Massime antroposofiche
159/160/161 – 1°

M

Affronteremo stasera una nuova lettera, intitolata: Gnosi e antroposofia (15 febbraio 1925).
Ho ricordato, una sera, rispondendo a una domanda (lettera 9 novembre 1924), che il Dizionario di teologia di Karl Rahner ed Herbert Vorgrimler, alla voce “Antroposofia”, rimanda alle voci “Gnosi” e “Intuizione” (1), e ho fatto notare che si tratta di un errore, giacché l’antroposofia è, sì, una “via della conoscenza”, ma una “via” dell’anima cosciente, e quindi una “via” che non ha nulla a che fare con la “gnosi” dell’anima razionale-affettiva.
L’antroposofia è scienza (“scienza dello spirito”) e, come tale, supera non solo, come auspica Berdjaev (lettera 2 novembre 1924), lo “gnosticismo anticristiano”, ma anche lo “gnosticismo cristiano” (dell’anima razionale-affettiva) e l’”agnosticismo” (della scienza naturale).
“Si scoprirà un giorno – afferma Steiner – che, se la si comprende veramente, essa [l’antroposofia] contiene un elemento di scienza molto più reale del sogno scientifico dei secoli passati”) (2).
E’ però difficile capirlo, se non si è realizzato che cos’è che rende “scienza” la scienza, che cos’è che la rende “altro” dalla filosofia o dalla teologia.
Ascoltate, comunque, quanto dice lo stesso Steiner: “E’ un disconoscimento della moderna scienza dello spirito il confonderla con la gnosi: non si tratta di questo. La gnosi è qualcosa che visse nei primi secoli cristiani e che poi rimase sepolta, come un antico strato geologico: essa non può più rinascere nella forma antica, altrimenti assumerebbe un carattere luciferico. La scienza dello spirito odierna, o antroposofia, deve scaturire interamente dal nostro tempo; proprio essa deve tenere pienamente conto di tutti i grandi progressi scientifici del nostro tempo” (3).
Cominciamo dunque a leggere.

Allorché si compì il mistero del Golgota, la “gnosi” era il modo di pensare di quella parte dell’umanità che era capace a tutta prima di portare incontro al massimo evento dell’evoluzione umana una comprensione non soltanto del sentimento, ma della conoscenza.
Se vogliamo capire quale fosse l’atteggiamento dell’anima in cui la gnosi viveva negli uomini, dobbiamo renderci conto che l’epoca di questa
[notate, “di questa”] gnosi fu quella dello sviluppo dell’anima razionale o affettiva” (p. 181).

Volete un esempio di “quale fosse l’atteggiamento dell’anima in cui la gnosi viveva negli uomini”? Bene, leggete allora, di Jean Daniélou, Origene. Il genio del Cristianesimo.
Vedrete così che Origene (185-254), “con Sant’Agostino, il più grande genio del Cristianesimo antico”, privilegiava “l’intelligenza spirituale”, sosteneva, come scrive Daniélou, che “il prete è il dottore. Perché la nuova Legge ha per altare le anime viventi che hanno sostituito gli altari di pietra”, distingueva l’“Adamo psichico” dall’“Adamo spirituale”, e affermava esplicitamente che “occorre inscrivere nella propria anima le parole della Scrittura in tre maniere: al fine che il semplice sia edificato con la lettera stessa della Scrittura – che è quello che noi chiamiamo il senso ovvio (πρόχειρον) -, che colui che è salito più in alto sia edificato con l’anima della Scrittura e che il perfetto lo sia con la Legge spirituale, che contiene l’ombra dei beni futuri. Infatti, come l’uomo è costituito di corpo, anima e spirito, così è anche la scrittura disposta da Dio, per la salvezza dell’uomo” (4).
Origene (condannato, nel 543, dal Concilio ecumenico di Costantinopoli) è stato, in effetti, un “genio del Cristianesimo”, ma per l’appunto un ”genio” dell’anima razionale-affettiva, e non un “genio” dell’anima cosciente.

In questo fatto si può anche trovare la causa della scomparsa quasi totale della gnosi dalla storia dell’umanità; scomparsa che, finché non venga capita, è forse uno degli avvenimenti più stupefacenti nel divenire dell’umanità.
Lo sviluppo dell’anima razionale o affettiva fu preceduto da quello dell’anima senziente, e questo dallo sviluppo del corpo senziente. Se i fatti del mondo vengono percepiti dal corpo senziente, tutta la conoscenza dell’uomo vive nei sensi
” (p. 181).

Un conto, come si sa, è spiegare a parole la differenza tra un cibo dolce e uno salato, altro sperimentarla, assaggiandoli.
Lo stesso vale per l’anima. Dobbiamo imparare in effetti ad “assaggiarla” se vogliamo afferrare davvero le diverse qualità (i colori, i profumi, i sapori o i suoni) dell’anima senziente, dell’anima razionale-affettiva e dell’anima cosciente, tenendo inoltre presente che, prima dell’esperienza dell’anima senziente, c’è stata quella del corpo senziente, ossia un’esperienza della realtà non mediata ancora dall’anima.
Dice appunto Steiner: “Se i fatti del mondo vengono percepiti dal corpo senziente, tutta la conoscenza dell’uomo vive nei sensi”.
(Perfino la matematica, nel passaggio dalla fase evolutiva dell’anima senziente a quella dell’anima razionale-affettiva, presenta un carattere diverso. Sentite ciò che scrive Piergiorgio Odifreddi: “Nell’antico Egitto, certamente si conosceva bene la matematica. Si erano studiati molti poligoni regolari e scoperti alcuni dei solidi regolari. Ci restano papiri pieni di problemi: il più famoso è il papiro di Rhind, conservato a Mosca, che contiene un lungo elenco di problemi matematici con le relative soluzioni. Ma tra l’enunciato del problema e la sua soluzione, non c’era nulla. Si potrebbe dire che la matematica egizia [cioè quella dell’anima senziente o della terza epoca postatlantica] era totalitaria, impositiva: si annunciava un risultato, in maniera oracolare, senza dire come lo si fosse trovato, né perché fosse corretto. La vera novità introdotta dalla scienza greca [cioè quella dell’anima razionale-affettiva o della quarta epoca postatlantica], è quello che oggi noi chiamiamo “la dimostrazione”” [5].)

Si percepisce il mondo colorato, risuonante e così via, ma nei colori, nei suoni, negli stati di calore, si sa esistere un mondo di entità spirituali. Non si parla di “materia” in cui appaiono colori, stati di calore, e così via; si parla di entità spirituali che si rivelano attraverso ciò che i sensi percepiscono.
Uno sviluppo speciale del “raziocinio”, che viva nell’uomo accanto alle percezioni sensorie, non esiste ancora a quell’epoca. L’uomo si abbandona con l’essere suo al mondo esteriore, e allora attraverso i sensi gli si manifestano gli dèi. Oppure egli si ritira dal mondo esteriore entro la vita della sua anima, e allora sente nella sua interiorità un senso ottuso di vita
” (pp. 181-182).

Che cosa vuol dire che “uno sviluppo speciale del “raziocinio”, che viva nell’uomo accanto alle percezioni sensorie, non esiste ancora a quell’epoca”? Vuol dire che nell’epoca del corpo senziente, non essendosi ancora separati il pensare e il percepire, l’uomo godeva di un (incosciente) pensare nel percepire, così come un giorno godrà, se vorrà, di un (cosciente) percepire nel pensare.

Un rivolgimento notevole avviene quando si sviluppa l’anima senziente. Impallidisce la rivelazione del divino attraverso i sensi. Subentra la percezione delle impressioni sensorie, in certo modo vuotate del divino, dei colori, degli stati di calore e così via. Nell’interiorità il divino si manifesta in forma spirituale, in idee-immagini. E l’uomo percepisce il mondo da due lati: dall’esterno, attraverso le impressioni dei sensi; dall’interno, attraverso le impressioni spirituali in forma di idee” (p. 182).

Abbiamo avuto l’evoluzione del corpo fisico durante la fase antico-saturnia, del corpo eterico durante la fase antico-solare, del corpo senziente durante la fase antico-lunare, e abbiamo quella dell’Io durante la fase terrestre. Quando parliamo dell’antico-Saturno, dell’antico-Sole, e dell’antica-Luna, parliamo dunque del corpo, e non ancora dell’anima.
Non ne parliamo perché l’anima è frutto, come sappiamo, del lavoro che l’Io compie sul corpo: è infatti sulla base del corpo senziente che l’Io sviluppa l’anima senziente; è sulla base del corpo eterico che sviluppa l’anima razionale-affettiva, ed è sulla base del corpo fisico che sviluppa l’anima cosciente.
E’ durante l’evoluzione terrestre che si verifica dunque il passaggio dall’esperienza del corpo senziente a quella dell’anima senziente: vale a dire, dalla percezione alla sensazione.
E’ importante sottolinearlo, perché oggi, al riguardo, si fa grande confusione.
Prendete, ad esempio, le previsioni del tempo: avrete visto che si usa distinguere la “temperatura” dalla “temperatura percepita”; ma è un errore, perché la seconda è una “sensazione”, e non una “percezione”.
Oppure prendete questo libro, intitolato: La percezione. Sentite che cosa dice: “La percezione riguarda il modo in cui interpretiamo l’ambiente che ci circonda, e la sensazione riguarda i processi fondamentali di stimolazione degli organi di senso” (6).
Anche questo è sbagliato, poiché è la sensazione a “interpretare” (in prima istanza) l’ambiente che ci circonda, e non la percezione; questa, quale puro atto percettivo o immediata esperienza del dato, è infatti estranea all’“attività giudicante”.
Dobbiamo dunque distinguere la percezione (oggettiva) dalla sensazione (soggettiva), e quindi distinguere la percezione (esteriore) degli Dèi del corpo senziente dalla sensazione (interiore) degli Dèi dell’anima senziente.
Ripeto: il passaggio dall’uno all’altra costituisce, come dice Steiner, “un rivolgimento notevole”, poiché al rapporto immediato con gli Dèi del corpo (senziente), subentra un rapporto mediato dall’anima (senziente): in quanto, cioè, alla percezione degli Dèi subentra la sensazione degli Dèi. Tale sensazione “si manifesta in forma spirituale, in idee-immagini”.
Di questo, a tutt’oggi, non si ha alcuna consapevolezza. Jung, ad esempio, è convinto che l’uomo antico proiettasse fuori di sé gli archetipi o gli Dèi che portava, al pari dell’uomo moderno, dentro di sé.
Ma è vero proprio il contrario: nella fase di sviluppo dell’anima senziente non si esteriorizza l’interiorità, ma si interiorizza l’esteriorità.
(“Si può, per così dire, provare storicamente che gli uomini, ad un certo punto, hanno cominciato a parlare della coscienza. Questo momento lo si può toccare con mano: si situa tra i due tragici greci Eschilo ed Euripide, nati rispettivamente nel VI e V secolo a.C.. Prima di allora non troverete menzione alcuna della coscienza. In Eschilo non v’è nemmeno ciò che noi chiamiamo “voce interiore”, piuttosto una manifestazione figurata di carattere astrale riferita all’uomo: compaiono manifestazioni che si avvicinano all’uomo come esseri vendicativi, le Furie o Erinni. Solo successivamente subentrò il momento in cui la percezione astrale delle Furie venne sostituita dalla voce interiore della coscienza. Ancora nel periodo greco-latino era diffusa presso gran parte degli uomini una percezione crepuscolare di carattere astrale: chi aveva commesso un’ingiustizia poteva percepire come ogni ingiustizia creasse delle figure astrali intorno a lui che lo riempivano di angoscia e terrore. Tali figure erano allora educatrici, questo era l’impulso. E quando gli uomini persero gli ultimi residui della chiaroveggenza astrale, questa visione fu sostituita dalla voce invisibile della coscienza: ciò che prima era fuori entrò quindi nell’anima per divenire una delle sue forze” [7].)
Dice Steiner che l’uomo, in questa stessa fase, percepisce “il mondo da due lati: dall’esterno, attraverso le impressioni dei sensi; dall’interno, attraverso le impressioni spirituali in forma di idee”. Ciò avviene perché il pensare e il percepire costituiscono una dualità, e non più (come in precedenza) un’unità.
Il contenuto spirituale che fornivano prima i sensi, viene fornito adesso dall’anima, in forma mitica, immaginativa o simbolica.
L’anima senziente è dunque un’anima “mitopoietica” o “mitologica”. Potremmo anche dire, volendo, ch’è un’anima “teo-sofica”, ma non, si badi, nello stesso senso dato a questa parola dai vari seguaci, più o meno ortodossi, di Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891).

L’uomo deve ora arrivare a percepire le impressioni spirituali in modo così determinato e configurato, come prima percepiva le impressioni dei sensi permeate dal divino. Lo può finché perdura l’epoca dell’anima senziente. Dall’intimo suo gli sorgono infatti le idee-immagini completamente plasmate. Egli è interiormente riempito di un contenuto spirituale, libero dai sensi, che è una immagine del contenuto del mondo. Se prima gli dèi si manifestavano in veste sensibile, ora gli si manifestano in veste spirituale” (p. 182).

Non dimentichiamo, mi raccomando, che stiamo parlando, non dell’attuale anima senziente, ma di una fase evolutiva in cui questa (non essendosi ancora sviluppate l’anima razionale-affettiva e l’anima cosciente) rappresentava il più alto grado di coscienza: un grado che permetteva all’uomo di essere “interiormente riempito – come dice Steiner – di un contenuto spirituale, libero dai sensi, che è una immagine del contenuto del mondo. Se prima gli dèi si manifestavano in veste sensibile, ora gli si manifestano in veste spirituale”.
La vera “gnosi” (quella che va dal IV al I millennio a.C.) è dunque la gnosi dell’anima senziente. Con l’avvento dell’anima razionale-affettiva sorge infatti la gnosi di cui parla la storia: ossia una gnosi che si presenta, sul piano essoterico, in forma filosofica e, su quello esoterico, in forma misteriosofica (mirante a rivivificare la gnosi dell’anima senziente).

Questa è propriamente l’epoca della nascita e della vita della gnosi. Vive una conoscenza mirabile di cui l’uomo si sa partecipe quando svolge in purità il suo essere interiore; attraverso di esso gli si può così manifestare il contenuto divino. Dal IV fino al I millennio prima del verificarsi del mistero del Golgota, la gnosi domina nella parte dell’umanità che è maggiormente progredita nella conoscenza” (p. 182).

L’anima senziente, un tempo fonte di una “conoscenza mirabile”, è oggi fonte (al pari di quella razionale-affettiva) di una “deprecabile incoscienza” (giacché lo spirito viene ormai veicolato dall’anima cosciente).
La fase evolutiva dell’anima razionale-affettiva è stata una fase (medio-evale) di transizione, giacché ha mediato tra la fase evolutiva dell’antica anima senziente e quella della moderna anima cosciente.
E’ nel corso di questa fase che l’uomo approda al pensiero filosofico, allontanandosi, da una parte, dalla immaginazione o dal mito, e avvicinandosi, dall’altra, al pensiero scientifico.

Poi comincia l’epoca dell’anima razionale o affettiva. Le immagini delle divinità universali non sorgono più da sole, dall’interiorità dell’essere umano. L’uomo deve adoperare forza interiore per trarle fuori dalla sua anima. Il mondo esteriore, con le sue impressioni sensorie, diventa un enigma. L’uomo riceve delle risposte se si vale della propria forza interiore per estrarre da se stesso le immagini delle divinità universali” (pp. 182-183).

Per farsi un’idea della natura di questo passaggio è sufficiente mettere a confronto i filosofi cosiddetti “presocratici” (Talete, Eraclito, Parmenide, Empedocle o Anassagora) con Aristotele.
I primi, per così dire, poggiavano ancora un piede sul terreno eterico-immaginativo, mentre il secondo poggia entrambi i piedi sul terreno dei concetti e della logica.
Dice Steiner che, in questa fase, “l’uomo riceve delle risposte se si vale della propria forza interiore per estrarre da se stesso le immagini delle divinità universali”.
Ne è un esempio Socrate che, per mezzo della “maièutica”, stimola l’interlocutore a valersi appunto “della propria forza interiore per estrarre da se stesso le immagini delle divinità universali”: per partorire ossia la verità.
L’uomo comincia dunque a essere attivo, poiché si rende conto che solo pensando può estrarre dalla propria interiorità, in forma di concetto, l’essenza di quanto percepisce esteriormente.

Ma le immagini sono sbiadite in confronto alla loro forma precedente. È questa la disposizione d’anima dell’umanità, svoltasi in modo meraviglioso in Grecia. Il greco si sentiva collocato nel mondo esteriore che cade sotto i sensi, e sentiva in esso la potenza magica che dava alla forza interiore l’impulso a sviluppare le immagini universali. In campo filosofico questa disposizione d’anima si sviluppò nel platonismo” (p. 183).

Per mezzo del corpo senziente si davano dei “corpi” (spirituali); per mezzo dell’anima senziente si davano le loro vive immagini; per mezzo dell’anima razionale-affettiva si danno ancora le loro immagini, ma sempre meno cariche di vita e di realtà.
Verso quale meta si sta infatti dirigendo l’umanità? Verso quella dell’”astrazione” o di quel nominalismo che Friedrich Engels (1820-1895) pone, a ragione, a fondamento del materialismo.
“In campo filosofico – dice Steiner – questa disposizione d’anima si sviluppò nel platonismo”: in Platone, infatti, è ancora presente il mito quale eco dell’anima senziente, mentre, in Aristotele, è ormai del tutto assente.

Scarica PDF

Di Lucio Russo
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente