Massime antroposofiche
53/54/55

M

53) “Lo sviluppo della vita umana fra la morte e una nuova nascita avviene per gradi successivi. Durante pochi giorni subito dopo il passaggio oltre la soglia della morte si abbraccia con lo sguardo, in immagini, la precedente vita sulla terra. Questo panorama indica nello stesso tempo il distacco del portatore di questa vita dall’entità umana animico-spirituale”.

Osserva Unger: “Nelle Massime dal 53 al 55 è apparentemente ripetuto quanto è già stato dato in precedenza (Massime dal 23 al 28). In realtà si tratta però qui di fatti che furono dati riguardo al cosmo, mentre ora vengono inseriti nell’indagine del karma e della storia” (1).
Sarà bene andarsi quindi a rivedere quanto abbiamo detto quando ci siamo occupati delle massime citate da Unger.
Mi limiterò qui in breve a ricordare che “l’entità umana animico-spirituale”, dopo essersi spogliata, al momento della morte, del corpo fisico, si spoglia, dopo pochi giorni, del corpo eterico (della memoria della vita appena trascorsa), e ch’è soltanto dopo aver abbandonato il corpo eterico che comincia il kamaloka (il viaggio a ritroso nel mondo astrale).
Abbiamo detto, allora, che il corpo eterico che espiriamo viene inspirato dalla terza Gerarchia. Possiamo ora aggiungere che come noi, sulla Terra, inspiriamo ossigeno ed espiriamo anidride carbonica, così gli Angeli, gli Arcangeli e le Archài inspirano la memoria umana ed espirano la memoria cosmica (quella dell’akasha) (2).

54) “In un periodo che dura circa un terzo della vita appena compiuta sulla terra, attraverso esperienze spirituali che l’anima ha, si conosce l’effetto che la vita precedente deve avere, nel senso di un ordine universale eticamente giusto. Durante tali esperienze nasce l’intenzione di conformare la vita prossima a pareggio di quella precedente, in modo consono alle esperienze stesse”.

Abbiamo detto che la vita è una scuola, e che, sia durante il sonno, sia dopo la morte, dobbiamo sostenere degli esami. Non veniamo però promossi o bocciati, ma rimandati, nel primo caso, alla vita di veglia, nel secondo, a una nuova vita terrena.
Il primo esame che affrontiamo nel post-mortem si svolge nel kamaloka (nella regione lunare o delle “brame ardenti”): qui, dice Steiner, “attraverso esperienze spirituali che l’anima ha, si conosce l’effetto che la vita precedente deve avere, nel senso di un ordine universale eticamente giusto”.
Chiunque sviluppi, almeno in parte, i superiori gradi di coscienza può però avere già sentore, prima della morte, vuoi dell’”effetto che la vita precedente deve avere, nel senso di un ordine universale eticamente giusto”, vuoi dell’”intenzione di conformare la vita prossima a pareggio di quella precedente, in modo consono alle esperienze stesse”: può avere già sentore, cioè, di quanto nella sua vita è stato o è in accordo con l’ordine del cosmo, di quanto non lo è stato o non lo è , o di quanto addirittura lo ha contraddetto o lo contraddice.
Abbiamo detto, una sera, che la moralità consiste essenzialmente nel pensare, nel sentire e nel volere, in terra, “come in cielo”. Dire, come si fa nel Pater Noster, “venga il Tuo regno” equivale infatti a dire “venga il Tuo ordine”: quell’ordine al quale non possono sottrarsi, come abbiamo visto, i minerali, le piante e gli animali, ma al quale può sottrarsi invece l’uomo.
In quanto liberi, abbiamo dunque la possibilità, tanto di creare il dis-ordine (il caos), quanto di ri-creare l’ordine (il cosmos).
Un ordine ri-creato è però un ordine consapevolmente (liberamente) voluto, e non inconsapevolmente (necessariamente) osservato (come quello della natura).
E che cosa può darsi di più alto di una realtà ri-creata per puro amore della realtà stessa o di Dio?
(Scrive Berdjaev: “Io sono giunto a Cristo attraverso la libertà, attraverso l’esperienza immanente delle sue vie. La mia fede cristiana non è una fede nata fra le pareti domestiche, ereditata dalla tradizione di usanze avite, bensì una conquista ottenuta attraverso una tormentosa esperienza di vita, attraverso la mia libertà interiore (…) La libertà mi ha condotto a Cristo e io non conosco altra via che conduca a Lui. In quest’esperienza non sono solo. Tutti coloro che hanno abbandonato il cristianesimo dell’autorità possono tornare soltanto al cristianesimo della libertà” [3])
L’esperienza nel kamaloca ci consente insomma di comprendere ch’è bene ciò ch’è in accordo con le leggi del mondo spirituale, e ch’è male ciò ch’è in dis-accordo con tali leggi, e che va perciò corretto, tornando sulla Terra corredati di un destino che ci sproni a sviluppare le forze e le qualità interiori che ci occorrono (si sa, ad esempio, che Socrate sosteneva di aver sposato Santippe per sviluppare la pazienza).
Ciò vuol dire che le fortune e le disgrazie che ci capitano nella vita sono in realtà delle occasioni per sviluppare le forze e le qualità di cui siamo carenti.
C’è però un problema: questo lo sappiamo fintantoché siamo nel mondo spirituale, ma, una volta ridiscesi sulla Terra, non ce ne ricordiamo più.
Su tutto ciò cala infatti la tenebra della coscienza ordinaria che, offuscando la memoria, ci fa tradire la coscienza superiore (allo stesso modo in cui – nel wagneriano Crepuscolo degli dèi – la bevanda dell’oblio fa tradire, a Sigfrido, Brunilde).
Come recita infatti la preghiera per i defunti? “… la forza del ricordo deve diventare divina, / un essere divino. / Tale sarà la forza del ricordo. / Tutto ciò che nasce dall’Io / deve diventare tale da generarsi con il ricordo / trasformato dal Cristo, trasfigurato da Dio. / In Lui la luce splendente e levantesi / dal pensiero che si ricorda / illuminerà la tenebra del presente …”.
Riguardo alla memoria, Steiner fa comunque un’importante raccomandazione. Ve la leggo: “Se qualcuno fosse spinto dal proprio sviluppo occulto a dirsi improvvisamente: io sono l’incarnazione di questo o di quell’altro spirito, senza che ciò fosse giustificato in un modo qualunque dalle sue azioni precedenti, da ciò che di lui è già presente in questo mondo fisico, ciò significherebbe che, in senso occulto, la sua memoria è spezzata. Nello sviluppo occulto costituisce un principio importante quello di non attribuire a se stessi nessun valore che non scaturisca da ciò che si è compiuto nel mondo fisico, durante la presente incarnazione” (4).

55) “Segue un lungo periodo di esistenza puramente spirituale in cui l’anima umana, con altre anime umane ad essa karmicamente legate e con entità delle gerarchie superiori, configura la prossima vita sulla terra nel senso del karma”.

Dopo aver attraversato tutte le regioni del mondo animico (in cui sono variamente attive le forze della simpatia e dell’antipatia), l’uomo entra (quale Io) nel mondo spirituale, ch’è un mondo di archetipi o di “esseri-pensiero”, configurando qui “la prossima vita sulla terra nel senso del karma”.
L’arco di vita spirituale (post-mortem) che va dalla morte alla cosiddetta ”mezzanotte cosmica” serve in sostanza a dimenticare la vita terrena precedente, mentre l’arco di vita spirituale (pre-natale) che lo segue serve a ridiscendere verso la nascita terrena, e a concretizzare quindi il nuovo karma.
Alla preparazione di questo karma provvedono non solo, come abbiamo detto, la terza, la seconda e la prima Gerarchia, ma anche le anime umane che hanno un destino legato, più o meno strettamente, al nostro.
Si usa dire, talvolta, che “il mondo è piccolo” senza sapere che anche in questo modo si allude al karma.
Pensate, ad esempio, a quanti individui ci sono al mondo; di questi, la quasi totalità ci rimane estranea, mentre solo una piccolissima parte ci è o ci diventa familiare: ma in tanto lo è o lo diventa, in quanto questo ritaglio di mondo, cioè quello delle persone care, dei parenti, degli amici e dei conoscenti, è appunto il mondo del nostro karma.

Note:

01) C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 131;
02) cfr. R.Steiner: Cronaca dell’akasha – Bocca, Milano-Roma 1953;
03) N.Berdjaev: Filosofia dello spirito libero – SAN PAOLO, Cinisello Balsamo (Mi) 1997, p. 84;
04) R.Steiner: Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – Antroposofica, Milano 1985, p. 27.

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Di Lucio Russo
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