Massime antroposofiche
124/125/126 – 2°

M

Torniamo a noi. Abbiamo detto che il confondere o mescolare tra loro immaginazioni e rappresentazioni è fonte di patologia.
Che cos’è un’immaginazione? È un’idea riflessa dal corpo eterico; e che cos’è una rappresentazione? È un’idea riflessa dal corpo fisico: proprio da quel corpo sul quale fa leva, nella sua prima fase di sviluppo, l’anima cosciente.
(Considerando che la dimensione fisica è quella spaziale, non meraviglierà che l’avvento dell’anima cosciente sia accompagnato da quello delle “grandi scoperte geografiche” e, nelle arti figurative, da quello della prospettiva.)
Pensate, per dirne una, al cosiddetto e celeberrimo “complesso di Edipo”. E’ una rappresentazione o un’immaginazione? E’ un’immaginazione.
Freud l’ha però presa per una rappresentazione, e ha così creduto che illustrasse e veicolasse l’insano desiderio di accoppiarsi con la madre naturale.
Se l’avesse presa, invece, per una immaginazione, non l’avrebbe riferita alla vita materiale, bensì a quella spirituale, e avrebbe così realizzato che simboleggia e veicola il sano desiderio di riunirsi (quali Io) alla madre spirituale: ossia, alla propria vera anima (alla Sophia).
(Chi intenda approfondire il significato spirituale della figura di Edipo e il suo rapporto con quella di Giuda Iscariota, consulti, di Steiner: Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca (11° conferenza) e L’Oriente alla luce dell’Occidente – I figli di Lucifero e i fratelli di Cristo [11]. Per darvi almeno un’idea dell’enormità dell’abbaglio freudiano, vi leggo, del primo, solo queste righe: “Per il fatto di avere in sé il corpo eterico e il corpo astrale, l’uomo ha in sé l’elemento materno. Egli ha per così dire, oltre alla madre esteriore che è sul piano fisico, l’elemento materno, la madre, dentro di sé; e oltre al padre che è nel mondo fisico, egli ha in sé l’elemento paterno, il padre [il corpo fisico e l’ego] […] Se l’uomo non riesce ad armonizzare padre e madre dentro di sé, il disaccordo fra quei due elementi si trasmette dall’uomo al piano fisico e ne risultano dei disastri” [12].)
Come vedete, confondere le immaginazioni con le rappresentazioni (ch’è come “prendere lucciole per lanterne”) significa alterare e deformare, sia la vita spirituale, sia la vita materiale.
Quale compito si è dunque assunto la scienza? Quello appunto di operare una netta distinzione tra le une e le altre (e com’è una fortuna, lo ripeto, che sia stata un tempo capace di allontanare da sé le influenze di Lucifero, così è una disgrazia che sia oggi incapace di allontanare da sé quelle di Arimane).
Dunque: mondo fisico inorganico, mondo delle spente rappresentazioni; mondo eterico organico, mondo delle vive immaginazioni; mondo animico, mondo delle ispirazioni; mondo spirituale, mondo delle intuizioni.
Nella fase evolutiva di cui si parla in questa lettera, c’è però confusione, giacché ci si dà a riproporre un’immagine del mondo fisico (valida fintantoché era possibile sperimentare, attraverso il mondo fisico, quello spirituale), proprio nel momento in cui, essendosi ormai spenta ogni residua veggenza, tale immagine diviene meramente allegorica, retorica o manieristica.
(Chi voglia farsi un’idea degli ultimi sani bagliori della vis immaginativa, consulti: Il Divino e il Megacosmo. Testi filosofici e scientifici della scuola di Chartres [13] o, di Karl Heyer, La meraviglia di Chartres e altri scritti sulla spiritualità del Medioevo [14].)

(…) Ma nel tempo ora indicato l’umanità non guardava più il mondo spirituale come lo guardava nel passato per mezzo della chiaroveggenza crepuscolare (di sogno). Si avevano le immaginazioni; ma sorgevano in un atteggiamento dell’anima umana che già fortemente tendeva al pensare [al rappresentare] . Di conseguenza, non si sapeva più in che rapporto fosse il mondo, che si manifestava in immaginazioni, con il mondo dell’esistenza fisica. A coloro che più energicamente si attenevano al pensare [al rappresentare] , le immaginazioni apparivano perciò “invenzioni” arbitrarie, prive di realtà.
Non si sapeva più che, per mezzo dell’immaginazione, si guarda in un mondo nel quale si sta con tutt’altra parte del nostro essere umano, che non nel mondo fisico. Nella narrazione i due mondi stavano così l’uno accanto all’altro, ed entrambi, per il modo in cui la narrazione era tenuta, avevano un carattere che faceva credere che gli eventi spirituali narrati si fossero svolti percepibilmente in mezzo a quelli fisici, altrettanto percepibili di questi
” (pp. 110-111).

Vedete, “non si sapeva più che, per mezzo dell’immaginazione, si guarda in un mondo nel quale si sta con tutt’altra parte del nostro essere umano, che non nel mondo fisico”: non si sapeva più, cioè, che, per mezzo delle immaginazioni, si guarda, riflesso nel mondo eterico, il mondo astrale (animico), e non il mondo fisico.
Non insisto su questo, invitandovi, qualora desideriate saperne di più, a consultare il mio Freud, Jung, Steiner (15).
Vi voglio però raccontare un fatto capitato a Wilhelm Reich. Un suo paziente, a un certo punto della psicoterapia, cominciò a chiedergli di picchiarlo. Ovviamente, Reich, da professionista, si guardò bene dal farlo. Ma il paziente, seduta dopo seduta, tanto insistette che Reich si risolse infine a dargli un colpetto con un righello che aveva sulla scrivania. Non l’avesse mai fatto! Il paziente si offese e lasciò la terapia.
Soltanto quel giorno, confessò in seguito Reich, gli riuscì di capire che al paziente piaceva l’idea, ma non il fatto di essere picchiato.
Non si trattava infatti di una rappresentazione da riferire al piano esteriore, ma di un’immaginazione da riferire a quello interiore: da riferire, cioè, a un bisogno dell’anima, e non del corpo.

Inoltre, in molti di questi racconti gli avvenimenti fisici vengono confusi tra loro; personaggi che avevano vissuto a secoli di distanza vi sono presentati come contemporanei; certi avvenimenti sono descritti in luoghi e momenti non giusti.
Fatti del mondo fisico sono così guardati dall’anima umana come si può guardare solo lo spirituale, in cui tempo e spazio hanno altro significato che per il fisico; il mondo fisico viene rappresentato in immaginazioni invece che in pensieri [in rappresentazioni]; per contro, il mondo spirituale viene intessuto nel racconto come se non si trattasse di altra forma di esistenza, ma della continuazione di fatti fisici
” (p. 111).

Vedete, si mescola e confonde il mondo animico-spirituale (essenziale), che è al di là della soglia, con il mondo spazio-temporale (esistenziale), che ne è invece al di qua (il che non potrebbe accadere – parlo per noi – se prestassimo ascolto, come indica L’iniziazione (16), agli avvertimenti del “piccolo Guardiano della soglia”).
Dice Steiner che, nello spirito, “tempo e spazio hanno altro significato che per il fisico”.
Ciò allude al fatto che il tempo, sperimentato al di qua della soglia quale “successione”, è, per così dire, il “risvolto” o l’”ombra” del Divenire dell’Essere (del Figlio), e che lo spazio, sperimentato al di qua della soglia quale “coesistenza”, è il “risvolto” o l’”ombra” dell’Essere del Divenire (del Padre).
Ascoltate quanto scrive Scaligero: “La tenebra della terrestrità (…) è la morte della luce fatta realtà, onde divengono operanti il fantasma dello spazio e lo spettro del tempo” (17); e sentite quel che dice qui Steiner: “… nel corso del tempo vengono a coincidere il crollo del tempio di Salomone e la nascita del cristianesimo: un’immagine spaziale simbolica del contenuto del cosmo, quello; una nuova immagine del mondo, il cristianesimo, inteso invece come evento temporale. Nel cristianesimo l’essenziale non è qualcosa che possa presentarsi come una realtà nello spazio, come il tempio di Salomone (…) Solo chi lo afferra in immagini che si svolgono nel tempo comprende il cristianesimo (…) Fu immerso [nell’anima del giudaismo dell’Antico Testamento] il germe del cristianesimo, un germe nuovo posto entro ciò che si esprimeva nello spazio: il germe di qualcosa che si esprime solo nel tempo. E’ il “divenire” che si presenta dopo l’essere …” (18).

Una concezione storica, che si attenga soltanto al fisico, pensa che siano state riprese le antiche immaginazioni dell’oriente, della Grecia, o altre, e che siano state intessute poeticamente nei soggetti storici che a quel tempo occupavano gli uomini. Negli scritti di Isidoro di Siviglia del secolo settimo, si ha una vera collezione di antichi “motivi di leggenda”.
Ma questo è un modo esteriore di osservazione. Ha importanza soltanto per chi non ha senso per quella disposizione animica umana che sa la propria esistenza ancora immediatamente congiunta col mondo dello spirito, ed è spinta ad esprimere in immaginazioni questa sua conoscenza. Se poi, invece della propria immaginazione ne venga adoperata una che è stata tramandata storicamente e che viene vissuta quale esperienza propria, ciò non è essenziale. L’essenziale sta nel fatto che l’anima è orientata verso il mondo spirituale in modo da vedere la propria azione e i processi naturali inseriti in quel mondo spirituale.
Tuttavia, nel genere delle narrazioni del tempo precedente l’inizio dell’epoca dell’anima cosciente, si nota un traviamento.
In tale traviamento l’osservazione spirituale vede l’azione della potenza luciferica.
Ciò che spinge l’anima ad accogliere delle immaginazioni nel suo contenuto di esperienze, corrisponde non tanto alle facoltà che essa possedeva in passato (grazie ad una chiaroveggenza sognante), quanto piuttosto a quelle esistenti nel secolo ottavo e fino al quattordicesimo dopo Cristo. Queste facoltà tendevano già maggiormente ad afferrare col pensiero
[col rappresentare] il mondo percepito sensibilmente. In quell’epoca di transizione le due facoltà coesistono l’una accanto all’altra. L’anima è posta fra l’orientamento antico, che guarda al mondo spirituale e vede il mondo fisico soltanto come una nebbia, e l’orientamento nuovo, che guarda ai processi fisici e per il quale la visione spirituale va impallidendo.
In questo vacillante equilibrio dell’anima umana si intromette l’azione della potenza luciferica. Essa vorrebbe impedire che l’uomo si orientasse pienamente nel mondo fisico. Vorrebbe trattenerlo con la sua coscienza in regioni spirituali che erano adatte per lui in epoche anteriori. Vorrebbe impedire che nella sua sognante e immaginativa veggenza del mondo fluisse l’elemento del pensiero
[del rappresentare] , diretto alla comprensione dell’esistenza fisica. E veramente essa può trattenere lontano dal mondo fisico, in modo irregolare, la facoltà di osservazione dell’uomo. Ma non può conservare nel modo giusto l’esperienza delle immaginazioni antiche. Così essa fa riflettere l’uomo in immaginazioni, senza però essere capace di trasportarlo animicamente del tutto nel mondo in cui le immaginazioni hanno pieno valore.
All’inizio dell’epoca dell’anima cosciente Lucifero agisce in modo che per suo mezzo l’uomo viene trasferito nella regione soprasensibile immediatamente confinante con la regione fisica, non però in maniera adeguata a lui
” (pp. 111-112-113).

Sappiamo che la coscienza di coma o di morte, la coscienza di sonno senza sogni e la coscienza di sogno sono state proprie dell’umanità (ma non come le sperimentiamo oggi) in precedenti fasi della sua evoluzione, allo stesso modo in cui le è oggi propria la coscienza di veglia “intellettuale” o “rappresentativa”.
Lucifero tenta quindi di trattenerci nella coscienza di sogno: ossia in uno stato (oniroide) che non è, per così dire, “né carne, né pesce”, giacché non è, né una genuina immaginazione del mondo spirituale (com’era in passato, ma come non è stato più dal “secolo ottavo e fino al quattordicesimo dopo Cristo”), né una realistica rappresentazione del mondo fisico (come esigerebbe il presente).
Lucifero, dice appunto Steiner, “vorrebbe impedire che l’uomo si orientasse pienamente nel mondo fisico. Vorrebbe trattenerlo con la sua coscienza in regioni spirituali che erano adatte per lui in epoche anteriori”.
Emblematica, al riguardo, è la posizione di Jung: si allontana dal mondo (naturalistico) delle rappresentazioni di Freud (e da Freud stesso) per avventurarsi in quello dei simboli e delle immagini archetipiche, ma poi si ferma qui (per così dire, “a mezz’aria”), non essendo per l’appunto capace di portarsi “animicamente del tutto nel mondo in cui le immaginazioni hanno pieno valore”: ossia, nel mondo spirituale.
Ascoltate, riguardo a tale incapacità, questa sua affermazione: “Il solo pensiero che esista un’enorme differenza psicologica tra la coscienza dell’esistenza di un oggetto e la coscienza della coscienza di un oggetto rasenta una sottigliezza che molto difficilmente potrà trovare una qualche rispondenza” (19).
Ebbene, non ha dell’incredibile che la differenza spirituale (non “psicologica”) tra la coscienza e l’autocoscienza, “basilare”, ad esempio, per Cartesio o per Kant, rasenti invece, per Jung, “una sottigliezza che molto difficilmente potrà trovare una qualche rispondenza”?
(Scrive Kant: “Le molteplici rappresentazioni che sono date [alla coscienza – nda] in una certa intuizione, non sarebbero tutte insieme mie rappresentazioni, se tutte insieme non appartenessero ad una autocoscienza” [a un “Io penso” – nda] [20]; e Bertrando Spaventa spiega: “La coscienza della coscienza non è semplicemente un’altra coscienza, che venga dopo la prima (e che tolto questo, di esser dopo, in sé sia lo stesso che la prima), ma è tale che è sé stessa e la prima (che contiene in sé la prima: un occhio che ha due occhi”) [21].)
Dice Steiner che “all’inizio dell’epoca dell’anima cosciente Lucifero agisce in modo che per suo mezzo l’uomo viene trasferito nella regione soprasensibile immediatamente confinante con la regione fisica, non però in maniera adeguata a lui”: dice, cioè, che Lucifero trasferisce l’uomo nel mondo eterico (“nella regione soprasensibile immediatamente confinante con la regione fisica”) delle immaginazioni (in cui si riflette il mondo astrale) senza farlo prima passare sotto le “forche caudine” della “coscienza infelice” di Hegel o dell’intelletto (all’opposto, perciò, di quanto prevede la superiore e sana coscienza immaginativa).
E’ importante tenerlo presente, giacché non pochi, anche tra noi, si trattengono più o meno inconsciamente al di qua dell’intelletto, illudendosi di essersene portati invece al di là.
Dobbiamo assolutamente capire, in altri termini, che il sano intelletto è la ferma base del nostro sviluppo e del nostro equilibrio (la “roccia” sulla quale dobbiamo costruirci e costruire); non dobbiamo però accontentarci di godere del suo ordinario “lume naturale”, ma dobbiamo portare avanti il suo sviluppo nella direzione dello spirito.
So bene che l’intelletto è povero, ma proprio per questo il Cristo dice: “Beati i poveri in spirito, poiché di essi è il regno dei cieli” – Mt 5,3).
L’intelletto, insomma, va assunto e digerito. Ad alcuni resta invece sullo stomaco, e per questo lo rigettano, nell’illusione di diventare così “spirituali”.

Domanda: A proposito di rigetti, so di persone che mandano i figli alla scuola Waldorf, utilizzano i prodotti dell’agricoltura biodinamica e i farmaci della Wala e della Weleda, tenendosi al tempo stesso alla larga dall’antroposofia e, soprattutto, dalla Filosofia della libertà. Che ne pensi?
Risposta: Che si tratta di persone (di ego) che vogliono godersi i buoni frutti pratici dell’antroposofia, ma non vogliono correre il rischio, accostandone le radici spirituali, di mettersi in discussione o di dover cambiare se stesse.
Già Steiner, del resto (in Formazione di comunità, ciclo di conferenze che ti consiglio di leggere, rileggere e meditare), denunciava il rischio che le “figlie” (le diverse attività antroposofiche) si separassero dalla “madre” (dall’antroposofia), arrivando perfino a rinnegarla.
Ascolta: “L’antroposofia non dovrebbe in fondo essere altro che una “sofia”, cioè un contenuto di coscienza, un’esperienza interiore dell’anima che ci rende esseri umani completi. L’interpretazione corretta del termine antroposofia non è “saggezza dell’uomo”, bensì “coscienza della sua umanità” (…) Tutte quelle iniziative sono maturate dal terreno madre dell’antroposofia e se ne deve esser memori, anzitutto rimanendo realmente antroposofi; non si può rinnegare il centro, né come insegnante di scuola Waldorf, né come collaboratore del “Kommende tag” (22), né come ricercatore, né come medico. Non deve neanche lontanamente venire in mente di dire: non ho tempo per i problemi antroposofici generali. Altrimenti potrebbe esserci sì vita per un certo tempo in ognuna di queste istituzioni, perché l’antroposofia come tale può contenere vita e dispensarla, ma una vita che non potrebbe essere di per sé mantenuta a lungo, che si esaurirebbe nelle singole istituzioni” (23).
Fatto sta che il rapporto dell’antroposofia con le attività che ne discendono è analogo a quello della vite con i tralci.
“Io sono la vite, – dice infatti il Cristo-Gesù – voi i tralci; chi rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto; perché senza di me non potete far niente. Se uno non rimane in me, è gettato via, come il sarmento, e si secca, poi viene raccolto e gettato nel fuoco a bruciare” (Gv 15,5-6).
Ricordi che cosa dissi una sera (lettera 9 novembre 1924), parlando del fatto che la Federal Reserve, la banca centrale americana, aveva preso in considerazione l’idea di una periodica scadenza del denaro? Che ciò stava a dimostrare ch’è possibile espiantare dal corpo spirituale dell’antroposofia delle idee e trapiantarle in quello di un altro spirito (di quello, nella fattispecie, “utilitaristico”).
E’ altrettanto possibile, perciò, espiantare dal corpo spirituale dell’antroposofia le sue diverse attività per trapiantarle (più o meno inconsciamente) in quello di un altro spirito.

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Di Lucio Russo
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