Massime antroposofiche
147/148/149 – 1°

M

Cominceremo stasera una lettera divisa in due parti (una del 18 e l’altra del 25 gennaio 1925), entrambe intitolate: Che cosa si manifesta volgendo lo sguardo alle precedenti vite fra morte e nuova nascita.
In questa lettera, lo sguardo è volto alle “precedenti vite fra morte e nuova nascita”, mentre in quella che abbiamo letto la volta scorsa era volto alle “ripetute vite terrene”.
Parlando di queste, abbiamo individuato tre stadi “filogenetici” (quelli della “storia celeste”, della “storia mitologica” e della “storia terrena”) che abbiamo paragonato a quelli “ontogenetici”, rispettivamente, della vita intrauterina, nella quale siamo ancora nel grembo delle entità divino-spirituali, dell’età evolutiva, nella quale siamo guidati da tali entità, e dell’età adulta, nella quale ci rendiamo indipendenti. E abbiamo anche visto che possiamo farci un’idea del primo stadio grazie alla nostra vita di pensiero: in questa sfera, infatti, siamo ancor oggi nel grembo delle entità divino-spirituali, in quanto siamo nel grembo degli universali, cioè dei concetti o delle idee.
Ascoltate quanto dice Sant’Agostino ne Le confessioni: “La memoria contiene altresì i rapporti e le numerosissime leggi dell’aritmetica e della geometria, nessuna delle quali è stata impressa dai sensi esterni, non essendo affatto colorate o sonore, o odorose, non sapide, non tangibili. Quando se ne discute, percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un’altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini, né di qualsiasi altra lingua” (1).
I concetti non sono greci né latini, ma i greci e i latini potevano intendersi perché ciò che i primi esprimevano in un modo e i secondi in un altro era una stessa realtà (appunto, un “universale”).
Cominciamo dunque a leggere la prima parte (18 gennaio 1925).

Nella lettera precedente abbiamo esaminato il complesso della vita umana in modo da volgere lo sguardo dell’anima al succedersi delle vite terrene. Un altro punto di vista, atto ad illuminare ancora più chiaramente ciò che il primo ci ha manifestato, sarà di considerare le vite successive fra la morte e una nuova nascita” (p. 160).

Passando da una fase all’altra della nostra storia, cambia il nostro livello di coscienza e, di conseguenza, la nostra esperienza del post mortem.
Vediamo, dunque, come si presenta tale esperienza.

Anche qui ci si mostra che il contenuto di queste vite, nella sua forma attuale, risale soltanto fino ad un dato punto dell’evoluzione della terra. Tale contenuto attuale è invero determinato dal fatto che l’uomo trasferisce attraverso la porta della morte la forza interiore dell’autocoscienza conquistata nella vita sulla terra. Grazie a ciò l’uomo viene a trovarsi come un individualità completa anche di fronte agli esseri divino-spirituali nella cui cerchia egli entra” (p. 160).

Allo stadio attuale (quello della “storia terrena”), l’Io, dopo la morte, è un Io autocosciente che si presenta come tale (in grazia del Cristo) anche di fronte agli Io più evoluti: anche a quelli, cioè, delle Gerarchie (“Come nel periodo tra nascita e morte al mattino ci immergiamo nel nostro corpo per raggiungere uno stato di coscienza, così anche con la morte dobbiamo immergerci in qualcosa per ottenere coscienza e questo qualcosa è il Cristo”) (2).

Così non era in un periodo precedente. Allora l’uomo non era ancora avanzato nello sviluppo della sua autocoscienza. La forza conseguita sulla terra non bastava ad effettuare il distacco dal mondo divino-spirituale fino al punto da conferirgli un’esistenza individuale fra la morte e una nuova nascita. Allora l’uomo non viveva più nel seno degli esseri divino-spirituali, ma era tuttavia inserito nell’orbita della loro attività in modo che il suo volere era essenzialmente il loro volere, non il suo” (p. 160).

“Così non era in un periodo precedente” (quello della “storia mitologica”), giacché c’era l’Io, ma non ancora la coscienza dell’Io.
Sentite ciò che dice Christine Mohrmann nella sua introduzione a Le confessioni di Sant’Agostino: “L’autobiografia, nel pieno senso della parola, cioè il racconto regolare di esperienze personali, esterne e interne, è un fenomeno, nel mondo antico, assai raro (…) I Romani s’interessano in generale più dei Greci all’elemento individuale ed evolutivo; e, nel dominio dell’arte figurativa, hanno doti particolari per riuscire nel ritratto. Ciò nonostante, l’autobiografia nel pieno senso della parola è stata pochissimo praticata dai Romani (…) Gli autobiografi romani, rarissimi del resto, preferiscono al racconto personale uno stile impersonale, anzi protocollare, e per di più in terza persona” (3).
Per quale ragione? Per l’ovvia ragione che solo un’autocoscienza matura può avvertire il desiderio o il bisogno di redigere un’autobiografia (cioè a dire, una storia dell’ego).
Dice Steiner: “Allora l’uomo non viveva più nel seno degli esseri divino-spirituali, ma era tuttavia inserito nell’orbita della loro attività in modo che il suo volere era essenzialmente il loro volere, non il suo”.
Non siamo ancora, dunque, al punto di rottura (quello della “storia terrena”): lo saremo solo quando l’uomo dirà: fiat voluntas mea.

Questo periodo è stato preceduto da un altro nel quale, guardando indietro, non incontriamo affatto l’uomo nella sua presente costituzione animico-spirituale, ma troviamo il mondo degli esseri divino-spirituali in seno ai quali vi è l’uomo quale germe. Quegli esseri sono i principati (archai) ” ( p. 161).

Scrive Sant’Agostino: “Proprio Signore io mi snervo in tali questioni, mi snervo in me stesso”.
Ebbene, anch’io, nel mio piccolo, anzi piccolissimo, mi sono “snervato in me stesso” cercando di mostrare, nell’articolo intitolato: La logica hegeliana e le Gerarchie spirituali (7 dicembre 2003), come sia possibile fare quel “passo” (così lo chiama Steiner) che permette di ascendere dalla luminosa, ma astratta logica di Hegel alla realtà delle entità divino-spirituali.
Abbiamo detto e ripetuto che la storia celeste è tuttora presente nella sfera del pensiero, e abbiamo visto che in questa sfera sono presenti gli Angeli, gli Arcangeli e le Archài: cioè a dire, quelle entità della terza Gerarchia che, a suo tempo, abbiamo messo rispettivamente in rapporto con l’immagine precosciente, con l’attività del giudicare e con i concetti.

E nel riandare a ritroso la vita di un uomo, non incontriamo solo un essere divino-spirituale, ma tutti gli esseri appartenenti a quella gerarchia.
In quegli esseri divino-spirituali vive la volontà che l’uomo divenga. La volontà di tutti partecipa al divenire di ogni singolo uomo. La loro collaborazione corale ha per mèta universale la creazione della figura umana perché l’uomo vive nel mondo divino-spirituale, ancora non formato
” (p. 161).

Nel “riandare a ritroso”, nel riandare cioè dalla storia terrena a quella mitologica e dalla storia mitologica a quella celeste, non incontriamo solo l’Angelo custode (“solo un essere divino-spirituale”), ma una molteplicità o un “coro” di entità divino-spirituali (“appartenenti a quella Gerarchia”: ossia, alla terza).
In questi “esseri divino-spirituali – dice Steiner – vive la volontà che l’uomo divenga. La volontà di tutti partecipa al divenire di ogni singolo uomo”.
Questa volontà è in primo luogo quella (creatrice) delle Archài, ma è ovvio che alle spalle della loro volontà, c’è quella della seconda e della prima Gerarchia (nonché, s’intende, quella della Trinità).
Che cosa abbiamo visto, infatti, quando ci siamo occupati de La scienza occulta? Che durante la fase evolutiva dell’antico-Saturno (in cui fecero la loro esperienza umana le odierne Archài) operarono i Troni, appartenenti alla prima Gerarchia, mentre durante quelle dell’antico-Sole (in cui fecero la loro esperienza umana gli odierni Arcangeli), dell’antica-Luna (in cui fecero la loro esperienza umana gli odierni Angeli) e della Terra (in cui siamo noi a fare la nostra esperienza umana) operarono, nell’ordine, gli Spiriti della saggezza, gli Spiriti del movimento e gli Spiriti della forma, appartenenti alla seconda Gerarchia.
La nostra avventura comincia dunque come avventura “celeste” (corporea), diventa poi avventura “mitologica” (animica) e infine avventura “terrena” (spirituale).
“La loro collaborazione corale – dice Steiner – ha per mèta universale la creazione della figura umana perché l’uomo vive nel mondo divino-spirituale, ancora non formato”.
Teniamo ben presente, a questo proposito, che una cosa è la “figura” (la forma) umana, altra la sostanza (minerale) di cui si riempie sulla Terra (e che si rinnova ogni sette-otto anni), e che tale figura è, di fatto, “una e trina” (testa, petto, addome-arti).
Va rilevata, al riguardo, la singolare contraddizione in cui cadono quanti affermano (come ad esempio i cattolici) che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio (del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo), negando, al contempo, che sia uno e trino: che sia cioè costituito di corpo, anima e spirito.

Può forse sembrare strano che per un solo uomo operi tutto il coro degli esseri divino-spirituali. Ma già prima avevano spiegato così la loro azione creativa, attraverso le evoluzioni della Luna, del Sole e di Saturno, le gerarchie di exusiai [Spiriti della forma] , dynameis [Spiriti del movimento] , kyriotetes [Spiriti della saggezza] , troni, cherubini e serafini, affinché l’uomo divenisse” (p. 161).

“Può forse sembrare strano – dice Steiner – che per un solo uomo operi tutto il coro degli esseri divino-spirituali”: vale a dire, l’intero macrocosmo.
Ci sembrerà però meno strano se ci sforzeremo d’immaginare che il macrocosmo si sia contratto fino a ridursi a un “punto” (a uomo), per potersi poi ri-espandere, a partire da questo stesso punto (in virtù dell’incarnazione del Logos), così da arrivare a creare un nuovo macrocosmo (una nuova “sfera”).
E’ un pensiero da meditare: il macrocosmo diviene microcosmo perché il microcosmo divenga un nuovo macrocosmo.
Il che vuol dire che il macrocosmo, per potersi rinnovare (cristificare), deve passare attraverso l’uomo.
Dirà tra breve Steiner: “L’uomo è l’ideale degli Dèi, la meta degli Dèi”.
(Scrive Hella Wiesberger: “Possiamo ricavare dalle indicazioni di Rudolf Steiner come ci si possa avvicinare all’uomo soltanto se si può comprendere “in modo molto intimo” che un cerchio è un punto e un punto è un cerchio, e come anche le tendenze formative che stanno alla base della figura umana possano essere riconosciute partendo dalla dinamica della polarità punto-sfera; infatti, “il punto-io del capo diviene cerchio nell’uomo del ricambio, che naturalmente ha la sua configurazione”” [4].)

Quella specie di precursore dell’uomo che si formò prima su Saturno, Sole e Luna, non aveva ancora una figura unitaria. In alcuni di quegli esseri pre-umani prevaleva il sistema delle membra, in altri il sistema del torace, in altri ancora il sistema della testa. Erano beninteso veri uomini; qui vengono chiamati esseri pre-umani solo per distinguerli dallo stadio successivo in cui il confluire equilibrato di tutti i sistemi appare nella figura umana. In quegli esseri pre-umani la differenziazione va anche più oltre: si può parlare di uomini in cui prevalgono o il cuore, o i polmoni, o altro.
La gerarchia delle archai considera suo compito l’introdurre nella figura umana generale tutti quegli esseri pre-umani, la cui vita animica pure corrispondeva a quella loro struttura unilaterale
” (p. 161).

Non so se sapete che esistono, riguardo alla eziologia delle “malattie mentali” (delle nevrosi e delle psicosi), due principali orientamenti: quello “organicista” (che sarebbe più appropriato definire “meccanicista”), che le considera “somatogene”, generate cioè da malformazioni o disfunzioni fisiche; quello “psicodinamico”, che le considera invece “psicogene”, generate cioè da fissazioni o regressioni psichiche o psico-sessuali.
Ebbene, quanti seguono quest’ultimo orientamento rimarrebbero di sicuro sconcertati ove apprendessero, dai testi di medicina antroposofica, che tali disturbi possono essere generati da malformazioni o disfunzioni dei cosiddetti organi “cardinali”: vale a dire, del cuore, dei reni, del fegato o dei polmoni.
Ma gli “organi” di cui parla la medicina antroposofica non sono gli stessi di cui parlano gli organicisti (meccanicisti), giacché questi ne considerano soltanto la parte fisico-chimica, mentre quella ne considera anche la parte animico-spirituale.
Che cosa è infatti un “organo”? E’ un essere, un’entità o un Io che ha un corpo astrale (una legge), un corpo eterico (una fisiologia) e un corpo fisico (un’anatomia).
Come si vede, siamo in presenza di due opposti riduzionismi: di quello degli organicisti (meccanicisti), che non sanno vedere (arimanicamentre) l’animico-spirituale negli organi fisici (e che per di più osservano il solo cervello o il solo sistema neurosensoriale), e di quello degli psicodinamici, che non sanno vedere (lucifericamente) gli organi fisici nell’animico-spirituale.
Sia il riduzionismo degli uni, sia quello degli altri impediscono perciò di realizzare ch’è l’animico-spirituale degli organi (cioè, l’”organizzazione incosciente dell’Io”) a invadere, straripando (istericamente), quello del soggetto (cioè, l’”organizzazione cosciente dell’Io”) (5), infirmandone così l’equilibrio.
Chi se ne fosse guadagnata la capacità potrebbe infatti distinguere, per dirne solo una, le alterazioni “epatiche” del giudicare (i deliri epatici) da quelle “renali” (dai deliri renali), giacché le immaginazioni legate alla vita del fegato (di Giove) sono diverse da quelle legate alla vita del rene (di Venere).
(Teniamo presente che può anche accadere il contrario: ossia, che l’animico-spirituale del soggetto venga imprigionato [coattivamente] in quello degli organi, provocando magari delle convulsioni. Chi voglia saperne di più, riguardo in specie all’infanzia, legga di Steiner: Corso di pedagogia curativa [6]. Chi voglia farsi invece un’idea delle relazioni tra le immaginazioni e gli organi del corpo umano, legga, sempre di Steiner: Miti e misteri dell’Egitto [7].)
Dice Steiner: “Quella specie di precursore dell’uomo che si formò prima su Saturno, Sole e Luna, non aveva ancora una figura unitaria. In alcuni di quegli esseri pre-umani prevaleva il sistema delle membra, in altri il sistema del torace, in altri ancora il sistema della testa”.
La figura (la forma) degli esseri “pre-umani”, in quanto determinata dal prevalere di uno di tali sistemi (e dei relativi organi), non era ancora “unitaria”, poiché è solo l’Io (in quanto sovraordinato ai sistemi e agli organi) a poterla rendere tale.
Pensate, ad esempio, alla flora e alla fauna che vivono nel nostro intestino. Non è l’Io a tenerle normalmente a bada, impedendo loro di venir meno (per eccesso o per difetto) alla funzione che sono deputate a svolgere? E che dire, poi, di quelle cellule che proprio per il fatto di aver preso a vivere la propria vita, senza più curarsi di quella dell’organismo (dell’Io) di cui fanno parte, generano i tumori?
(Del periodo “embrionale” dell’ontogenesi, che segue il periodo “germinale” e precede quello “fetale”, ricapitolanti nel loro insieme la filogenesi, così scrive Karl König: “In principio compare una colonna vertebrale semplice e primitiva. Viene seguita da indicazioni del cervello e del midollo spinale. Allo stesso tempo si sviluppa l’intestino, si forma il cuore, il fegato e i polmoni iniziano a crescere. E’ come se da diversi angoli sorgessero improvvisamente i vari organi. Inizia un infinito modellare e dar forma: compaiono occhi e orecchie, si formano le narici e le labbra. Si sviluppano la laringe e i reni, ma tutto ciò è ancora lontano dall’aver forma e ordine. Per esempio la testa è enorme in confronto al resto del corpo. La massa del fegato è schiacciante, mentre braccia e gambe sono come minuscole gemme, appena visibili. Il viso non ha ancora una fisionomia umana in questa fase; […] solo verso la fine del secondo mese, nel corso della settima e dell’ottava settimana l’embrione assume gradualmente una sembianza umana […] Poi segue il periodo fetale. E’ una successiva crescita e completamento. I vari organi iniziano a funzionare e si mettono in relazione gli uni con gli altri” [8].)
Insomma: gli organi del corpo eterico-fisico stanno agli orchestrali come l’Io sta a colui che li dirige.
Dice ancora Steiner: “La Gerarchia delle archài (degli Spiriti della personalità) considera suo compito di introdurre nella figura umana generale tutti quegli esseri pre-umani, la cui vita animica pure corrispondeva a quella loro struttura unilaterale”. La vita animica del cuore, del rene, del fegato e dei polmoni devono dunque coesistere: per poterlo fare, devono però stare al servizio dell’Io che le subordina.
Stiamo parlando ovviamente del corpo astrale: ossia di quel corpo che, come sappiamo, è una sorta di Pantheon, in cui vivono e convivono gli Dèi.

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Di Lucio Russo
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