Massime antroposofiche
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M

Cominciamo stasera la seconda lettera della seconda parte, intitolata: Ostacoli ed aiuti alle forze di Michele al sorgere dell’epoca dell’anima cosciente (14 dicembre 1924).

L’incorporazione dell’anima cosciente produsse in tutta Europa anche una perturbazione nelle esperienze religiose e di culto. Sul finire del secolo undicesimo e all’inizio del dodicesimo si ha un chiaro avvertimento di questa perturbazione, nel sorgere delle “dimostrazioni dell’esistenza di Dio” (specialmente per opera di Anselmo di Canterbury). La esistenza di Dio doveva venir dimostrata per mezzo di ragioni logiche. Una tale aspirazione poteva nascere soltanto quando si dileguava il modo antico di sperimentare “Dio” con le forze della propria anima, perché non è necessario dimostrare logicamente ciò che così si sperimenta” (p. 124).

Chiunque abbia senno non sente il bisogno di dimostrare logicamente l’esistenza di quanto percepisce mediante i sensi fisici. Il fatto che l’arcivescovo di Canterbury, il Doctor magnificus Anselmo d’Aosta (1033/34-1109), abbia avvertito il bisogno di dimostrare in tal modo, nel Proslogion (1), l’esistenza di Dio è perciò segno che non la si percepiva o sperimentava più mediante i sensi spirituali (“con le forze della propria anima”).
Mi riferisco, naturalmente, non al senso intuitivo o a quello ispirato, ma agli ultimi residui di quel senso immaginativo ch’era stato fino allora in grado di cogliere delle realtà (e non delle astrazioni, come farà, da quel momento in poi, la coscienza rappresentativa).
Emblematica, al riguardo, è la disputa tra i realisti e i nominalisti: i primi erano ancora in grado di sperimentare qualcosa della realtà dei concetti o delle idee, mentre i secondi, avendo ormai perso tale residua capacità, li consideravano solo dei nomi. Tramontata l’immaginazione e sorto l’intelletto, ci si sforzava dunque di ritrovare, per mezzo della logica, le certezze perdute.
Sappiamo, però, che una cosa è la logica dell’intelletto, altra la logica del reale. Questa è infatti l’unità o l’insieme di tutte le logiche: di quella “analitica” dell’intelletto, di quella “vivente” dell’immaginazione, di quella “qualitativa” dell’ispirazione e di quella “essenziale” dell’intuizione.
Con l’avvento dell’anima cosciente e la maturazione dell’intelletto, non si gode più dunque della logica intuitiva, di quella ispirata e di quella immaginativa (di cui ancora usufruiva a suo modo e in misura minima l’anima razionale-affettiva), ma si gode soltanto della logica rappresentativa: ossia di una logica meccanica e binaria che schiude l’accesso alla realtà inorganica o della morte, chiudendolo, al contempo, a quanto si trova al di là di questa dimensione.

Secondo il modo antico, si percepivano animicamente le sostanze, le intelligenze, fin su alla Divinità; il modo nuovo divenne quello di formarsi intellettualmente dei pensieri sulle “cause prime” dell’universo. Per la prima maniera, nella sfera spirituale immediatamente confinante con la sfera terrestre si avevano avute le forze di Michele le quali, dietro alle forze del pensiero diretto al sensibile, armavano l’anima di facoltà adatte a percepire le sostanze, le intelligenze dell’universo; per la maniera nuova doveva prima venir creato il congiungimento dell’anima con le forze di Michele” (p. 124).

Dice Steiner: “Secondo il modo antico, si percepivano animicamente le sostanze, le intelligenze, fin su alla Divinità”.
Tali “sostanze” o “intelligenze” venivano dette “logoi”, poiché si sapeva che il Logos è il loro Principio: poiché si sapeva, cioè, che il Logos è il Principio (il Soggetto o l’Io) di tutti i concetti e di tutte le idee, l’Essere di tutte le essenze o, meglio ancora, l’Essere di tutte le Gerarchie, dagli Angeli “fin su alla Divinità”.
“Il modo nuovo – dice ancora Steiner – divenne quello di formarsi intellettualmente dei pensieri sulle “cause prime” dell’universo”: di cercare ossia di ritrovare in “modo nuovo” tutto ciò che era andato perduto.
Finché è stato unito a Michele, l’uomo ha avuto la capacità o la forza di riconoscere la realtà delle intelligenze o dei logoi; una volta separatosi da Michele, l’ha invece perduta. Michele è sempre lì (nel mondo eterico), ma deve attendere che l’uomo gli muova (dal mondo fisico) incontro. E’ pronto a riallacciare il rapporto con l’umanità, ma è ora necessario che sia questa a fare il primo passo (risalendo dal pensato al pensare).
Immaginate un uomo che tenda la mano per aiutarne un altro caduto in una buca profonda. Non dovrà quest’ultimo tendere a sua volta la mano per afferrare quella del suo soccorritore (per “congiungervisi”), permettendogli così di trarlo in salvo?
Ovviamente, l’uomo caduto nella buca (nel pensato o nella materia) sta per tutti noi, mentre quello che cerca di tirarlo fuori sta per Michele.
Come si vede, non potrà riuscirvi se non approfitteremo in modo attivo del suo aiuto (“aiutati, che Dio ti aiuta”): “Per la maniera nuova – dice appunto Steiner – doveva prima venir creato il congiungimento”.

Nel campo del culto, da Wicliff in Inghilterra (secolo quattordicesimo) fino a Huss in Boemia, in vaste sfere dell’esperienza religiosa umana venne a vacillare una dottrina centrale come quella dell’eucaristia. Nell’eucarestia l’uomo poteva trovare il suo collegamento col mondo spirituale, apertogli dal Cristo, perché gli era dato congiungersi col Cristo nella sua entità, in modo che il fatto dell’unione sensibile fosse al contempo un fatto spirituale.
La coscienza dell’anima razionale o affettiva era in grado di farsi una rappresentazione di questa unione perché, tanto dello spirito quanto della materia, quell’anima aveva ancora idee non disgiunte tra loro; era così possibile pensare un trapasso dell’una (materia) nell’altro (spirito). Ma idee siffatte non devono essere idee intellettualistiche che chiedano anche la dimostrazione dell’esistenza di Dio; devono essere tali da avere ancora qualcosa dell’immaginazione. Di conseguenza, si sente nella materia lo spirito in essa operante, e nello spirito il tendere verso la materia. Idee di questo genere hanno dietro di sé le forze cosmiche di Michele
” (pp. 124-125).

Lasciatemi fare, riguardo all’”esperienza religiosa umana”, una breve considerazione. Nell’Osservatorio scientifico-spirituale ci sono due articoli (2) in cui si cerca di dimostrare che l’odierna teologia non mette in giusta luce lo Spirito Santo, la terza Persona della Trinità, in quanto, presentandolo come la Persona dell’amore, ne oscura (per motivi che non è difficile immaginare) la valenza conoscitiva o gnostica, legata in primo luogo al pensiero.
Non è cosa da poco, anzi. Non mi risulta, tuttavia, che se ne siano accorti in molti (perfino tra coloro che vorrebbero far propria, come dice Steiner, “la missione pentecostale dell’antroposofia”). Nulla sembra infatti più ozioso, oggigiorno, che occuparsi o discutere di un tema del genere o, come si usa significativamente dire, del “sesso degli Angeli”… E pensare che Gregorio di Nissa (335-395) racconta che, ai suoi tempi, non si poteva andare dal calzolaio o dal macellaio senza sentir parlare della “generazione eterna del Figlio”. Ebbene, provate oggi ad andare dal calzolaio o dal macellaio, e sentirete di che cosa si parla.
Ma veniamo a noi.
Vi leggo, riguardo all’eucarestia, quanto dice questa biografia di Lutero: “Lutero affermò che il sacerdote nella celebrazione del sacramento non ha il potere di compiere quello che la Chiesa pretende che compia: non può “fare Dio” né “sacrificare Cristo”. Il modo più semplice per negare queste pretese era di dire che Dio non è presente e che Cristo non è sacrificato, ma Lutero avrebbe accettato solo la seconda di queste due proposizioni. Cristo non è sacrificato, perché il suo sacrificio è stato compiuto una volta per tutte sulla croce, ma Dio è presente negli elementi, perché Cristo, essendo Dio, dichiarò “Questo è il mio corpo”. Quando il prete ripete queste parole, tuttavia, egli non trasforma il pane ed il vino nel corpo e nel sangue di Dio, come afferma la Chiesa cattolica. La dottrina chiamata della “transustanziazione” afferma che gli elementi conservano i loro caratteri accidentali, ossia la forma, il gusto, il colore, ecc., ma perdono la loro sostanza, che viene sostituita dalla sostanza di Dio. Lutero respinse questa posizione, più per ragioni bibliche, che per motivi razionali. Prima di lui, sia Erasmo, sia Melantone, avevano fatto notare che il concetto di sostanza non è biblico, ma è un’invenzione degli scolastici; Lutero era perciò contrario ad usarlo ed il suo concetto non dovrebbe essere chiamato “consustanziazione”. Per lui il sacramento non era una particola di Dio caduta dal cielo come una meteora; Dio, infatti, non ha bisogno di cadere dal cielo, perché è presente in ogni luogo della sua creazione come una forza che la sostiene e le dà vita, e Cristo, in quanto Dio, è parimenti universale, ma la sua presenza resta nascosta agli occhi umani” (3).
Si crede che Dio debba cadere (“come una meteora”) dal cielo per “transustanziare” l’ostia, poiché si pensa che in essa, in quanto fatta di farina di frumento e acqua, Dio non sia presente: in quanto la si pensa, cioè, materialisticamente.
Ma se è vero, com’è vero, che il Cristo è divenuto lo spirito (solare) della Terra (“Questo è il mio corpo”), che bisogno c’è di un’altra transustanziazione?
Fatto si è che un tempo, grazie ai residui dell’immaginazione, risultava plausibile che l’elemento materiale fosse permeato di spirito (che la Terra fosse Corpus Domini), mentre adesso, esauriti tali residui, l’ostia appare una cosa meramente materiale che solo un fatto miracoloso può trasformare o, per l‘appunto, transustanziare.
Come vedete, è questo un ulteriore segno del passaggio dall’anima razionale-affettiva all’anima cosciente. Per riprendere a vedere (scientificamente) la natura non come la vedeva Cartesio, ma come una realtà permeata di spirito, si dovrà infatti attendere Goethe.

Si pensi soltanto a quanto venne a vacillare in quell’epoca per l’anima umana! Quante cose collegate con le più sacre e intime esperienze! Sorsero delle personalità, come Huss, Wicliff e altri, nei quali l’essere dell’anima cosciente risplendeva nel modo più fulgido, il cui atteggiamento animico era tale da collegarli alle forze di Michele con un’intensità che gli altri uomini avrebbero conseguito solo dopo secoli. Mosse nel loro cuore dalla voce di Michele, queste persone fecero valere il diritto dell’anima cosciente di spiccare il volo per afferrare i più alti misteri religiosi. Sentirono che l’intellettualità, che andava sorgendo con l’anima cosciente, doveva essere capace di accogliere nella sfera delle sue idee ciò che in epoche passate era stato raggiungibile per mezzo dell’immaginazione” (p. 125).

Fu il concilio di Costanza (1414-1418) a condannare al rogo Jan Hus. Ascoltate che cosa dice di tale concilio lo stesso Hus (in una lettera ai suoi amici): “E se voi foste stati a Costanza, voi avreste visto l’abominazione di questo concilio che si dice santissimo e infallibile, abominazione che ha fatto dire a parecchi cittadini di Svevia che la città di Costanza non potrà purificarsene che in trent’anni…” (4).
Sapete chi è l’autore della biografia di Hus dalla quale ho tratto questo passo? Non credo lo immaginiate: Benito Mussolini! Si tratta di un libro piuttosto raro, giacché Mussolini, che lo aveva scritto nel 1913, lo fece poi sparire dalla circolazione, in vista dei Patti Lateranensi del 1929.
Ascoltate ciò che dice del concilio di Costanza: Hus “osò fronteggiare serenamente il Concilio, l’Imperatore, la Chiesa. E sì, che non altrettanto sereni erano gli avversari o meglio i giudici. Pare che di frequente le discussioni del Concilio si concludessero in un pugilato. Nelle postille alla Storia del Cantù c’è un episodio che merita di essere segnalato, poiché addimostra la violenza brutale cui trascendevano i grossi ministri di Dio: “Nel Concilio seguì un rumore fra l’Arcivescovo di Milano e quello di Pisa e dalle parole ne vennero alle mani, volendo strangolare l’uno l’altro perché non avevano armi. Onde molti si gettarono giù per le finestre del Concilio”” (5).
Dice Steiner: “Sorsero delle personalità, come Huss, Wicliff e altri, nei quali l’essere dell’anima cosciente risplendeva nel modo più fulgido”.
Vi risplendeva soprattutto per due ragioni: primo, perché tali personalità erano concordi, al di là delle loro diverse posizioni, nel disconoscere la supremazia del papato e nel rivendicare il diritto al “libero esame” delle Sacre Scritture (la Bibbia, già tradotta da Pietro Valdo [ca. 1130 – ca. 1206/1207] in provenzale, fu tradotta da Wyclif in inglese e da Lutero in tedesco, così che potessero leggerla tutti, e non solo i chierici); secondo, perché queste stesse personalità si appellavano, più o meno esplicitamente, allo Spirito Santo, in quanto “Spirito di verità”, e quindi Spirito della libera conoscenza spirituale.
(Riguardo alla famosa “vendita delle indulgenze”, che dette il via, come si sa, alla Riforma, vi voglio leggere quanto dice questo libro: “Dal momento che la causa contingente della spaccatura tra Protestanti e Chiesa romana fu proprio il commercio delle indulgenze, è utile riassumere la dottrina teologica che ne costituisce il presupposto. Si credeva che Cristo stesso, la Vergine Maria, e molti Santi avessero guadagnato, durante la loro vita, un surplus di merito che avrebbe potuto essere distribuito tra i Cristiani meno saldi nella fede, i quali avevano, al contrario, accumulato un deficit a seguito dei peccati commessi, per espiare i quali avrebbero dovuto trascorrere un lungo periodo in purgatorio. I Papi, depositari, per mezzo di Pietro, delle chiavi della Chiesa, erano in grado di attingere a questo tesoro e di elargirlo a quei peccatori che necessitavano di un alleggerimento della pena – essi potevano così privarsi di parte della ricchezza materiale che avevano accumulato durante la vita terrena, ricevendo in cambio la ricchezza spirituale dei Santi. Pur non essendo possibile comprare la salvezza, si poteva comunque pagare per la remissione (anche totale, se la quantità di denaro e i favori elargiti erano sufficienti) delle pene” [6]; riguardo invece allo Spirito Santo, vi leggo quanto dice Unger: “Da Roma a poco a poco veniva imposto il dogma secondo il quale lo Spirito Santo parlava attraverso il collegio riunito dei cardinali, specialmente nella scelta del papa, per arrivare poi, al tempo nostro (1870) al dogma dell’infallibilità del papa nelle questioni della fede: ora lo Spirito Santo potrebbe parlare unicamente attraverso di lui […] Soltanto la vera comunità di Michele può lasciare agire lo Spirito Santo nel nostro tempo fra le comunità degli uomini” [7].)
Ciò che più importa, come sempre, è comprendere la natura dello spirito che animava tali personalità.
Queste, dice ancora Steiner, “sentirono che l’intellettualità, che andava sorgendo con l’anima cosciente, doveva essere capace di accogliere nella sfera delle sue idee ciò che in epoche passate era stato raggiungibile per mezzo dell’immaginazione”.
Inutile dire che questo, almeno per cominciare, dovremmo sentirlo anche noi.

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Di Lucio Russo
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