Pensiero matematico e realtà

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Scrive Emilio Segrè: “L’influenza della matematica sulla fisica fu sorprendente. Risultò infatti che teorie create per ragioni puramente matematiche erano applicabili alla fisica. Questo strano risultato costituisce ancor oggi un enigma, benché se ne possano dare spiegazioni ipotetiche. Per taluni le teorie matematiche, inventate da matematici puri senza alcuna considerazione per le loro possibili applicazioni, forniscono schemi di ragionamento e modelli di deduzioni adatti alla mente umana, e lo scienziato può quindi trovare i fenomeni che calzano con il paradigma da esse offerto.”(1).
Che “le teorie matematiche, inventate da matematici puri” forniscano “schemi di ragionamento e modelli di deduzioni adatti alla mente umana” sembra tuttavia ovvio per il semplice fatto che esse sono appunto inventate da menti umane. Non è “strano”, quindi, che sia possibile utilizzare schemi nati dalla ragione in tutti quegli ambiti nei quali la ragione stessa viene chiamata in causa. La spiegazione ipotetica dei “taluni” cui si riferisce Segrè non dà dunque ragione e dell’origine di tali ragionamenti e del fatto che calzino con alcuni fenomeni del reale.
In realtà, per fare luce sull’essenza dell’invenzione matematica e sulle sue molteplici funzioni, occorre in primo luogo osservare lo svolgersi del pensiero all’interno di un qualsiasi procedimento matematico. In virtù di tale osservazione si rende evidente che, con il nome di “procedimento matematico”, indichiamo un movimento del pensiero.
Prendiamo la dimostrazione di un teorema, in essa si può notare come il pensiero, fissate delle ipotesi, cominci a muoversi in maniera deduttiva allo scopo di raggiungere un giudizio conclusivo (tesi) senza mai contraddire i punti fissati inizialmente, e come, per effetto del suo movimento, produca la dimostrazione. Il contenuto di verità di una dimostrazione consiste in quell’esperienza interiore dell’evidenza che ne accompagna ogni passaggio.
Si consideri, ad esempio, la cosiddetta “proprietà transitiva” che può essere enunciata come segue: se A=B (premessa maggiore) e B=C (premessa minore), allora A=C (conclusione). Sentiamo come vera la conclusione in quanto sperimentiamo interiormente l’evidenza di un tale giudizio.
A questo proposito, Rudolf Steiner scrive: “La certezza che si avverte nel procedimento matematico si basa sulla circostanza che il dato di coscienza si accompagna a un’esperienza interiore, fino alla formulazione del giudizio e alla dimostrazione”(2).
L’evidenza che si accompagna al giudizio conclusivo, anziché essere indagata, viene però semplicemente formalizzata in una proprietà e considerata come una delle leggi logiche che costituiscono l’infrastruttura della Logica come scienza. Tali leggi vengono formulate e applicate allo scopo di decidere della veridicità o della falsità di un’affermazione. Resta così inosservato ciò che costringe il pensiero a muoversi per collegare, secondo la relazione di uguaglianza, i due elementi A e C presenti nel giudizio conclusivo della proprietà transitiva.
Bisogna inoltre notare che un simile movimento del pensiero non si svolge, in chi ne sperimenta gli effetti, sul piano cosciente; se il matematico è infatti consapevole degli assiomi iniziali presi in considerazione e dell’esperienza interiore dell’evidenza che accompagna il passaggio da un giudizio ad un altro, non è viceversa consapevole né dello svolgersi del movimento del pensiero (che gli permette di relazionare quei particolari giudizi tra loro) né del perché sorga in lui quel senso di evidenza.
Nella scienza, è proprio il pensiero logico-matematico, grazie all’intrinseca certezza che accompagna i suoi giudizi, a sostenere il contenuto di verità di una teoria e a permettere di comprendere e formalizzare numerosi fenomeni all’interno di un sistema autoconsistente. Per sciogliere l’“enigma” evidenziato da Segrè, è dunque necessario capire quale sia la ragione dell’adattabilità di un simile pensiero al mondo fisico. Per far questo dobbiamo però osservare – come detto – quanto resta usualmente inosservato: dobbiamo osservare, cioè, il modo di muoversi del pensiero logico.
Potremmo crearci una rappresentazione della dinamica di tale pensiero immaginando un punto che si muova tra più punti fissi (le ipotesi di un eventuale teorema) generando così una linea spezzata. Ciò che impone al pensiero di muoversi necessariamente lungo un segmento di retta congiungente due punti fissi è appunto la forza dell’evidenza.
L’immagine di una linea spezzata, che ben rappresenta il ragionamento logico-matematico, ne richiama tuttavia un’altra relativa al mondo fisico-sensibile (3). Nella sua ordinaria coscienza del rapporto col mondo esterno, il soggetto si trova in un punto dello spazio dal quale percepisce gli oggetti del mondo che gli stanno dinanzi in una condizione di reciproca estraneità. Questo rapporto (tra soggetto e oggetto) viene formalizzato, all’interno del sistema di concetti fondamentali che stanno alla base della meccanica classica, nell’origine e nei tre assi del cosiddetto “sistema di riferimento cartesiano”. Con questo termine s’intende infatti l’insieme di un punto detto “origine” e dei tre assi coordinati grazie ai quali può essere determinata la posizione (le coordinate) degli oggetti nello spazio. Nel momento in cui il soggetto incontra un singolo oggetto, nasce una sorta di legame diretto ed evidente tra lui e l’oggetto. Questo legame diretto coinvolge, da un lato, il soggetto attraverso l’attività dei sensi e, dall’altro, l’oggetto che suscita tale attività. Anche in questo caso, come avviene nella rappresentazione del pensiero logico-matematico, si avvia perciò un movimento che, lungo un segmento di retta, porta necessariamente il soggetto verso l’oggetto e l’oggetto verso il soggetto. Benché la meccanica classica non faccia alcun riferimento a un soggetto vero e proprio, non è difficile notare che l’origine del sistema di riferimento costituisce un punto tanto particolare quanto quello rappresentato dal soggetto della percezione. In sostanza, un’origine e tre assi coordinati non sono altro che la formalizzazione astratta del soggetto che percepisce: cioè dell’uomo inserito fisicamente nel mondo. L’“uomo” non deve quindi partecipare, come soggetto, alla conoscenza del mondo, bensì deve trasformarsi in un oggetto estraneo ed equivalente a qualsiasi altro, riducendosi a semplice origine di un anonimo sistema di riferimento.
A questo proposito, Rudolf Steiner scrive: “Questi tre orientamenti dell’uomo vengono oggi considerati in modo piuttosto esteriore, in quanto i processi che nell’organismo umano si svolgono essenzialmente dall’avanti all’indietro, da destra a sinistra (o da sinistra a destra) e dall’alto in basso, non vengono sperimentati nella loro qualità interiore, ma solo osservati esteriormente.”(4).
La nascita del concetto di riferimento cartesiano coincide dunque con la cancellazione dell’esperienza interiore umana del triplice orientamento spaziale. C’è pertanto una profonda analogia tra il movimento del pensiero logico-matematico e il modo in cui l’uomo si relaziona al mondo sul piano fisico-sensibile. Prendendo spunto da questa analogia, si può quindi compiere un primo passo verso la spiegazione del perché il pensiero logico-matematico abbia una sua peculiare dinamica. La matematica e la geometria moderne nascono – come spiega Rudolf Steiner – allorché viene meno, nell’uomo, l’interiore e viva esperienza del suo movimento e del suo triplice orientamento nello spazio: allorché viene meno, cioè, la viva esperienza interiore dell’uomo esteriore.
Per conoscere il mondo in maniera obiettiva, la parte animico-spirituale (viva) dell’uomo si separa dunque da quella fisica (morta), diventando incosciente. L’uomo rimane così cosciente di un mondo esteriore che gli appare ora privo di quell’anima e di quello spirito che ha relegati, rispettivamente, nella sfera sognante e in quella dormiente. Per effetto di tale separazione, il pensiero, quale strumento animico-spirituale vivo e capace, in quanto appunto vivo, di movimento, può conoscere il contenuto di verità del mondo esteriore solo aderendo a quella parziale realtà costituita dal mondo fisico-sensibile. Questa aderenza si realizza proprio in virtù di quella particolare dinamica che mette in reciproca relazione le singole e statiche rappresentazioni (le ipotesi del teorema).
Per conoscere il mondo inanimato (più correttamente inorganico), caratterizzato da singoli oggetti reciprocamente estranei e fermi nello spazio, il pensiero utilizza quindi delle relazioni dette “metriche”: ovvero, delle “distanze” che si danno appunto nella forma di segmenti di retta.
La linea spezzata che avevamo immaginato pensando al movimento del pensiero logico all’interno di un ragionamento è dunque un riflesso (astratto) del movimento con cui l’uomo fisico si pone in relazione agli oggetti statici nello spazio, mentre l’evidenza che accompagna il contenuto di coscienza dei giudizi logici è un riflesso (vivo) dell’evidenza con la quale si stabilisce un immediato legame tra l’uomo e l’oggetto che si presenta ai suoi sensi. Ciò permette di comprendere il perché le scienze naturali ritengano vero solo il misurabile: il primo rapporto che si instaura tra l’uomo e il mondo è infatti una distanza che, per sua natura, è appunto solo misurabile.
Per conoscere obbiettivamente la realtà sensibile, il soggetto vivo si deve dunque mettere da parte, lasciando di fronte a sé il cadavere del mondo costituito da soli oggetti inanimati. Deve inoltre considerare se stesso inanimato: deve cioè dimenticare di essere inserito nel mondo come individuo vivo e animato.
“In verità – scrive Rudolf Steiner – noi facciamo della geometria, quando innalziamo alla sfera illusoria dello schema pensato, ciò che si svolge nell’inconscio: perciò esso ci appare come qualcosa di così astrattamente autonomo.”(5). Si è immersa così nell’incoscienza la viva esperienza animico-spirituale della connessione dell’uomo con la terra: si è immersa nell’incoscienza perché l’uomo, in una certa fase della sua evoluzione, potesse rendersi libero dagli influssi di quel mondo spirituale che lo aveva fino a quel momento guidato. In breve, l’uomo “si strappa la matematica dal corpo, ed essa diviene cosa astratta;”(6).
Il pensiero matematico che, svolgendo la propria funzione “fisiologica”, ha permesso la nascita dell’anima cosciente, è oggi però divenuto puro matematismo: ossia una realtà cui l’uomo odierno non riesce a rinunciare nel timore di abbandonare il sicuro terreno dell’evidenza (o certezza) che la matematica gli garantisce. Questa incapacità lo costringe allora ad applicare questa modalità di pensiero ad ambiti del reale che essa non può comprendere: all’ambito, ad esempio, del mondo organico. Per rendere conoscibile quest’ultimo, lo si priva dunque dell’elemento vitale, alterandone così, più o meno inavvertitamente, la natura.
Dobbiamo insomma comprendere che il moto del pensiero logico-matematico non è che uno dei modi dell’attività pensante: modo proprio di un uomo che è cosciente del mondo e di sé solo sul piano fisico. Questo movimento comincia quando l’uomo si accinge a conoscere e comprendere la realtà esteriore che gli è immediatamente estranea.
Se quello logico-matematico fosse l’unico modo che il pensiero ha di muoversi per comprendere il mondo, le regole della Logica costituirebbero allora una sovrastruttura dentro la quale il pensiero potrebbe svolgere il proprio movimento, ma al di fuori della quale non avrebbe invece ragion d’essere. Qualora riconoscessimo invece al pensiero una natura diversa da quella dei limiti entro i quali si muove nel quotidiano ragionare, potremmo ricercare un suo diverso modo di essere: vale a dire, un movimento in grado di avvicinarlo a quella parte di mondo che, non rispondendo a una logica matematica, non potrebbe essere altrimenti compresa. In altre parole: il movimento del pensiero che si svolge nel ragionamento razionale-matematico è l’unico possibile, o potrebbe darsene anche uno superiore e qualitativamente diverso? E, ove questo fosse possibile, non sarebbe allora necessario disporne quando ci si confronta con una realtà sovrasensibile, e non più fisico-sensibile? Immaginiamo, per esemplificare, di riempire con dell’acqua due bacinelle, una cilindrica e una cubica. L’acqua prenderà una forma cilindrica o cubica a seconda del recipiente, senza modificare la sua natura di acqua; l’acqua dunque adatta il suo modo di essere in funzione di ciò che riempie. Così può comportarsi l’attività pensante muovendosi, in funzione della parte di mondo che vuole conoscere, in modi diversi. È dunque scorretto pretendere che si “dimostrino”, nei modi propri a un pensiero che si riferisce alla realtà fisica, delle realtà che fisiche non sono.
Il credere che l’unico pensiero possibile sia quello logico-matematico non si basa dunque che sull’incapacità di concepire un diverso movimento del pensiero. Tale incapacità è dovuta principalmente al fatto di giudicare privo di valore oggettivo un pensiero che non poggi sul solido terreno della logica tradizionale. Ma da che cosa trae la sua solidità la logica tradizionale? Dall’essenza del pensiero stesso che vive in essa, le dà forma e l’usa. Il pensiero in atto è dunque indipendente dalle forme che può assumere.
Il problema va dunque posto in questi termini: una cosa è il movimento del pensiero nel momento in cui l’uomo si cimenta con la conoscenza del mondo fisico, altra è l’azione che l’uomo compie nel momento in cui riflette su questo tipo di movimento e ne formalizza le leggi, altra ancora è la possibilità che ha il pensiero di muoversi in un modo differente per avvicinarsi a realtà diverse da quella fisica.
Chiunque abbia una seppur minima dose di onestà ammetterà, non solo che siamo assai lontani dal comprendere il mondo nella sua totalità, nonostante la nostra scienza (o, per meglio dire, la nostra tecnica) continui a progredire, ma che non possiamo avere fiducia alcuna nella possibilità che questo pensiero scientifico riesca a svelarci i segreti di quella totalità dalla quale siamo irrimediabilmente tagliati fuori. Non si considera, infatti, che ne siamo tagliati fuori in quanto disponiamo di strumenti adatti a penetrare conoscitivamente una sola parte del mondo, e non il mondo intero. Occorrerebbe dunque sviluppare un pensiero qualitativamente diverso da quel pensiero logico-matematico che ha da tempo esaurito le sue possibilità conoscitive ed è ormai relegato allo sviluppo puramente tecnologico.
Scrive in proposito Rudolf Steiner: “Qualche passo in avanti fu fatto in sostanza da Goethe quando rese fluidi i vecchi concetti, producendo allora qualcosa di assolutamente nuovo, oggi ancora non del tutto apprezzato, quando applicò al concetto stesso la metamorfosi, la capacità di trasformazione, così che per lui il concetto di foglia nella sua trasformazione potesse diventare ugualmente il concetto di fiore, di frutto e così via. Il rendere mobili i concetti e le rappresentazioni, di modo che la stessa rappresentazione venga modificata nell’anima, e con lei si possano seguire gli svariati fenomeni della natura, in se stessi mobili, con un concetto altrettanto mobile, con un’idea in se stessa mobile, in un certo senso è qualcosa di nuovo, è ciò che anni fa chiamai la scoperta centrale di Goethe. È qualcosa di veramente nuovo che ebbe un seguito solo con quella che noi chiamiamo scienza dello spirito; e soltanto essa può di nuovo offrire all’umanità nuove rappresentazioni, nuovi concetti grazie ai quali tuffarsi e immergersi nella realtà”(7).
Un diverso movimento del pensiero è dunque un movimento che non annette un concetto a un altro secondo rigide regole (meccaniche), bensì produce la metamorfosi di un concetto in un altro secondo la natura dei concetti stessi.

D. Liberi

NOTE:

(1) E.Segrè: Personaggi e scoperte della fisica – Mondadori, Milano 1996, vol.I, pp.107-108;
(2) R.Steiner: L’azione feconda dell’Antroposofia sulle singole scienze – Antroposofica, Milano 2003, p.49;
(3) in realtà, ne richiamerebbe un’altra ancora – cui vogliamo solamente accennare – relativa alla modalità di trasmissione dell’impulso nervoso tra i neuroni. Ogni neurone possiede infatti un assone, cioè una ramificazione che consente il passaggio dell’impulso nervoso in uscita, e rami dendritici che hanno invece la funzione di ricevere l’impulso nervoso proveniente da altri neuroni. Ogni neurone possiede quindi un assone che lo collega con un altro neurone. Considerando il rapporto tra due neuroni, torna dunque a presentarsi l’immagine di due oggetti isolati (i “soma”, cioè le parti centrali della cellula neuronale) e del segmento (l’assone) che collega i due neuroni ed è preposto alla trasmissione unidirezionale dell’impulso nervoso.
(4) R.Steiner: Nascita e sviluppo storico della scienza – Antroposofica, Milano 1982, p.41;
(5) ibid., p.47;
(6) ibid., p.51;
(7) R.Steiner: Verità dell’evoluzione umana – Antroposofica, Milano 2002, pp.21-22.

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Di Daniele Liberi
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