La “malascienza”

L

Sono stati pubblicati di recente due libri in cui si critica, con competenza e senza peli sulla lingua, il ruolo culturale ed educativo della scienza contemporanea. Il primo, del matematico Giorgio Israel, s’intitola: Chi sono i nemici della scienza? Riflessioni su un disastro educativo e culturale e documenti di malascienza (1); il secondo, del genetista Giuseppe Sermonti, s’intitola: Una scienza senz’anima (2).
Il primo (particolarmente attento alla scuola) ha un taglio prevalentemente storico e politico, mentre quello di Sermonti ha un taglio più letterario e religioso (e quindi vagamente “suggestivo”) (3).
Entrambi hanno comunque il pregio (ormai raro) di essere stati scritti da due uomini di scienza nei quali non si è ancora offuscato o spento il “buon senso”: ovvero, la capacità di sentire quello che negli odierni sviluppi della scienza è “umano”, e quello che è viceversa in-umano o dis-umano (4).
Lo provano, ad esempio, queste parole di Israel: “Resta da fare qualche osservazione sul movente profondo che sta dietro questa ossessione di sottoporre la cultura, la scienza e l’istruzione a una misurazione quantitativa oggettiva e a processi di standardizzazione. Si tratta di una profonda sfiducia nell’uomo, una sfiducia tanto radicale da spingere a inventare qualsiasi marchingegno pur di eliminare la sua visibilità, le sue tracce e persino il sospetto della sua presenza” (5).
Tanto Israel che Sermonti sono tuttavia costretti a girare intorno al problema, poiché, volenti o nolenti, eludono la questione principale: quella dell’essenza della scienza.
Va bene infatti ricercare – come fa il primo – “i nemici della scienza”, ma come individuare chi sono, se non s’individua prima chi è la scienza? E va bene parlare in termini critici – come fa il secondo – di una “scienza senz’anima”: solo, però, quando questa pretende d’indagare ciò che è animato; cosa eccepire, infatti, a una “scienza senz’anima” che si limiti a indagare la “realtà senz’anima” (il mondo inorganico)?
Ma che cos’è, per loro, la scienza? Per Israel, “è una forma di attività conoscitiva umana come tutte le altre, che non ha alcuna caratteristica di superiorità rispetto alle altre, se non una caratteristica distintiva, quella di produrre previsioni attendibili in certi campi” (6); per Sermonti, è “un modo di apprendere il mondo” o “un particolare rapporto con le cose” (7).
Già, ma qual è tale modo e che cos’ha di “particolare” tale rapporto: che cosa distingue, cioè, l’attività scientifica da “tutte le altre” attività conoscitive umane? Qual è insomma la sua identità o essenza?
Non si riconosce l’essenza della scienza – afferma in proposito Steiner – “se si considera l’oggetto al quale la scienza si rivolge, ma la si trova bensì nella attività dell’anima umana che si manifesta nello sforzo conoscitivo” (8).
E che cos’è o, per meglio dire, chi è a conferire all’attività dell’anima umana quella particolare qualità “che si manifesta nello sforzo conoscitivo” della scienza? E’ presto detto: lo Spirito scientifico.
Afferma ancora Steiner: “Attualmente si ritiene un dilettante chiunque prenda in genere sul serio una riflessione filosofica sull’essenza delle cose. Per i nostri contemporanei dalla tendenza di pensiero “meccanica” e persino “positivistica”, l’avere una concezione del mondo è ritenuto un ghiribizzo idealistico. Tale opinione diventa, certo, comprensibile quando si vede in quale pietosa incapacità conoscitiva si trovino questi pensatori positivistici ogni qualvolta si pronunciano sull’”essenza della materia”, i “limiti della conoscenza”, la “natura degli atomi” ed altri argomenti simili. Di fronte a tali esempi, si possono fare dei veri studi su ciò che è dilettantismo in fatto di questioni scientifiche di somma importanza. Bisogna avere il coraggio di ammettere tutto ciò di fronte alla scienza naturale contemporanea, nonostante le poderose ammirabili conquiste ch’essa ha da registrare nel campo della tecnica. Poiché tali conquiste non hanno nulla a che fare con un vero bisogno di conoscenza della natura. Abbiamo dovuto constatare, appunto a proposito di nostri contemporanei, ai quali andiamo debitori di scoperte la cui importanza per l’avvenire non è ancora nemmeno lontanamente valutabile, come siano mancanti di un’esigenza scientifica più profonda. Altro è osservare i processi della natura per porre le loro forze al servizio della tecnica, altro è cercare, con l’aiuto di tali processi, di guardare più addentro nell’essenza della scienza naturale. Scienza vera è soltanto là dove lo spirito cerca appagamento dei suoi propri bisogni, senza scopi esteriori” (9).
Queste parole, scritte più di cento anni fa, conservano purtroppo intatta la loro validità.
Scrive infatti Israel: “In precedenza, nonostante i tanti mutamenti avvenuti a partire dal ‘600, era possibile parlare della “scienza” come di un’entità unitaria e ben definita. Quel che ha modificato radicalmente il panorama è stato il cambiamento profondo dei rapporti tra la scienza pura e le applicazioni, tra la scienza propriamente detta e la tecnologia e il dilatarsi di una sfera di attività dominata dalla manipolazione tecnologica e in cui la scienza teorica ha un posto sempre meno centrale se non subordinato. Questa sfera di attività viene ormai abitualmente definita con il termine tecnoscienza. Nell’ambito di questa sfera la scienza intesa nel senso tradizionale del termine – volta principalmente allo studio della natura e alla determinazione delle “leggi” che la governano – ha un ruolo sempre meno importante, se non come uno scenario di fondo che si allontana sempre più nella dimensione del passato, poiché sono sempre meno numerose le nuove scoperte teoriche e sempre più astratti e labili i tentativi di ottenere nuove leggi generali (…) La scienza di base è sempre più una Cenerentola e dilaga la parola d’ordine doppiamente falsa secondo cui la scienza che non si applica direttamente a qualcosa non serve a niente e non interessa nessuno (…) La “cultura” e la divulgazione scientifica che ci vengono propinate quotidianamente, più che spiegare scoperte “positive” della scienza, appaiono tutte protese a propugnare un’ontologia materialista. Sembra che parlare delle nuove acquisizioni della scienza sia soltanto un pretesto per “dimostrare” che tutto si riduce a neuroni, geni o particelle elementari. Se a questo si aggiunge che gran parte della divulgazione scientifica è di una qualità a dir poco deplorevole – come conseguenza dell’ossessione per le applicazioni pratiche e tecnologiche, che conduce alla presentazione di risultati scientifici teorici in forme che raggiungono livelli sconcertanti di ignoranza e trivialità – si ottiene una miscela esplosiva: un florilegio di cattiva filosofia gabellata come scienza e vestita di panni tecnologici” (10).
Da un lato, dunque, si giudica “un dilettante chiunque prenda in genere sul serio una riflessione filosofica sull’essenza delle cose”, ma, dall’altro, si propina quotidianamente “un florilegio di cattiva filosofia gabellata come scienza e vestita di panni tecnologici”. Si giudica cioè un dilettante, nel caso specifico, chi s’interroga – come noi – sull’essenza della scienza, mentre si propugna, al contempo, un’”ontologia materialista”.
Osserva per l’appunto Israel: dilaga “un fenomeno deleterio per la cultura scientifica: e cioè il diffondersi della pessima abitudine per cui proprio coloro che si fanno paladini di una visione “positiva” e “oggettiva” dell’impresa scientifica e attaccano senza quartiere le “fumisterie” filosofiche, sembra abbiano come principale preoccupazione quella di dedurre conseguenze metafisiche dai risultati della ricerca, come se la loro principale motivazione fosse dimostrare la verità del materialismo o del riduzionismo” (11).
Fatto si è che il rapporto esistente tra i singoli dati o “risultati della ricerca” e la “metafisica” o, per dirla con Steiner, la “concezione del mondo” potrebbe essere banalmente paragonato a quello esistente, nella tombola, tra i singoli numeri estratti e il cartellone sul quale vanno ordinatamente disposti.
E che cosa rappresenta il “cartellone”? Lo Spirito che anima la ricerca, e quindi un Essere e non una cosa (un “metodo” o un “corpo di conoscenze”).
Polemizzando con quanti identificano “scienza” e “metodo”, e ricordando che “le differenti scienze seguono procedure diverse legate alla diversa natura del loro oggetto”, che “parlare di un metodo scientifico unico per la fisica e la biologia non ha il minimo senso”, e che “vi sono persino grandi diversità tra la fisica teorica e la fisica matematica” (12), Israel così ironizza: “La scienza non sarebbe un corpo di conoscenze, bensì un “metodo”, anzi il metodo (…) Che poi sarebbe il metodo del metodo, ovvero la scienza della scienza, visto che scienza e metodo sono la stessa cosa” (13).
Ma se la scienza non è un metodo o “il” metodo, che cos’è allora? L’abbiamo detto: uno Spirito.
Federigo Enriques (1871-1946), matematico, filosofo e storico della scienza citato a più riprese da Israel, asserisce che la scienza è una “conquista e attività dello spirito” (14).
E’ vero; ma per quale ragione, allora, fare nominalistico o astratto appello allo spirito, e non prendere invece sul serio la sua realtà, riconoscendo – con Steiner – che “scienza vera è soltanto là dove lo spirito cerca appagamento dei suoi propri bisogni, senza scopi esteriori”?
Ma che cosa consegue al riconoscimento che la scienza è Spirito, Spirito di verità? Che anche i “nemici della scienza” sono spiriti.
Uno (luciferico) vorrebbe infatti dare un’anima anche agli esseri che non ce l’hanno, mentre l’altro (arimanico) vorrebbe toglierla anche a quelli che ce l’hanno.
Il primo, di natura religiosa o spirituale (spiritualistica), ha operato soprattutto nel passato (15), ma continua a operare nel presente; il secondo, di natura apparentemente “scientifica”, agisce invece soprattutto nel presente (per ipotecare il futuro).
Nemici dello spirito della scienza o dello spirito scientifico, sono dunque, da una parte, lo spirito dell’illusione o della seduzione (del sogno o del visionarismo) e, dall’altra, lo spirito dell’inganno o della menzogna (dell’intellettualismo).
Osserva ancora Israel: “Quando Galileo parlava di un mondo scritto in caratteri geometrici enunciava un punto di vista neoplatonistico rigorosamente e assolutamente oggettivista: la struttura matematica del mondo (e per giunta una struttura semplice!) fonda la possibilità che lo scienziato scopra le leggi che governano il mondo, leggi espresse in linguaggio matematico. E queste leggi non sono modelli! Qui l’accostamento della visione galileiana con la nozione di “modello” è un’autentica dissonanza. Per Galileo la scienza non è una questione di efficacia ma di “verità”” (16) (“Il mondo è libro, – scrive Campanella – dove il Senno eterno / Scrisse i propri concetti”).
Da che cosa dunque discende quella “malascienza” di cui Israel riporta, alla fine del suo libro, alcuni “documenti”? Dallo scientismo. E da che cosa o da chi discende lo scientismo? Dallo spirito dell’inganno o della menzogna, e non dallo Spirito di verità. “Lo scientismo – afferma giusto Israel – è il nemico principale di una visione critica e culturale degna di questo nome” (17).
Egli distingue, tuttavia, gli scientisti di “tipo A” dagli scientisti di “tipo B” (gli Odifreddi – esemplifica – dai Giorello), spiegando che i primi difendono “il carattere rigorosamente oggettivo della scienza” (18), mentre i secondi sostengono, da relativisti, l’”improponibilità di qualsiasi discorso sul significato della realtà”: ovvero, l’”assurdità della ricerca di senso caratteristica dell’istanza religiosa o, più in generale, spirituale e umanistica” (19).
E come si diventa scientisti di “tipo A”? E’ semplice: formalizzando e assolutizzando il metodo scientifico: estendendo cioè il metodo idoneo allo studio della sola realtà inorganica allo studio di quella vivente, animata o spirituale.
Essere scientisti “oggettivisti” significa pertanto essere “riduzionisti”: significa cioè sforzarsi di “dimostrare” – come dice Israel – che tutto si riduce appunto “a neuroni, geni o particelle elementari”. Questi scientisti, dal punto di vista de La filosofia della libertà (20), si potrebbero definire, in alcuni casi, dei “realisti ingenui”, ossia degli individui che non hanno il torto di essere “realisti”, bensì quello di essere appunto “ingenui” (gnoseologicamente), in altri, dei “realisti metafisici”, ossia degli individui che pongono a fondamento della realtà non un extrasensibile percepibile (grazie a un’evoluzione della coscienza), bensì un sensibile impercepibile.
Lo scientismo di “tipo A” si rivela dunque ipotecato soprattutto dallo spirito materialistico e utilitaristico dell’inganno o della menzogna.
E dove sta l’inganno o la menzogna? Soprattutto nel credere, e nel far credere, che quanto è utile al corpo, sia utile anche all’anima e allo spirito (dal momento che l’una e l’altro non sono, per il materialismo, che “corpo”).
Ciò vuol dire, quindi, che non si deve opporre all’utilitarismo l’inutilitarismo (come sembra fare talvolta Sermonti), ma che si deve integrare l’utilitarismo del corpo con quello dell’anima e con quello dello spirito, integrando, a tal fine, la scienza del corpo con la scienza dell’anima e con la scienza dello spirito.
E come si diventa, invece, scientisti di “tipo B”? Non è difficile: diventando (più o meno inconsciamente) seguaci dello spirito del nichilismo: ossia di quello spirito della dissoluzione o disintegrazione ch’è ancor più potente e minaccioso di quelli dell’illusione e dell’inganno.
Scrive al riguardo Israel: “I campioni di tale punto di vista sono numerosi soprattutto nel campo della genetica e delle neuroscienze. Per loro, tutto è frutto del caso e quindi anche le nostre idee sono prodotto di configurazioni contingenti del cervello. E’ una posizione che è stata sostenuta, fra gli altri, da Edoardo Boncinelli, per concluderne che ogni discorso sul senso non ha senso, e che nulla ha senso. Quel che appare evidente in queste posizioni è la classica contraddittorietà del pensiero ultrarelativista: se nulla ha senso, neppure questa affermazione lo ha e quindi è futile. Ma non è soltanto futile dal punto di vista teoretico, bensì anche dal punto di vista pratico, giacché appare davvero singolare dedicare tanti sforzi della propria vita a confutare che la vita abbia senso: in altri termini si cade nel bizzarro paradosso di dare come senso alla propria vita quello di dimostrare che non ne ha!” (21).
Un’ultima considerazione.
Scrive sempre Israel: “Come ha osservato Paul Ricoeur, in un libro-dialogo con Jean-Pierre Changeux, nessuno può seriamente contestare che, quando penso, qualcosa accade nel mio cervello. Ma di qui a concluderne che i processi fisici che avvengono nel cervello – e che la risonanza magnetica permette di seguire – siano la “causa” dei pensieri e del loro contenuto di significato, ne corre. Affermare questo equivale a stabilire una grossolana identificazione tra “correlazione” e “causalità”, ovvero asserire che se esiste una “correlazione” tra due eventi, allora l’uno è causa dell’altro senza possedere alcuna prova ragionevole di tale fatto” (22); e aggiunge (commentando i risultati della “ricerca di un’equipe di un’università statunitense”, sull’effetto placebo): “Un accanito spiritualista si fregherebbe le mani, osservando che si è finalmente dimostrato in modo positivo che una “sensazione psicologica”, ovvero un processo puramente psichico, mentale, è capace di determinare dei processi materiali concreti. Noi non ci addentriamo in queste dispute ontologiche, ma osserviamo che la cupidigia ideologica fa brutti scherzi, conducendo a discorsi che si fanno beffe non soltanto della logica ma persino del buon senso” (23).
Abbiamo detto che lo spirito della scienza è Spirito di verità. Sappiamo, però, che lo Spirito di verità è lo Spirito Santo (24), e che il Cristo dice: “Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me, e chi accoglie me, riceve colui che mi ha mandato” (Gv 13, 20).
Nessuno può dunque accogliere il Figlio e, attraverso il Figlio, il Padre, se prima non accoglie lo Spirito Santo (25).
E come si accoglie lo Spirito Santo? Non limitandosi – sulle orme di Pilato – a opporre, alla causalità che muove dal basso verso l’alto dello spirito dell’inganno o della menzogna, lo spirito neutro e asettico della “correlazione” (26), bensì opponendogli in modo lucido, critico e coraggioso, vale a dire “scientifico-spirituale”, la causalità che muove dall’alto verso il basso dello Spirito di verità.

Note:

01) G.Israel: Chi sono i nemici della scienza? Riflessioni su un disastro educativo e culturale e documenti di malascienza – Lindau, Torino 2008;
02) G.Sermonti: Una scienza senz’anima – Lindau, Torino 2008;
03) Sermonti, ad esempio, polemizza con quelli che chiama i “bigotti della razionalità” (p. 128), sostiene che “il dovere dello scienziato è di aggiungere mistero e meraviglia alla natura, e non di sottrarveli per la sua e nostra tranquillità”, che “una scienza che cerca modalità e ricorrenze si può chiamare una scienza dei tipi o, se si vuol sottolineare il valore primario dei tipi, una scienza d’archetipi” (p. 75) e, nel retro di copertina, scrive: “Conoscere è narrare, è rappresentare, è trovare un ruolo nel cosmo a smarriti personaggi in cerca d’autore”. Una “scienza dei tipi” o una “scienza d’archetipi”, se non è una scienza goethiana, e quindi (embrionalmente) scientifico-spirituale, non è però una “scienza”. Chi voglia fare scienza, allo “spirito senz’anima” della scienza attuale, deve infatti opporre, non un’”anima senza spirito” (come quella – dal momento che si parla di “archetipi” – di Jung o, a maggior ragione, di Hillman – cfr. Freud, Jung, Steiner, 15 novembre 2003), bensì un’”anima con spirito” (“il Signore è con te”) o uno “spirito con anima”;
04) lo si sappia o meno, in questo particolarissimo sentimento vive l’impulso del Cristo. Scrive appunto Steiner: “In questo sentire, l’uomo sperimenterà e si congiungerà con intimo calore d’anima nel Cristo e col Cristo, e insieme sperimenterà la vera e reale umanità. “Cristo mi dà la mia essenza umana”; questo sarà il sentimento fondamentale che compenetrerà l’anima” (Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 98);
05) G.Israel: op. cit., p. 62;
06) ibid., p. 202;
07) G.Sermonti: op. cit., p. 91;
08) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 31. Sarà bene ricordare che, a detta del fisico Kurt Mendelssohn, il perché sia nata la scienza “resta un enigma che non è stato mai risolto: ad essere sinceri, semplicemente non lo sappiamo” (La scienza e il dominio dell’Occidente – Editori Riuniti, Roma 1981, p. 15);
09) R.Steiner: Goethe quale pensatore e scienziato in Le opere scientifiche di Goethe – Melita, Genova 1988, pp. 188-189;
10) G.Israel: op. cit., pp. 6, 9 e 11;
11) ibid., p. 319;
12) ibid., p. 262;
13) ibid., p. 259 e 261;
14) ibid., p. 102;
15) annoverando tra le sue vittime – ricorda Israel – “Bruno, Galileo e Cartesio in campo cattolico, Copernico in campo protestante, Spinoza in campo ebraico” (p. 188);
16) ibid., p. 184. Il biografo James Reston mette in bocca a Galileo queste parole: “Questi grandi personaggi che si dedicano alla ricerca della verità e non la trovano mai, mi fanno patire. Non la troveranno di certo, perché la cercano sempre nel posto sbagliato” (J.Reston: Galileo – PIEMME, Casale Monferrato [Al] 2005, p. 52);
17) ibid., p. 202. Diceva Goethe: “Il vero oscurantismo non consiste nell’impedire la diffusione di ciò che è vero, chiaro, utile, ma nel mettere in circolazione ciò che è falso” (Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 62);
18) ibid., p. 169;
19) ibid., pp. 173-174;
20) cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
21) G.Israel: op. cit., p. 174. Ci siamo occupati di Edoardo Boncinelli in Il cervello, la mente e l’anima, 12 dicembre 2001;
22) ibid., p. 313. Ma c’è davvero bisogno di essere un “accanito spiritualista” per arrivare a concludere che una ““sensazione psicologica”, ovvero un processo puramente psichico, mentale, è capace di determinare dei processi materiali concreti”? O non basterebbe voler prendere semplicemente atto della realtà?
23) ibid., p. 320;
24) del carattere “gnostico” dello Spirito Santo abbiamo detto in specie in Della Trinità, 30 giugno 2006, e in Ancora sulla Trinità, 1 settembre 2006. Ci si può rendere comunque conto di tale carattere, cominciando col riflettere sul rapporto tra queste parole del Goethe scienziato: “Osservando la natura, così nei suoi fenomeni grandi come in quelli piccoli, mi sono posto costantemente questa domanda: “E’ l’oggetto che parla o sei tu? ”” (Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 140), e queste pronunciate dal Cristo (Gv 16,13): “Quando invece sarà venuto lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità, perché non vi parlerà da se stesso” (corsivi nostri);
25) per questo il Cristo afferma, in Matteo (12, 31): “Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata”;
26) a chi “sta seduto – come dice Goethe – tra due sedie”, così si rivolge l’Apocalisse (3,15): “Mi è nota la tua condotta: che cioè non sei né freddo né caldo; oh, se tu fossi freddo o caldo! Ma così, poiché tu sei tiepido, cioè né caldo né freddo, io sono sul punto di vomitarti dalla mia bocca”.

Scarica PDF

Di Francesco Giorgi
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente