
A suo tempo (parlando di Hume e dell’empirismo), ho infatti richiamato la vostra attenzione sul fatto che dall’esperienza (dalla percezione), non nasce il concetto (o l’idea), bensì la coscienza del concetto; e ch’è vero, quindi, che ci è necessaria l’esperienza, ma che ci è necessaria per poter prendere appunto coscienza del concetto (mediante la sua rappresentazione). Se non lo percepissimo e pensassimo, il concetto esisterebbe lo stesso, ma sconosciuto.

Dice Steiner: “Alla luce di queste considerazioni riconoscerete perciò più facilmente la grande differenza che passa tra la formazione della volontà e la formazione della rappresentazione. Se nell’educazione agite prevalentemente su quest’ultima, ricacciate l’uomo intero nella vita prenatale; e gli arrecherete danno, perché lo alleverete razionalisticamente, imprigionando la sua volontà in ciò ch’egli ha già compiuto prima di nascere. Non dovete mescolare troppe nozioni astratte in ciò che portate incontro al fanciullo che avete da educare; dovete dargli piuttosto molte immagini. E perché? Perché queste sono immaginazioni, e passano per la fantasia e la simpatia. I “concetti”, invece, sono astrazioni, passano per la memoria e l’antipatia, provengono dalla vita prenatale” (p. 42).

Potremmo dunque dire (schematizzando) che l’educazione (scolastica) della prima metà della vita, dovrebbe consistere nel portare, in modo artistico, l’anti-patia (il pensare cosciente) incontro alla sim-patia (al volere incosciente), mentre la libera autoeducazione della seconda metà della vita dovrebbe consistere nel portare, in modo scientifico-spirituale, la sim-patia (il pensare immaginativo, ispirativo e intuitivo) incontro all’anti-patia (al pensare intellettuale o rappresentativo).
Ascoltate, infatti, quel che dice Hegel della (vera) scienza: “La verità della scienza è una luce tranquilla che illumina e allieta tutto, quasi un calore in cui tutto germoglia e prospera e il quale dispiega nell’ampiezza della vita i tesori interni”.
Come si vede, una scuola che ignori le reali necessità del bambino, e che lo costringa perciò a una precoce, fredda e unilaterale intellettualizzazione, può danneggiarne il presente e pregiudicarne l’avvenire: può raggelarne cioè l’anima, impedendogli, un giorno, di attraversare, in modo “indolore”, la soglia che divide la prima dalla seconda metà della vita, e di dare così vero significato alla vita, al destino e alla morte.

Roma, 23 dicembre 1999

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Di Lucio Russo
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