Massime antroposofiche
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41) “Nella terza delle Massime del gruppo precedente viene accennato all’essenza della volontà umana. Solo quando abbiamo scorto tale essenza, siamo con la nostra comprensione in una sfera del mondo nella quale agisce il destino (karma). Finché si vedono soltanto le leggi dominanti nella concatenazione delle cose e dei fatti naturali, si resta ben lontani da ciò che agisce nel destino in modo conforme a leggi”.

Continuiamo a parlare della volontà. Abbiamo detto che i minerali, i vegetali e gli animali non possono essere che ciò che sono. Potremmo anche dire, quindi, prendendo a prestito l’espressione dall’etica, che l’essere, nella natura, si presenta come un dover-essere: come un poter essere, ossia, solo ciò che si è.
Abbiamo anche detto che l’uomo è l’unico a potersi sottrarre, in quanto libero, a tale stato di necessità.
Tuttavia, il sottrarsi dell’uomo al dover-essere è un sottrarsi simultaneamente all’essere, e un pervenire così al non-essere (al fine di poter trasformare, muovendo appunto dal non-essere, il dover-essere naturale in un voler-essere spirituale).
E’ questo, in sostanza, il presupposto del problema morale, giacché può essere definito “morale” soltanto ciò che esiste in accordo con le leggi e la realtà del cosmo (fiat voluntas Tua).
L’uomo può dunque sottrarsi od opporsi a tali leggi (fiat voluntas mea), ma può anche farle liberamente sue per amore: per un amore cui abbia aperto il varco la conoscenza.
Vedete, Steiner afferma che l’amore è “la missione della Terra”: non scrive, però, una “filosofia dell’amore”, ma una “filosofia della libertà”. E perché? Perché si ama quando si è a tal punto liberi da poter donare anche la libertà (come mostrano la dedizione e l’abnegazione). Dice appunto Steiner: “Lucifero ha dato agli uomini la libertà e l’indipendenza; Cristo ha trasformato questa libertà in amore” (1).
Sapete che sono solito parlare, al riguardo, di una prima fase del nostro cammino in cui l’amore si dà come conoscenza, e di una, successiva, in cui la conoscenza si dà come amore.
La “via del pensiero”, indicata da La filosofia della libertà, è già una via dell’amore, ma una via dell’amore che si presenta appunto come una via della conoscenza.
E quand’è che la fase dell’amore come conoscenza si trasforma in quella della conoscenza come amore? Quando la luce del pensare si riunisce al calore del volere: di quel volere che altrimenti è tenebra, sonno e incoscienza.
Qual è dunque il compito? Quello di ricercare ed esperire la volontà attraverso il pensiero. Una volontà ricercata al di fuori del pensiero non può infatti che cadere nelle grinfie degli ostacolatori.
Lo dimostra il fatto che esistono, sia teorici della volontà di potenza (Nietzsche), sia della volontà d’impotenza; quest’ultimi, quando non si danno ad esempio a strologare sul “pensiero debole” (Vattimo), si danno allora a ricamare, lacrimevolmente, sulla fragilità e caducità della condizione umana.
In verità, il solo vero potere è quello dell’amore (“L’amore non domina, ma forma, e questo è più”, dice Goethe) (2). Nessuno s’illuda, tuttavia, di poterlo esercitare se non l’ha conquistato mediante un paziente e graduale sviluppo del pensiero e della coscienza.
Solo quando abbiamo scorto l’essenza della volontà, dice Steiner, “siamo con la nostra comprensione in una sfera del mondo nella quale agisce il destino (karma)”.
Che cos’è infatti il destino o il karma? E’ la volontà quale necessità: cioè a dire, una forza alla quale è già stata conferita (dalle Gerarchie, durante la vita tra morte e nuova nascita) una forma.
E che cos’è invece la libertà? E’ una forza (“totipotente”) che non ha ancora forma, e che, in ragione di ciò, può prendere (creare) tutte le forme che vuole. Una volta determinatasi in una forma, la forza comincia infatti ad agire come necessità.
Abbiamo detto, ad esempio, che le leggi che regolano il funzionamento del fegato sono diverse da quelle che regolano, che so, il funzionamento dei polmoni. I polmoni hanno quindi la loro necessità, così come il fegato ha la sua. Sentite come si esprime, al riguardo, Schelling: “Il produrre divino può dirsi lo scindersi del tutto generale nelle forme particolari (…) E’ stato dimostrato ampiamente nella Filosofia che le idee sono i mezzi speciali per cui le cose particolari possono essere in Dio, che secondo questa legge vi sono tanti universi quante sono le cose particolari, e che essendovi uguaglianza in tutte, vi è un solo universo” (3).
E noi? Noi abbiamo come nostra necessità la natura (la nostra costituzione, il nostro temperamento e il nostro carattere), e come nostra libertà l’Io. Solo facendo leva sulla libertà ci è possibile perciò modificare la necessità, e quindi il karma.
(“Il lavoro del corpo astrale – spiega Steiner – diventa destino di quello eterico, e questo, a sua volta, destino del corpo fisico; le azioni del corpo fisico ritornano infine come effetti esterni e in realtà fisica, nella prossima incarnazione” [4])
L’agire del karma è un’agire inconscio, come inconscio è l’agire della volontà. Per questo è tutt’altro che facile comprendere la trama del nostro destino.
Eppure, tale trama ha una logica. E perché ha una logica? Perché ha una forma ch’è frutto di un pensare (di un pensare nel volere): di un pensare che dovremmo arrivare a scoprire (grazie al volere nel pensare).
Dice Steiner: “Finché si vedono soltanto le leggi dominanti nella concatenazione delle cose e dei fatti naturali, si resta ben lontani da ciò che agisce nel destino in modo conforme a leggi”.
Lo prova il fatto che, per gli esseri della natura, come non si pone un problema morale, così non si pone un problema di destino.
Perché possa porsi tale problema occorre infatti che ci sia un Io: che ci sia cioè un individuo che sia portatore e responsabile di un destino.

42) “A chi in tal modo abbia compreso l’attività conforme a leggi nel destino, si palesa altresì che questo non può esplicarsi nel corso della singola vita fisica sulla terra. Finché l’uomo dimora nel medesimo corpo fisico non può far realizzare il contenuto morale della sua volontà se non per quel tanto che lo consente il corpo fisico nel mondo fisico. Solo quando l’uomo sia penetrato nella sfera dello spirito attraverso la porta della morte, l’essenza spirituale della volontà può acquistare piena realtà. Ivi perverrà all’attuazione spirituale prima il bene con le sue relative conseguenze, poi il male con le sue”.

Non mi stancherò mai di dire – lo sapete – che, per seguire la via del pensiero, occorre, sì, consapevolezza, ma anche tanta prudenza, tanto equilibrio e tanto buon senso.
Sappiamo infatti di essere qui, quali Io, per portare avanti l’evoluzione (o l’umanizzazione) del nostro corpo astrale, del nostro corpo eterico e del nostro corpo fisico, ma sappiamo pure di non poter fare tutto questo nell’arco di una sola vita. La coesistenza, in ciascuno di noi, dell’uomo vecchio (del “vecchio Adamo”) e dell’uomo nuovo (del “nuovo Adamo”), ci può rendere ambivalenti o contraddittori. Da un lato, ad esempio, possiamo esserci conquistati dei nobili ideali morali, ma, dall’altro, possiamo accorgerci di non essere ancora alla loro altezza, o di non essere ancora capaci di realizzarli (“Non comprendo quel che faccio, perché non faccio quel che vorrei io, ma quello che non voglio” – Rm 7,15).
Ciò che ci sarà stato impossibile realizzare in questa vita, si svilupperà però tra la morte e una nuova nascita, per realizzarsi nella prossima vita, o magari in altre successive.
Sapete, ormai, che possiamo distinguere due tipi caratteriali: quello nevrastenico e quello isterico; l’Io rischia di rimanere intrappolato, per quanto riguarda il primo, nel passato e, per quanto riguarda il secondo, nel futuro.
Si resta intrappolati nel passato quando si viene sopraffatti ad esempio dai sensi di colpa, mentre si resta intrappolati nel futuro quando si viene fagocitati dall’ansia o dalla brama, che, rendendo impazienti e precipitosi, fa anticipare tutto ciò che esigerebbe, invece, un lento e graduale processo di maturazione (“La gatta presciolosa – dice appunto il proverbio – fece i gattini ciechi”).
E qual è in genere l’esito di queste fughe in avanti? Lo dice Steiner stesso: la caricatura.
Se vogliamo dunque evitare esiti caricaturali (in specie in rapporto alle brame spirituali) dobbiamo sforzarci di mantenere, e quindi di creare e ri-creare incessantemente (in virtù dell’Io, ch’è il presente, quale riflesso dell’eterno) un equilibrio tra il passato e il futuro, e anche, perciò, tra la passata e la futura incarnazione.
E’ qui che si gioca infatti la partita: una partita che può essere persa, tanto se concediamo troppo spazio (come fanno inconsciamente i nevrastenici) alla precedente incarnazione, quanto se ne concediamo troppo (come fanno inconsciamente gli isterici) a quella successiva.
Sarebbe interessante, ad esempio, considerare da questo punto di vista (e avendo presente – come rivela Steiner – che non ci si può rivestire più di sette volte consecutive dello stesso sesso) i casi di quegli Io che, pur essendosi incarnati in un corpo maschile, si sentono e vogliono essere donne, o di quelli che, pur essendosi incarnati in un corpo femminile, si sentono e vogliono essere uomini.
C’è però un aspetto ancora più importante del nostro essere ambivalenti o contraddittori. Ascoltate quanto dice qui Steiner: “Nella nostra epoca ed ancora nell’avvenire, vi saranno indubbiamente molte nature – simili a quella di Goethe [ “due anime albergano nel mio petto” ] – che con una parte del loro essere ascenderanno molto in alto, mentre con l’altra rimarranno legate all’”umano troppo umano” (…) Non ha importanza se nell’uomo moderno che aspiri a salire nei mondi spirituali, l’”umano troppo umano”, nella sua figura esteriore, conviva insieme a ciò che supera l’umano: se, come in Parsifal, la “giubba del folle” faccia ancora capolino dietro l’armatura dello spirito. Quel che importa è che nell’anima vi sia la spinta verso la conoscenza, verso la comprensione spirituale; quella sete inestinguibile che è in Parsifal e che lo porta, dopo tanto errare, al Castello del Santo Graal (…) L’uomo dei tempi moderni porta in sé questa duplice natura: Parsifal che aspira e tende con ogni sforzo a salire, e il ferito Amfortas; l’uomo, conoscendo se stesso, è così che deve percepirsi” (5).
Ciò non deve diventare ovviamente un alibi, perché verremmo meno, altrimenti, al dovere dell’onestà e della veracità.
Ricordiamoci di queste parole de L’iniziazione: “Nel sentiero dell’occultismo tutto dipende dall’energia, dalla verità interiore e dalla completa sincerità, con le quali il discepolo è capace di contemplare se stesso e tutte le proprie azioni, come se si trovasse di fronte a una persona completamente estranea” (6).

43) “In tale attuazione spirituale si configura l’uomo stesso fra la morte e una nuova nascita; diventa nella sostanza una immagine di ciò che ha fatto nella vita sulla terra. Da questa sua sostanzialità egli forma poi, tornando sulla terra, la sua vita fisica. Lo spirituale che vige nel destino può trovare la sua attuazione nel fisico solo quando la sua relativa causa si sia ritirata nel dominio spirituale prima di quella attuazione. Ché quanto si esplica secondo il destino si forma dallo spirituale, non già nella serie dei fenomeni fisici”.

All’inizio della preghiera per i defunti, già ricordata, è detto: “Voi che vegliate sulle anime nelle sfere del cosmo / Voi che tessete la sostanza nelle anime del cosmo /…”.
Vedete, anche qui si parla di “sostanza”. Siamo abituati, è vero, a usare questa parola quando ci riferiamo alla realtà fisica; ciò non toglie, però, che potremmo parlare altrettanto motivatamente di una sostanza eterica (fluida), di una sostanza astrale (gassosa) e di una sostanza spirituale (calorica); il che potrebbe anzi aiutarci, almeno all’inizio, a concepire queste realtà superiori in modo un po’ meno astratto del solito.
Ciò che conta, comunque, è capire che quello che per il corpo fisico è l’ereditarietà e che per lo spirito (l’Io) è la reincarnazione, per l’anima è il destino o il karma, e che può diventare destino o karma solo ciò che viene creato nel mondo spirituale.
In altre parole, un evento verificatosi, diciamo, durante la vita terrena A, può divenire causa di un evento della vita terrena B soltanto se passa attraverso il mondo spirituale (così come, durante la vita terrena, un apprendimento può divenire capacità o facoltà soltanto se passa attraverso il sonno).
Il rapporto di destino o karmico tra la causa e l’effetto è sempre dunque indiretto. Solo nel mondo spirituale, infatti, gli eventi di una passata vita terrena (in quanto giudicati – come abbiamo visto – dalla seconda Gerarchia) possono avere conseguenze di ordine morale, ed è solo nel mondo spirituale (grazie alla prima Gerarchia) che tali conseguenze possono avere, a loro volta, conseguenze materiali, in una successiva vita terrena.

Domanda: Che cosa succede quando muoiono dei bambini, o dei neonati, che non hanno avuto modo di porre delle cause terrene?
Risposta: Immagina un individuo che si sia lasciato andare, per tutta la vita, al più becero egoismo, pensando solo a se stesso e non facendo niente per gli altri.
Dal momento che l’evoluzione consiste essenzialmente, come afferma Steiner, nel passare “dal prendere al dare” (“L’evoluzione consiste nel fatto che un essere vada acquistando sempre maggiore capacità di sacrificio”) (7), un individuo del genere potrebbe allora decidere, in una vita successiva, di pareggiare il debito contratto dal suo egoismo morendo poco dopo la nascita, per poter così mettere le forze del proprio corpo eterico a disposizione del mondo o di quelle anime che non ne hanno a sufficienza per incarnarsi.

Vorrei comunque invitarvi, riguardo ai rapporti di destino tra causa ed effetto, a tenere presente questa affermazione di Steiner: “L’animico di una vita sulla Terra si esplica nel fisico della vita terrena successiva; lo spirituale di una vita sulla Terra, nell’animico della vita terrena successiva” (8), ma ancor di più a riprendere e meditare la prima conferenza del primo dei sei volumi delle Considerazioni esoteriche su nessi karmici (9).
Vi si trovano infatti delle importanti considerazioni che Steiner stesso riassume in questo schema: a) regno minerale: contemporaneità di cause e dei loro effetti nel campo fisico; b) regno vegetale: contemporaneità delle cause nel campo fisico e soprafisico; c) regno animale: cause soprafisiche passate determinano effetti attuali; d) regno umano: cause fisiche passate determinano effetti attuali nel campo fisico (10).
Ovviamente, nel regno vegetale, il “campo soprafisico” è quello eterico, mentre, nel regno animale, le “cause soprafisiche passate” sono quelle astrali.

Domanda: Potresti dirci qualcosa di più riguardo a questo schema?
Risposta: A patto, però, che quel poco che potrò dirvi non vi induca a tralasciare lo studio della conferenza di Steiner.
Dunque, regno minerale: contemporaneità di cause e dei loro effetti nel campo fisico.
Pensate all’esempio della palla di biliardo, fatto da Steiner ne La filosofia della libertà. Una palla ne urta un’altra e questa, a causa dell’urto, si mette in movimento: il movimento della prima è dunque causa, mentre quello della seconda è effetto. Tanto l’una che l’altro si danno quindi nello stesso spazio (hic) e nello stesso tempo (nunc).
Regno vegetale: contemporaneità delle cause nel campo fisico e soprafisico.
Qui abbiamo uno stesso tempo, ma un diverso spazio. Uno stesso tempo, perché il processo (il tropismo) della pianta vive della luce che riceve nel presente, e non di quella che ha ricevuto in passato o che riceverà in futuro. Un diverso spazio, perché la causa di tale processo si trova sul piano eterico, e non su quello fisico.
Regno animale: cause soprafisiche passate determinano effetti attuali.
Qui abbiamo un diverso tempo e un diverso spazio. Un diverso spazio, perché passiamo dallo spazio fisico degli effetti (dei comportamenti) allo spazio astrale delle cause (delle qualità). Un diverso tempo, perché l’istinto dell’animale non è effetto di una causa presente, ma di una causa passata (ereditata).
Come vedete, per risalire alle cause, ci dobbiamo muovere, nel mondo vegetale, nello spazio, mentre, nel mondo animale, anche nel tempo (a ritroso).
Regno umano: cause fisiche passate determinano effetti attuali nel campo fisico. Qui abbiamo uno stesso spazio, ma diverso tempo (l’inverso – notate – di quel che abbiamo nel regno vegetale). Uno stesso spazio, perché cause terrene producono effetti terreni. Un diverso tempo, perché gli effetti si danno nella vita terrena presente, mentre le cause si danno in una vita terrena precedente.
Ciò vuol dire che, per comprendere il karma umano, dobbiamo continuare a muoverci nel tempo, finché, giunti a un limite (al limite dello spazio finito), ci accorgiamo, per così dire, di “rimbalzare”, e di tornare quindi indietro verso la Terra (verso lo spazio fisico).
Di questo fenomeno (e delle sue implicazioni), troverete spiegazione nella conferenza che vi ho indicato.

Note:

01) R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca – Antroposofica, Milano 1970, p. 102;
02) W.Goethe: Favola – Adelphi, Milano 1995, pp. 60-61;
03) F.W.J.Schelling: Quattordici lezioni su l’insegnamento accademico – Sandron, Milano-Palermo-Napoli s.d. [1911], p. 164;
04) R.Steiner: La saggezza dei Rosacroce – Antroposofica, Milano 1959, pp. 63-64;
05) R.Steiner: Parsifal e Amfortas – Tilopa, Roma 1983, pp. 62, 65 e 66;
06) R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 31;
07) R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca, p. 71;
08) R.Steiner: La formazione del destino nel sonno e nella veglia in Archivio storico della rivista Antroposofia – Antroposofica, Milano 1996, vol. II, p. 186;
09) R.Steiner: Considerazioni esoteriche su nessi karmici – Antroposofica, Milano 1985, 1987, 1988, 1989, 1990, 1992;
10) R.Steiner: Considerazioni esoteriche su nessi karmici – Antroposofica, Milano 1985, vol. I, p. 19.

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Di Lucio Russo
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