Il bagno e il fiume

I

Un caro amico ci ha inviato il testo (in francese) di un intervento di Bodo von Plato (1), pubblicato “dans la feuille d’informations Infoseiten Anthroposophie” e riguardante “l’état, la situation de l’impulsion culturelle anthroposophique”.
Il titolo dell’intervento (mutuato da Eraclito) è: “On ne peut pas deux fois se baigner dans le même fleuve” (2).
E quale sarebbe in questo caso « le fleuve »? L’Antroposofia, così come è stata presentata o vissuta da Steiner.
Scrive infatti von Plato: « Mais s’il est exact que l’Anthroposophie – comme tout être spirituel vivant – n’est jamais plus ce qu’elle fut autrefois, alors aujourd’hui, elle n’est plus non plus ce que Rudolf Steiner lui-même décrivit ou vécut » (3).
Ma davvero si crede (come peraltro si sente ogni tanto ripetere) che, essendo trascorsi 83 anni dalla morte di Steiner (1925) o 114 dalla pubblicazione de La filosofia della libertà (1894), l’Antroposofia, quale essere spirituale vivente, e quale quindi “inviata all’umanità del presente” – come ricorda Prokofieff – della “celeste Sofia” (la cui rivelazione “non appartiene al nostro quinto periodo, ma al prossimo sesto periodo di civiltà”) (4), non sia “più quella che Rudolf Steiner stesso ha presentato e vissuto”?
O non è vero, piuttosto, che in tale lasso di tempo (e in modo indubbiamente accelerato) è mutata soltanto l’esistenza degli uomini, e che di questo occorre in effetti tener conto, ove si voglia realmente soddisfare l’anelito dell’”essere Antroposofia” a “incarnarsi nell’umanità, sulla terra, in qualità di essere vivente”? (5)
“L’Antroposofia – ha scritto, com’è noto, Steiner – è una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo” (6).
Volendo, si potrebbe però aggiungere: l’Antroposofia è una via della morale che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’universo allo spirituale che è nell’uomo (“come in cielo, così in terra”).
La prima di queste affermazioni si collega infatti alla parte de La filosofia della libertà dedicata alla “scienza della libertà”, mentre la seconda si collega a quella dedicata alla “realtà della libertà”.
Quando si tratta di “condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo”, ossia di conoscere “l’essere Antroposofia”, si tratta quindi di salire (noeticamente) da ciò che esiste nel tempo e nello spazio a ciò che è al di là del tempo e dello spazio; quando si tratta di “condurre lo spirituale che è nell’universo allo spirituale che è nell’uomo”, ossia d’incarnare “l’essere Antroposofia”, si tratta viceversa di scendere (eticamente) da ciò che è al di là del tempo e dello spazio a ciò che esiste nel tempo e nello spazio.
Sappiamo infatti, proprio grazie a La filosofia della libertà, che è in virtù di un movimento ascendente (di una, per così dire, “anabasi”) che si conquistano le “intuizioni morali”, e che è di contro in virtù di un movimento discendente (di una, per così dire, “catabasi”) che si realizzano le “azioni morali”; e sappiamo pure che le “intuizioni” (le essenze o le idee, che sono al di là del tempo e dello spazio), per potersi appunto incarnare in ciò che diviene nel tempo e nello spazio (nell’esistenza), necessitano di essere di volta in volta mediate dalla “fantasia morale” e dalla “tecnica morale”.
Questo vuol forse dire che quanto è al di là della “soglia” (cioè del tempo e dello spazio) non diviene o non evolve? No di certo. Vuol solo dire che diviene o evolve in modo diverso da come diviene o evolve quanto esiste al di qua della “soglia”: che diviene o evolve, per dirla in termini terreni, con ritmi diversi o in “tempi”, di grado in grado, sempre più lunghi.
Chi conosce il ciclo di conferenze dedicato da Steiner a L’Apocalisse (7) sa, ad esempio, che occorrono sette periodi di civiltà per passare da un’epoca (o razza) all’altra, che occorrono sette epoche per passare da uno stato di forma (o globo) all’altro, che occorrono sette stati di forma per passare da uno stato di vita (o ronda) all’altro, e che occorrono sette stati di vita per passare da uno stato di coscienza all’altro; così come sa che ci troviamo attualmente nel quinto periodo di civiltà della quinta epoca (post-atlantica), e quindi in un’epoca che fa parte del quarto stato di forma (fisico): di uno stato di forma che fa parte a sua volta del quarto stato di vita (minerale), e di uno stato di vita che fa parte infine del quarto stato di coscienza (terrestre).
Come si vede, il divenire di ogni epoca, in rapporto a quello storico dei sette periodi di civiltà che la compongono, può essere considerato di fatto metastorico (per così dire, un “essere”, e non un “divenire”), così come può essere considerato a sua volta metastorico il divenire di ogni stato di forma in rapporto alle epoche, di ogni stato di vita in rapporto agli stati di forma, e di ogni stato di coscienza in rapporto agli stati di vita.
Ciò si conferma, anche se ci si limita a considerare i soli periodi di civiltà.
Ci è noto, infatti, che il divenire dell’anima senziente (legato al periodo di civiltà “egizio-caldaico”), quello dell’anima razionale-affettiva (legato al periodo di civiltà “greco-latino”) e quello dell’anima cosciente (attuale) durano ognuno 2160 anni (il divenire di quest’ultima, iniziatosi nel 1413, finirà nel 3573).
Ebbene, non è forse irrilevante, in questa luce, il numero degli anni trascorsi dalla nascita terrena dell’Antroposofia, ove oltretutto si rammenti che Steiner, alla domanda di Walter Johannes Stein: “Dopo millenni che cosa rimarrà della sua opera?”, rispose: “Nulla, eccetto La filosofia della libertà, ma a partire da questa può essere ritrovato tutto il resto”? (8)
E non potremmo dunque dire, parafrasando Eraclito: “Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, ma ci si può sempre asciugare allo stesso Sole”.
Proprio Steiner ha d’altronde affermato: “Quello che può dare l’antroposofia vale soltanto per una data epoca, affinché l’umanità, accogliendo l’antroposofia, l’inserisca nell’epoca seguente, quale impulso preparatorio, per accogliere anche le forze future, assieme alle forze già elaborate” (9); specificando, altrove: “Nei nostri fraterni gruppi di lavoro svolgiamo un’attività che fluisce in alto verso le forze in preparazione per il sé spirituale” (10): in preparazione, cioè, di quella comunità (di “Filadelfia”) del sesto “periodo di civiltà” (3573-5733), nella quale – come scrive Prokofieff – saranno conciliabili “la comune appartenenza al Cristo con l’assoluta libertà personale e il pieno sviluppo delle capacità e delle possibilità creative di ogni singola individualità” (11).

Note:

01) di Bodo von Plato, “Kulturwissenschaftler” e membro del Comitato direttivo del Goetheanum, ci siamo già occupati nell’articolo intitolato: Del “prendersi sul serio” , 23 febbraio 2003;
02) “Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”;
03) “Ma se è vero che l’Antroposofia – come tutti gli esseri spirituali viventi – non è più quella che è stata un tempo, allora oggi non è più quella che Rudolf Steiner stesso ha presentato e vissuto”;
04) S.Prokofieff: La celeste Sofia e l’essere Antroposofia – Arcobaleno, Oriago di Mira (Ve) 1997, p. 10;
05) ibid., p. 32;
06) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 15;
07) R.Steiner: L’Apocalisse – Antroposofica, Milano 1963;
08) Si rammenti anche quest’altra affermazione di Steiner: “Era necessario che l’umanità ricevesse quanto non aveva mai avuto prima: la possibilità di trattare l’elemento esteriore meccanico e materialistico per trovarvi in primo luogo l’essenziale per il quinto periodo postatlantico. La scienza dello spirito deve entrare nel quinto periodo postatlantico a partire da ora, ma dagli ostacoli che le si fanno incontro si potrebbe giudicare che una rapida affermazione non sarà possibile, e che essa avrà pieno significato solo nel sesto periodo postatlantico (L’enigma dell’uomo. I retroscena spirituali della storia umana – Antroposofica, Milano 1973, p. 256);
09) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita – Psiche, Torino 1997, p. 49;
10) cit. in S.Prokofieff: Il significato occulto del perdonare – Il Capitello del Sole, Venezia 1993, p. 146;
11) ibid., p. 141.

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Di Francesco Giorgi
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