Scrive Steiner: “Può riconoscere l’antroposofia solo chi trova in essa quel che deve cercare per una sua esigenza interiore. Possono perciò essere antroposofi soltanto quegli uomini che sentono certi problemi sull’essere dell’uomo e del mondo come una necessità vitale, come si sente fame e sete” (1).
Ebbene, a quei pochi che si sono liberamente e totalmente votati, con umiltà, fedeltà e amore, all’antroposofia, e posti per ciò stesso al servizio, attraverso Steiner, dell’Arcangelo Michele, della Vergine-Sophia e del Cristo, e che devono portare, per questo, la croce (terrena) della solitudine, dedichiamo le seguenti parole di Miguel De Unamuno:
“L’eroe può dire: “Io so chi sono”, e in ciò consiste la sua forza e la sua disgrazia. La sua forza, perché sapendo chi è, non ha di che temer nessuno all’infuori di Dio che lo fece esser chi è, e la sua disgrazia, perché egli solo, in terra, sa chi è, e siccome gli altri non lo sanno, tutto ciò ch’egli faccia e dica sembrerà loro come fatto o detto da chi non si conosce, da un pazzo.
Cosa grande e terribile quella di avere una missione di cui solo noi siamo consapevoli e non poter essere creduti; cosa grande quanto terribile quella di aver sentito nel recondito dell’anima la voce silenziosa di Dio che dice: “Devi far questo”, mentre non dice agli altri: “Questo mio figlio deve far questo”. Cosa terribile aver udito: “Fa’ questo; fa’ ciò che i tuoi fratelli (giudicando dalla legge generale con cui governo) stimeranno follia o violazione della legge stessa; fallo, perché la legge suprema sono Io che te l’ordino”. E siccome l’eroe è l’unico che lo sente e che lo sa, e siccome l’obbedienza a quel mandato e la fede in esso è quello che lo fa esser tale, essendo perciò un eroe, può benissimo dire: “Io so chi sono, il mio Dio ed io solo lo sappiamo e non lo sanno altri” […] Io so chi sono! Nell’udire quest’arrogante affermazione del Cavaliere, non mancherà chi esclami: “Quanta presunzione ha il nostro idalgo!… Da secoli si dice e si ripete che lo sforzo maggiore dell’uomo deve essere rivolto a cercare di conoscere se stesso e che dalla propria conoscenza deriva ogni salute, ed il presuntuosissimo ci salta fuori con un: io so chi sono! Questo solo basta a misurare la profondità della sua pazzia!”.
Ebbene, ti sbagli, o tu che dici così; Don Chisciotte alludeva alla volontà, e nel dire “io so chi sono!” non disse altro che “io so chi voglio essere!”. Saper l’uomo quel che vuol essere è il cardine della vita umana. Ti importa poco saper quel che sei, quel che conta è sapere quel che vuoi essere. L’essere che rappresenti non è altro che un essere caduco e perituro, che mangia dalla terra e che la terra mangerà un giorno; quel che vuoi essere è la tua idea in Dio, Coscienza dell’Universo, è la divina idea di cui sei manifestazione nel tempo e nello spazio. E il tuo impulso propenso verso quel che vuoi essere, non è altro che la nostalgia che ti trasporta alla tua dimora divina […] Cadde l’angelo da superbo per non più rialzarsi; cadde l’uomo da ambizioso e s’è innalzato a più alto seggio di quello da cui cadde.
L’eroe solo può dire “io so chi sono!” perché per lui essere è voler essere” (3): ovvero – diciamo noi – divenire.
Note:
01) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 15;
02) M. De Unamuno: Commento al “Don Chisciotte” – Carabba, vol. I, pp. 39/42.
P.S.
Vogliamo ricordare che dobbiamo la conoscenza dell’opera di Miguel De Unamuno a Massimo Scaligero, che ci segnalò, in particolare: Del sentimento tragico della vita (Rinascimento del libro, Firenze 1937).