Massime antroposofiche
69/70/71 e 72/73/74/75 – 1°

M

Questi due gruppi di massime seguono la lettera intitolata: Regni spirituali del cosmo e autoconoscenza umana (27 luglio 1924).
Cominceremo, come abbiamo già fatto, con la lettera, e ci occuperemo poi delle massime.
Alle considerazioni relative al rapporto tra la terza Gerarchia e il pensare, tra la seconda e il sentire e tra la prima e il volere, se ne aggiungono qui altre relative al rapporto tra la terza Gerarchia e il ricordo, tra la seconda e il linguaggio e tra la prima e il movimento.

(…) Una vera autoconoscenza dell’uomo può diventare la guida verso quei regni spirituali [delle Gerarchie]. Quando si tenda in giusto senso verso una tale autoconoscenza, in essa si aprirà la comprensione per le conoscenze che l’antroposofia trasmette osservando la vita del mondo spirituale. Bisogna però esercitare l’autoconoscenza nel suo vero senso, e non in quello di una semplice contemplazione della propria interiorità” (p. 44).

Ricordate ciò che abbiamo detto una sera? Che il “nosce te ipsum”, psicologizzato, c’imprigiona nel mondo ”interno” (psichico), impedendoci così di penetrare nel mondo ”esterno dell’interno” (spirituale).
C’è dunque un’autoconoscenza (reale) che apre le porte alla conoscenza “dell’universo e degli Dèi” (come voleva l’oracolo di Delfi), e ce n’è un’altra (illusoria) che si risolve in “una semplice contemplazione della propria interiorità”.
Porsi il problema dell’autoconoscenza significa porsi il problema della conoscenza dell’uomo in quanto “uomo”, e non in quanto Tizio, Caio o Sempronio, giacché è solo dalla conoscenza dell’uomo in quanto tale, che ciascuno (ogni Io) può ricavare quella della sua particolare e contingente personalità (vale a dire, del piccolo “Guardiano della soglia”).
Ricordiamoci che il cammino dell’uomo medioevale (dell’uomo dell’anima razionale-affettiva) discendeva dalla teologia all’antropologia, mentre quello dell’uomo moderno (dell’uomo dell’anima cosciente) deve risalire dall’antropologia alla teologia.
Questo è possibile, però, solo basandosi sull’antroposofia, e non sull’odierna antropologia, ridottasi ormai a zoologia.

In una simile e vera autoconoscenza si trova innanzi tutto ciò che vive nel ricordo. In immagini di pensiero si richiamano alla coscienza le ombre delle viventi esperienze immediate nelle quali ci si era trovati in passato (…) Chi porta in sé un ricordo non può, con la stessa immediatezza, guidare lo sguardo dell’anima verso l’esperienza che continua ad agire nel ricordo. Se però riflette veramente sul suo proprio essere dovrà dirsi: “Sulla base della mia entità animica sono diventato ciò che le esperienze hanno fatto di me, quelle esperienze che gettano la loro ombra nel ricordo”. Nella coscienza compaiono le ombre del ricordo; nell’essere animico risplende ciò che nel ricordo è ombra. La morta ombra agisce nel ricordo; l’essere vivente agisce nell’anima nella quale è attivo il ricordo” (pp. 44-45).

Non è facile capire quanto dice qui Steiner se non si distingue il ricordo in sé dalla rappresentazione del ricordo in sé.
Come la “rappresentazione” presuppone infatti il “percetto-concetto” (ossia il contenuto del quale è immagine), così l’“immagine mnemonica” presuppone il “ricordo in sé”.
(Ne L’uomo, sintesi armonica delle attività creatrici universali, Steiner collega il processo interiore mediante il quale fuoriesce, dal “ricordo in sé”, l’”immagine mnemonica” al processo esteriore mediante il quale, dall’uovo deposto dalla farfalla, fuoriesce la farfalla, dopo essere naturalmente passata per gli stadi di bruco e di crisalide [1].)
Fatto sta che, quando si evoca un ricordo, si fa qualcosa di analogo a quel che si fa quando ci si rappresenta un oggetto del mondo fisico, con la differenza che quando si ha a che fare con una percezione esteriore ci si rappresenta un contenuto del mondo fisico, mentre quando si ha a che fare con una percezione interiore (con un “ricordo in sé”) ci si rappresenta un contenuto del corpo eterico.
Nella stessa misura in cui “siamo” un corpo eterico “siamo” quindi il nostro (vivente) passato, la nostra (vivente) memoria o i nostri ricordi (in sé), e per ciò stesso frutto, come dice Steiner, di “quelle esperienze che gettano la loro ombra nel ricordo” (nell’immagine mnemonica).
(“Volendo fare uno schema, – esemplifica – formo ora la rappresentazione “dieci” e dopo qualche tempo essa si ripresenta, ma non è vero che è la stessa rappresentazione che è passata e che ritorna. Ciò che rimane è un inconscio engramma [il “ricordo in sé” ] che si è formato come processo parallelo mentre avevo la rappresentazione; quello percepisco quando ho la nuova rappresentazione. Il primo “dieci” si presenta come risultato di una sollecitazione dall’esterno, e quando si ripresenta è il risultato di una sollecitazione interiore: percepisco qualcosa dall’interno e lo ricordo” [2].)
Che cosa significa dunque “ricordare”? Significa riportare al presente, in veste di immagine mnemonica (di “ombra del ricordo”), il “ricordo in sé”, che vive (e “risplende”) in noi quale passato.

(…) Mediante il ricordo si osserva l’elemento spirituale della propria anima. Per la coscienza abituale tale osservazione non arriva ad afferrare veramente ciò verso cui lo sguardo è indirizzato. Si osserva qualcosa, ma lo sguardo non incontra realtà alcuna. Con la conoscenza immaginativa l’antroposofia fa rilevare tale realtà. Essa indirizza da ciò che è ombra a ciò che risplende. Lo fa parlando del corpo eterico dell’uomo. Essa mostra come nelle immagini-ombra del pensiero agisca il corpo fisico, e come in ciò che risplende viva il corpo eterico. Con il corpo fisico l’uomo è nel mondo sensibile; con il corpo eterico è nel mondo eterico. Nel mondo sensibile egli ha qualcosa che lo circonda; ha un mondo circostante anche nel mondo eterico. L’antroposofia ne parla come del primo mondo nascosto nel quale l’uomo si trova. E’ il regno della terza gerarchia” (p. 45).

Sappiamo, grazie ai nostri studi, che il “ricordo in sé” ha la stessa natura del “percetto-concetto”, che è forma (potenziale), ma non ha forma (attuale).
Occorre tuttavia distinguere, all’interno del “percepire-pensare”, un percepire-pensare relativo al passato (quello delle immagini mnemoniche cosiddette “a breve” o “a lungo termine”), un percepire-pensare relativo al presente (quello delle immagini percettive tridimensionali) e un percepire-pensare relativo al futuro (quello delle immaginazioni creatrici).
L’antroposofia, dice Steiner, “mostra come nelle immagini-ombra del pensiero agisca il corpo fisico, e come in ciò che risplende viva il corpo eterico”. La rappresentazione presente del passato, cui dobbiamo la normale coscienza del ricordo (l’immagine mnemonica), è infatti dovuta, al pari di ogni altra rappresentazione, al corpo fisico (al cervello).
“La parte ricoperta dal lobo cerebrale esterno – precisa infatti Steiner – appartiene unicamente alla Terra: quello che sta sotto [la massa cerebrale bianca], è connesso con la terza gerarchia” (3).
Una cosa, dunque, è “avere – come si usa dire – un passato” (vale a dire, un corpo eterico o della memoria), altra avere coscienza di tale passato, in quanto ci si rappresenta (grazie al corpo fisico) un contenuto animico-spirituale che vive e opera nella sfera eterica. Teniamo presente, in proposito, che c’è un’attività dell’eterico ch’è vita del pensiero e un’attività dell’eterico ch’è vita del corpo, e ch’è perciò necessario, anche a questo livello, ricercare un equilibrio. Nei tipi “stenici” o “isterici”, ad esempio, l’attività corporea dell’eterico prevale su quella pensante (e della memoria cosciente), mentre nei tipi “astenici” o “nevrastenici”, si verifica il contrario.
Il mondo eterico, dice Steiner, “è il regno della terza Gerarchia”: è cioè il regno delle entità spirituali operanti nella sfera della “vita della luce”.
Abbiamo già detto che la terza Gerarchia è quella della verità. Varrà quindi ricordare che ciò che nel corpo astrale è egoismo, nel corpo eterico è errore o menzogna e, nel corpo fisico, malattia o morte.
Passiamo adesso dalla realtà del ricordo a quella, ancora più profonda, del linguaggio.

Nello stesso modo in cui ci si è accostati al ricordo, ci si avvicini ora al linguaggio. Esso scaturisce dall’interiorità dell’uomo come il ricordo. In esso l’uomo si lega con un essere, come nel ricordo egli si lega con le proprie esperienze. Nella parola vive anche un elemento d’ombra (…) Le parole sono ombre. Che cosa risplende in esse? Qualcosa di più forte, perché le parole sono ombre più forti dei pensieri mnemonici. Ciò che nel sé umano può creare dei ricordi nel corso di una vita terrena, non può creare le parole. L’uomo deve apprenderle assieme con gli altri uomini. Deve partecipare un essere che in lui giace più nel profondo che non quello che getta le ombre del ricordo. Sulla base della conoscenza ispirata, l’antroposofia parla qui del corpo astrale, così come parla del corpo eterico di fronte al ricordo” (pp. 45-46).

Nel linguaggio, dice Steiner, l’uomo “si lega con un essere, come nel ricordo si lega con le proprie esperienze”.
Ciò significa che si varca qui il confine personale dei ricordi e della memoria, per entrare nella sfera interpersonale del linguaggio, cui si deve la possibilità di esprimere (di portar fuori quanto si ha dentro) e di comunicare (le parole si apprendono “assieme con gli altri uomini”).
In questa sfera superiore, ch’è quella del corpo astrale, regna la seconda Gerarchia. Per questo, “le parole sono ombre più forti dei pensieri mnemonici” (collegati al corpo eterico e alla terza Gerarchia).
Potremmo anche dire, volendo, che l’Io che agisce nel corpo eterico è l’Io che, in virtù degli Angeli, degli Arcangeli e delle Archài, ricorda, mentre l’Io che agisce nel corpo astrale è l’Io che, in virtù degli Spiriti della forma, degli Spiriti del movimento e degli Spiriti della saggezza, parla.
Va inoltre ricordato che la sfera solare della seconda Gerarchia è la sfera della Vergine-Sophia, ossia la sfera di Colei che consente al Logos (per l’appunto alla Parola) d’incarnarsi.
(Afferma Steiner che “la parola [il Verbo] significa addirittura l’io dell’uomo” [4], e gli ortodossi sostengono che gli Angeli, allorché il Verbo si fece carne, per lo stupore ammutolirono e si levò, per la prima volta, il canto della Vergine.)
Chi ha letto Le dodici notti sante e le Gerarchie spirituali di Prokofieff (5), forse ricorderà che l’impulso della Vergine-Sophia risale dalla sfera zodiacale dei Pesci (ch’è quella dell’uomo) fino alla sfera della Vergine, mentre l’impulso del Cristo discende dalla sfera zodiacale dell’Ariete (dell’Agnus) fino alla sfera della Bilancia, e ch’è perciò nelle sfere della Vergine e della Bilancia che avviene l’incontro tra l’impulso ascendente della Vergine-Sophia e quello discendente del Cristo.
Ebbene, quanto accade nel macrocosmo accade pure nel microcosmo (nel linguaggio, dice appunto Steiner, “l’uomo si lega con un essere”). L’impulso della Parola (del Cristo) si esprime infatti nell’uomo in virtù della mediazione della seconda Gerarchia e della Vergine-Sophia (la “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” dell’Apocalisse): la Parola si esprime ossia mediante le parole, che, per un verso, la rivelano (la fanno “risplendere”) e, per l’altro, l’adombrano (sono “ombre”).
Passiamo adesso al movimento.

(…) Il movimento del parlare si libera dall’essere dell’uomo che rimane fermo. L’uomo nel suo complesso si mette invece in movimento quando egli rende attiva la sfera delle sue membra. In questo movimento l’uomo non è meno espressivo di quanto non lo sia nel ricordo e nel linguaggio (…).
L’antroposofia indica quale ulteriore parte costitutiva dell’entità umana ciò che così si esprime. Sulla base della conoscenza intuitiva essa parla del “vero sé” o dell’”io”. Anche per questo essa trova un mondo circostante: è quello della prima gerarchia
” (p. 46).

Osservate i bambini: prima imparano a camminare (a orientarsi nello spazio), poi a parlare e infine a pensare. Continueranno in seguito a camminare, parlare e pensare senza avere però coscienza, come tutti noi, delle forze intuitive (legate all’Io) che presiedono al movimento, di quelle ispirate (legate al corpo astrale) che presiedono al linguaggio e di quelle immaginative (legate al corpo eterico) che presiedono al pensare (e al ricordo).
Ricordiamoci, ancora una volta, che una cosa sono le ordinarie attività incoscienti dell’intuizione, dell’ispirazione e dell’immaginazione, altra quelle della coscienza intuitiva, della coscienza ispirata e della coscienza immaginativa.
Come solo alla luce della coscienza immaginativa è possibile dunque scoprire, dietro il pensiero, l’attività della terza Gerarchia, e come solo alla luce della coscienza ispirata è possibile scoprire, dietro il linguaggio, l’attività della seconda Gerarchia, così è solo alla luce della coscienza intuitiva ch’è possibile scoprire, dietro il movimento, l’attività della prima Gerarchia.
Che l’uomo “che si muove in tutto il suo essere”, come dice Steiner, esprima “qualcosa”, è dimostrato non solo dalla gestualità (dagli arti), ma anche dalla mimica facciale (tanto che usiamo dire che il volto è lo “specchio dell’anima”).
Volendo (ma con molta approssimazione), potremmo paragonare l’espressività del ricordo (del pensare) a quella di un film muto, l’espressività del linguaggio (del pensare-sentire) a quella di un film sonoro, e l’espressività del movimento (del pensare-sentire-volere) a quella di uno spettacolo teatrale o di un’opera lirica.

In quanto l’uomo si avvicina ai suoi pensieri mnemonici, gli viene incontro una prima parte soprasensibile, il suo essere eterico; e l’antroposofia gli indica il relativo mondo circostante. In quanto l’uomo si afferra quale essere che parla, gli viene incontro la sua entità astrale. Questa non viene più afferrata soltanto in ciò che agisce interiormente, come il ricordo. Viene guardata dall’ispirazione, come ciò che nel parlare, movendo da un elemento spirituale, dà forma a un processo fisico. Parlare è un processo fisico. Alla sua base vi è l’attività derivante dal regno della seconda gerarchia. In tutto l’uomo in movimento è presente una più intensa attività fisica che non nel parlare. Non viene data forma a qualcosa nell’uomo; tutto l’uomo viene formato (…)” (pp. 46-47).

L’uomo sta dunque in mezzo, tra gli esseri della natura e quelli dello spirito. E come può trovare in se stesso la natura, perché ha appunto in se stesso il regno minerale, il regno vegetale e quello animale, così può trovare in se stesso lo spirito, perché ha appunto in se stesso il pensare (regno della terza Gerarchia), il sentire (regno della seconda Gerarchia) e il volere (regno della prima Gerarchia).

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Di Lucio Russo
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