L'insegnamento delle scienze nella scuola Waldorf

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Nel 2003, David Jelinek, attuale direttore associato alla UC Davis School of Education, pubblicò un lavoro monografico dal titolo: “Does Waldorf offer a viable form of Science education? ”(1). Circa tre anni dopo, durante l’annual meeting dell’American Educational Research Association (AERA) , lo stesso Jelinek propose un articolo che ripercorreva sinteticamente il lavoro monografico presentato in precedenza (2).
La motivazione che ha spinto Jelinek ad affrontare tale ricerca nasceva dall’esigenza di investigare la natura della didattica delle scienze nella scuola Waldorf, essendo sempre crescente l’interesse per questa pedagogia, sia tra i genitori degli allievi che frequentano questo tipo di scuole, sia tra i ricercatori che si occupano di educazione; molti infatti riconoscono che la didattica delle materie scientifiche nella scuola Waldorf coinvolge con entusiasmo gli allievi, motivandoli maggiormente rispetto ai percorsi educativi tradizionali. Inoltre, con sempre maggiore frequenza, c’è il tentativo di introdurre elementi di questa didattica all’interno delle scuole pubbliche. Ciò ha aumentato notevolmente la visibilità di tale pedagogia in ambito accademico, richiedendone un’analisi accurata per valutarne l’efficacia.
Non sentiremmo l’esigenza di soffermarci particolarmente sulla validità di tale ricerca se non con l’intento di chi vuole trovare la ragione di chi ha torto; tale ragione possiamo individuarla nella fase di indagine di questa ricerca, dove l’autore si pone l’obiettivo di rispondere a quattro interrogativi:

1. In che modo il curriculum scientifico delle scuole Waldorf si allinea ai programmi nazionali e alle conoscenze comunemente accettate?

2. Quale è il punto di vista degli studenti, degli insegnanti e dei genitori delle scuole Waldorf rispetto all’educazione scientifica proposta nelle loro scuole?

3. Con quali risultati il ragionamento scientifico e la capacità di risolvere i problemi degli studenti Waldorf si confrontano con quelli degli studenti delle scuole tradizionali?

4. La pedagogia Waldorf offre una valida forma di educazione scientifica?

Un’analisi che si basi su queste domande costituisce un utile strumento di auto osservazione per chi lavora all’interno delle scuole Waldorf in quanto riporta il punto di vista che il mondo educativo ufficiale ha su questa pedagogia. Se dunque, fino ad un certo grado, prendiamo in considerazione i dati dell’analisi, tralasceremo completamente le considerazioni sui metodi di indagine e non ci dilungheremo troppo e sulle conclusioni, ritenendole, ad essere onesti, di poco spessore.
Rispetto alla prima domanda, dallo studio risulta che l’appropriatezza pedagogica [pedagogical appropriateness] del curriculum scientifico Waldorf è sempre elevata. La correttezza dei contenuti scientifici varia, invece, a seconda delle classi, risultando abbastanza elevata nelle classi basse e diminuendo nelle classi più alte. Risulta però scarsa l’accuratezza scientifica di alcune idee utilizzate all’interno delle lezioni poiché troppo distanti dalle conoscenze comunemente accettate dalla scienza ufficiale; come esempio di presunta “scarsa accuratezza scientifica” riportiamo il fatto che, almeno fino alle classi superiori, non viene affrontata la teoria dei colori di Newton mentre è parte fondante del curriculum delle scuole Waldorf la teoria dei colori di Goethe. Sappiamo che la comunità scientifica non è mai riuscita a comprendere la validità del punto di vista di Goethe. Steiner ci aiuta a comprendere da dove nasce tale difficoltà: “Oggi non abbiamo nessuna possibilità di entrare nella controversia tra la teoria dei colori di Goethe e la teoria, diciamo, antigoethiana. Le rappresentazioni fisiche correntemente utilizzate nei nostri giorni, partono da premesse teoriche tali che l’osservazione seguente fatta da un fisico con il quale ho avuto una conversazione sulla teoria dei colori di Goethe, si trova giustificata: egli diceva semplicemente, onestamente l’attesto: ‘Per un fisico d’oggi – ed egli si riteneva tale, a giusto titolo – la teoria dei colori di Goethe non ha nessun senso.” (3)
Quale significato dobbiamo dare, quindi, alla “scarsa accuratezza scientifica” di cui parla Jelinek? Dovremmo considerare poco scientifico l’approccio di Goethe e, di conseguenza, l’insegnamento della sua teoria dei colori, in quanto esso si distanzia troppo dal comune (nel senso di diffuso) modo di pensare scientifico. Se così si intende, dovremmo far comprendere alla comunità scientifica che la pedagogia Waldorf non si pone l’obiettivo di istruire, promulgando delle teorie, ma di educare le anime ad un autonomo e critico pensare che permetta poi di riconoscere quali siano le teorie valide e quali no.
Il giudizio di Jelinek risulta superficiale non solo dal punto di vista pedagogico, ma anche dal punto di vista epistemologico; esso trova infatti le sue radici nel moderno concetto di paradigma scientifico, elaborato dall’epistemologo e storico della scienza Thomas Kuhn, cui fa riferimento Jelinek nella discussione della sua ricerca. Nel famoso testo dal titolo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Kuhn introduce il concetto di paradigma scientifico come “un risultato scientifico universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati”. L’autore parla, da un lato, di “scienza normale” alla quale aderisce la maggior parte degli scienziati secondo il vigente paradigma scientifico e, dall’altro, di “scienza rivoluzionaria” cui si perviene se e quando ci siano sufficienti evidenze e forza per ribaltare il paradigma vigente e affrontare un cambiamento di paradigma. Tuttavia, utilizzare la teoria di Kuhn per motivare il giudizio di scarsa accuratezza scientifica è scorretto in quanto tale teoria non giudica le idee scientifiche in base al fatto di appartenere o meno al vigente paradigma scientifico ma valuta solo le circostanze in cui un’idea scientifica diventa dominante. Se così fosse, immaginando di essere catapultati nella prima metà del XVII secolo, dovremmo considerare come poco accurate scientificamente le ricerche di Galileo Galilei in quanto introducevano un cambiamento di paradigma, passando da una filosofia che si basava sulla logica deduttiva ad una scienza basata sulla logica induttiva, ma lo facevano in un periodo in cui ciò non possedeva ancora sufficienti evidenze e forza.
In merito al secondo quesito della ricerca di Jelinek, emerge dalle interviste rivolte agli insegnanti Waldorf che la preparazione scientifica risulta elevata solo in alcuni di loro; nella maggior parte dei casi, i docenti possiedono una elevata conoscenza dei contenuti propri della pedagogia Waldorf e della letteratura antroposofica ma non dei contenuti scientifici (4). Jelinek osserva inoltre che, in generale, gli insegnanti si trovano a dover continuamente affrontare la questione di cosa devono portare in classe e in che modo piuttosto che porsi il problema del fondamento conoscitivo di ciò che portano; sono quindi maggiormente preoccupati degli aspetti didattici piuttosto che scientifico-conoscitivi. Un’altra osservazione emersa è che gli insegnanti meno esperti si sentono spesso intimiditi da quelli più esperti e costretti ad ubbidire al dettame “le materie scientifiche si insegnano così!”. Un ultimo aspetto è questo: molti insegnanti Waldorf intervistati riportavano le seguenti convinzioni rispetto all’insegnamento scientifico che si svolge nella scuola pubblica:

– la scienza insegnata è inferiore rispetto alla nostra;
– l’insegnamento manca di immaginazione e ispirazione;
– agli studenti vengono dati solo concetti morti;
– viene utilizzata la memoria in maniera brutale;
– non vengono integrate le capacità della testa, delle mani e del cuore.

Jelinek nota, tuttavia, che nessun insegnante portatore di tali giudizi era a conoscenza delle ricerche attuali nella didattica delle materie scientifiche che svolge la pedagogia tradizionale.
Vale la pena di soffermarsi su questo punto cruciale poichè, a nostro parere, in esso risiede uno dei pochi dati interessanti di questa ricerca: dalle interviste emerge una certa chiusura all’interno del mondo degli insegnanti Waldorf. Questa chiusura è stata riconosciuta da Martyn Rawson, noto autore di numerosi libri di pedagogia Waldorf, in un articolo del 2010 pubblicato sulla rivista ROSE; in esso l’autore suggerisce di affrontare coraggiosamente il tema di una “prospettiva critica nei confronti delle tradizioni Waldorf” [taking a critical prospective on Waldorf traditions]. Le riflessioni di Rawson nascono dal riconoscere che è necessario un nuovo livello di coscienza critica e di riflessione del complesso corpo di conoscenze e pratiche che costituisce il mondo della pedagogia Waldorf. Rawson chiama questo corpo “Waldorf culture” e riconosce che esso possiede una chiusura che con difficoltà si riesce a sciogliere. Scrive inoltre Rawson: “La combinazione di elevati ideali, ambiguità riguardo all’accesso ai metodi di ricerca scientifico-spirituali (5) e vari sviluppi storici hanno contribuito ad indebolire la preparazione degli insegnanti nelle scuole Waldorf. La mia lettura della situazione è che c’è stata una fiducia non critica durata troppo a lungo nei confronti del lavoro di Steiner e dei suoi seguaci divenuto, nel tempo, un vero e proprio corpo di conoscenze che è stato poi utilizzato come base teoretica per la pratica. Probabilmente la metafora di una cava da cui è stata estratta la materia prima per costruire un edificio è appropriata. L’intensità con cui la sorgente originale è stata estratta dalla cava è necessariamente diminuita e sorgenti secondarie e terziarie che costituiscono oggi la cultura Waldorf sono state utilizzate sempre di più, incluso materiale su cui non si è riflettuto, che si è riciclato ed era pronto per l’uso”. (6)
Nel momento in cui un pensare critico, nella sua forma scientifica, perde terreno, inevitabilmente viene sostituito da un atteggiamento di chiusura, a tratti settario, che struttura un’insieme di forme conoscitive ferme le quali, per il fatto di non riuscire a trasformarsi, perdono vita. Proprio questo accadimento riduce l’arte dell’educazione di Steiner a un metodo educativo che può essere “copiato”, trasferito in contesti estranei, preso parzialmente e adattato. Quanto più crescerà il tentativo di sezionare la pedagogia Waldorf per rendere le sue piccole parti adattabili ad ogni contesto esteriore, tanto più verrà meno la sua essenza unitaria che ne costituisce la fonte di vita e di rinnovamento; tale unità non risiede negli specifici metodi messi in atto ma si cela nella comune immagine antropologica dello sviluppo umano cui ogni idea didattica dovrebbe fare riferimento.
Rispetto alla terza domanda affrontata dalla ricerca di Jelinek, risulta che le capacità degli allievi Waldorf nel ragionamento scientifico e nell’approccio per la risoluzione dei problemi [problem solving] non hanno nulla da invidiare rispetto a quelle che possiedono gli studenti delle scuole tradizionali.
Infine, dati i risultati positivi relativi all’apprendimento e alle capacità di ragionamento degli allievi delle scuole Waldorf, Jelinek non può che rispondere affermativamente alla quarta domanda. Potremmo concludere quindi, con Jelinek, che l’insegnamento Waldorf possiede, sia validità pedagogica, sia validità metodologica.
Tuttavia l’autore sostiene, nelle sue conclusioni, ancora qualcosa che non emerge dalle sue analisi ma proviene da un suo grossolano pregiudizio: egli afferma che tale metodologia non possiede nei contenuti validità conoscitiva, anzi, è caratterizzata da fondamenti pseudo-scientifici provenienti dalle rivelazioni della scienza dello spirito. Suggerisce infatti al mondo della pedagogia Waldorf di rigettare Rudolf Steiner e l’Antroposfia in quanto sorgenti di contenuti pseudo-scientifici, e di prendere definitivamente distanza da essi al fine di potersi serenamente occupare dello sviluppo degli aspetti didattici che hanno invece mostrato la loro indubbia validità. (7)
Questi presunti fondamenti pseudo-scientifici diventano per Heiner Ullrich, autorevole professore dell’università di Mainz e autore del libro Rudolf Steiner – vita e dottrina, motivo valido per considerare l’intera pedagogia Waldorf e la stessa Antroposofia come pre-scientifiche. Da dove nasce un simile giudizio? La moderna teoria educativa che si basa sulle scienze cognitive, detta anche pedagogia cognitivista, è sostanzialmente cerebro-centrica e si avvale di tutto l’apparato analitico considerato oggi scientifico; procede infatti da un approccio che affonda le sue radici nella psicologia cognitiva e nello studio dei processi fisici mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, trasformate, elaborate, archiviate e recuperate. La percezione, l’apprendimento, la risoluzione dei problemi, la memoria, l’attenzione, il linguaggio e le emozioni sono processi unicamente mentali che vengono studiati quali elementi intermedi tra il comportamento e l’attività cerebrale prettamente neurofisiologica. Il mondo accademico, basandosi sulla moderna idea di paradigma scientifico, esclude la possibilità che una pedagogia basata sull’Antroposofia di Rudolf Steiner possa essere considerata scientifica in quanto non ricalca i percorsi di questo pardigma. Scrive, infatti, Heiner Ullrich: “Nell’antroposofia di Rudolf Steiner e quindi anche nella scienza dell’uomo della pedagogia Waldorf o nella medicina intuitiva incontriamo oggi nuovamente l’antico e ben noto volto del mito. A differenza delle narrazioni mitiche originali, però, la visione del mondo antroposofica rappresenta una sintesi di eterogenee interpretazioni mitiche del mondo e, per così dire, un mito di secondo grado. Il paradosso dell’antroposofia è che essa esibisce un’ambizione scientifica, ma in realtà compie un ritorno al mito.” Più avanti prosegue, scrivendo: “Gli esponenti della filosofia accademica pongono l’accento prevalentemente sulle debolezze etiche e teoretiche dell’antroposofia. Le analisi improntate alla teoria della scienza enfatizzano invece le indiscutibili affinità tra la visione del mondo antroposofica e le forme di pensiero pre-scientifiche, soprattutto mitiche.” Infine, Ullrich conclude, scrivendo: “La ricezione da parte della pedagogia riformata ha messo l’accento – a prescindere dai presupposti filosofici – sulla “prassi intelligente” e sull’educazione “olistica” a misura di bambino della padagogia Waldorf. Il discorso critico-ideologico, per contro, sottopone proprio la “neo-mitologia” occulta di Steiner a una radicale critica filosofica mettendo in guardia dal rischio che da essa scaturisca un insegnamento indottrinante”. L’Antroposofia di Steiner, essendo secondo Ullrich pre-scientifica, non può essere alla base di una pedagogia scientifica; tuttavia anche egli riconosce alla pedagogia Waldorf di costituire, nei fatti, una “prassi intelligente” (8).
Chi ha approfondito la scienza dello spirito di Rudolf Steiner e si occupa di pedagogia Waldorf, fatica a considerare non solo corretta, ma nemmeno digeribile, l’analisi proposta da Ullrich. Ben distanti sono infatti gli astratti riferimenti ad una Antroposofia che “compie un ritorno al mito”, da una percorso conoscitivo (non una teoria quindi né, tantomeno, una dottrina ma una pratica) che vuole conoscere scientificamente e oggettivamente i legami tra uomo e mondo. D’altro canto ci risulta anche impossibile accettare l’idea di visione mitica della realtà; tuttalpiù, e in questo potremmo certamente concordare, il percorso conoscitivo di Steiner porta ad una visione reale del mito e ad una sua corretta collocazione nel percorso dell’evoluzione della coscienza umana. L’errore dell’analisi di Ullrich, dovuto ad una imbarazzante ignoranza del percorso conoscitivo antroposofico, nasce da un giudizio astratto relativo ai contenuti dei testi di Steiner piuttosto che da una esperienza reale del percorso proposto nei suoi libri e nelle sue conferenze. Questo atteggiamento, purtroppo diffuso in ambito accademico, ci richiama alla mente l’opera teatrale di Brecht dal titolo Vita di Galileo. In una celeberrima scena di quest’opera, alcuni dotti esponenti dell’università incontrano Galileo Galilei per compiere osservazioni attraverso il suo famoso telescopio al fine di constatare loro stessi la veridicità delle affermazioni dello scienziato sui movimenti degli astri; tuttavia, anziché fare una diretta esperienza dello strumento, giudicano impossibili quelle affermazioni e il tutto si conclude con un pre-giudizio privo di fatti concreti su cui basarsi.
L’idea che vi siano elementi pseudo-scientifici all’interno della pedagogia Waldorf dovuti all’Antroposofia, purtroppo, non appartiene solo ad esponenti esterni al movimento delle scuole Waldorf, ma serpeggia anche tra insegnanti che lavorano al loro interno (9). Alcuni docenti giudicherebbero opportuno tralasciare Steiner e l’Antroposofia ritenendoli l’elemento che non permette alla scuola Waldorf di essere riconosciuta a tutti gli effetti.
Ma come è possibile che anche all’interno delle scuole Waldorf possano esserci queste convinzioni? Vi è chiarezza su cosa significa davvero educazione scientifica e su quale relazione vi sia tra scienza naturale e scienza dello spirito? C’è sufficiente approfondimento in rapporto ai concetti che nella ricerca di Jelinek vengono giudicati pseudo-scientifici e nel lavoro di Ullrich addirittura pre-scientifici? Rispetto a quest’ultimo quesito, Steiner dice: “Comprendere o meno una persona che ci parla dipende ad esempio da noi, dalla nostra vita animica. I presenti mi comprendono quando mi esprimo nelle mie diverse conferenze. Ma se venisse portata qui una persona per assistere a queste conferenze, che nulla sa degli argomenti che noi trattiamo, per quanto addentro alla cultura moderna forse non capirebbe nulla. Perché mai? Perché i presenti, magari da anni, hanno fatto proprie altre rappresentazioni. Quelle che si fanno incontro alle rappresentazioni che emergono dal discorso di oggi sono le stesse che già da anni i presenti hanno acquisito. Sono quindi le stesse rappresentazioni che nell’anima muovono incontro alle nuove” (…) Non serve a nulla voler comprendere qualcosa se non si ha in sé il patrimonio di rappresentazioni che consente la comprensione” (10).
Affinché il mondo possa comprendere il punto di vista della pedagogia Waldorf, è condizione necessaria che gli stessi insegnanti di queste scuole conoscano nel dettaglio il patrimonio rappresentativo delle persone che li circondano. Padroneggiare infatti, fino nei minimi dettagli, i percorsi di pensiero che dominano la cultura scientifica contemporanea permette di penetrare il modo in cui le rappresentazioni oggi più diffuse si formano nell’interiorità delle persone. Questo ci permette di conquistare quell’immagine che può correggere, nelle anime giustamente predisposte, l’errata via su cui procede il moderno pensare scientifico, via che, in precedenza, noi stessi siamo stati in grado di percorrere sino alle estreme conseguenze.
Ritornando alle conclusioni di Jelinek, riconosciamo come vera l’osservazione di una chiusura e riteniamo che essa abbia prodotto un indebolimento della pedagogia sul piano culturale; l’origine del problema però sta nell’incapacità degli insegnanti Waldorf di costruire una solida relazione interiore con l’Antroposofia, fatto che si manifesta in maniera duplice: da un lato, limitando il proprio orizzonte conoscitivo ad una Waldorf culture senza avere la forza di porla criticamente in discussione; dall’altro, non riuscendo ancora a cogliere il valore profondamente scientifico della via spirituale portata da Rudolf Steiner.
Sosteniamo quindi che proprio nell’Antroposofia che Jelinek ritiene essere il limite della pedagogia Waldorf risiede invece la sostanza dell’educazione proposta in queste scuole. L’essenza non è infatti metodologica, dal momento che la validità del “metodo Waldorf” proviene proprio dalla forza fecondante dell’Antroposofia. Proprio la comprensione del nuovo processo conoscitivo proposto da Steiner permette di cogliere, da un lato, la relazione tra scienza naturale e scienza dello spirito che vede la seconda quale moderno ampliamento della prima; dall’altro, quanto tale approccio, sviluppato sul piano pedagogico, divenga nell’animo degli allievi la premessa per lo sviluppo di quella coscienza immaginativa di cui Steiner parla, considerandola il successivo passaggio di coscienza necessario all’uomo per potersi sviluppare secondo una linea evolutiva e non involutiva.
Perchè ciò avvenga, però, è dovere degli insegnanti approfondire tutti quegli ambiti che ancora oggi hanno una forza enorme sul piano culturale e che Jelinek raggruppa con il termine di “Big Ideas”, impegnandosi ad illuminarli tramite la luce della scienza dello spirito. Queste idee sono:

1. La teoria atomica
2. La tavola periodica degli elementi
3. La teoria del Big Bang
4. Teoria dell’evoluzione geologica
5. Teoria dell’evoluzione biologica

Nel mondo delle scuole Waldorf tali “grandi idee” non vengono affrontate all’interno del piano di studi o vengono presentate agli studenti molto più in là nel tempo rispetto alle scuole tradizionali. A volte, invece, sono addirittura messe in dubbio dal curriculum Waldorf stesso poiché, tramite un sano approccio educativo e didattico, non sarebbe corretto giungere a tali modelli; proprio questo atteggiamento educativo viene considerato, dal mondo accademico ufficiale, scientificamente poco accurato.
Dobbiamo quindi chiederci quale sia il nostro compito educativo: diffondere i modelli teorici propri dell’educazione scientifica moderna in modo che divengano un patrimonio conoscitivo da applicare alla realtà o educare nell’individuo un sano processo interiore in modo che egli sia poi in grado, mosso da un proprio impulso interiore, di attivarsi con le giuste domande di fronte ai fenomeni del mondo per trovare risposte nuove? La prima via rende la pedagogia Waldorf “scientificamente accurata” ma vicina più ad una dottrina che ad un percorso educativo che vorrebbe condurre all’esperienza della libertà; la seconda via richiede molto coraggio ed è sostenibile solo se chi educa possiede l’autorevolezza per porsi su un piano culturale; questa autorevolezza è raggiungibile se tali “grandi idee” vengono conosciute in profondità, setacciando tutte quelle rappresentazioni che fanno parte della cultura scientifica di oggi. A conferma di ciò, riportiamo quanto scrive Hella Wiesberger: “Allo stesso modo in cui penetrò nel mondo dei pensieri di Goethe, [Steiner] penetrò anche in quello di Nietzsche e di Haeckel, in quanto è possibile giungere a delle reali conoscenze soltanto se non si vuole rappresentare in modo assoluto il proprio punto di vista, ma se ci si immerge in correnti spirituali estranee. E soltanto dopo aver cercato per due decenni di operare partendo da queste prospettive, in un certo senso per conquistarsi la giustificazione di poter operare sulle persone viventi, egli si presentò diffondendo pubblicamente la scienza dello spirito. Infatti, ora, nessuno poteva affermare a buon diritto che “questo occultista parla del mondo spirituale perché non conosce le conquiste filosofiche e scientifiche dell’epoca””. (11)
Se non ci assumiamo questo compito, il risultato sarà quello che già sta emergendo: la riduzione della pedagogia Waldorf a mero metodo e la rimozione da un lato dell’Antroposofia e dall’altro del ruolo e dell’individualità di Rudolf Steiner. Solo se tale prospettiva verrà vissuta nella propria anima come lacerante e dolorosa, solo se la riduzione e l’impoverimento dell’impulso pedagogico di Steiner verranno sentiti non semplicemente come un attacco al movimento delle scuole Waldorf ma, in primis, come un profondo tradimento dello Spirito, allora troveremo la forza per agire con determinazione e responsabilità sul piano culturale. </p > (1) D. Jelinek, Li-Ling Sun: Does Waldorf offer a viable form of Sciece education? , gratuitamente scaricabile al seguente indirizzo web: http://www.awsna.org/jelinekarticle.pdf;
(2) D. Jelinek: But is it Science? , gratuitamente scaricabile al seguente indirizzo web http://www.csus.edu/indiv/j/jelinekd/…/But%20Is%20It%20Science%20Jelinek.pdf;
(3) R. Steiner: Impulsi scientifico-spirituali per lo sviluppo della Fisica – Primo corso, Miriadi edizioni, p.9
(4) Sarebbe corretto, a questo punto, porsi la domanda anche sulla preparazione scientifica degli insegnanti della scuola pubblica in relazione ai contenuti che vengono portati agli studenti e utilizzare questo dato per valutare la didattica ufficiale. Tuttavia questo ci porterebbe ad altre analisi. Sebbene, quindi, questa osservazione di Jelinek risulti piuttosto pretestuosa, restiamo convinti che, per il valore culturale che deve assumere la pedagogia Waldorf, essa vada presa seriamente in considerazione.
(5) Specifichiamo che il termine “ambiguità” non è riferito ai metodi di ricerca portati da Rudolf Steiner, ma alla difficoltà di trasferirli nel mondo della pedagogia con una modalità scientificamente descrivibile. In questa direzione, infatti, va il tentativo di Rawson attraverso l’introduzione del “metodo di una conoscenza dell’essere umano acquisita meditativamente al fine di generare una conoscenza intuitiva” [method of meditatively acquired knowledge of the human being to generate intuitive knowledge]. Martyn Rawson: Sustainable teacher learning in Waldorf education: a socio-cultural prospective, in ROSE, Vol.1 Number 1, p.26-42.
(6) ibid. p.28.
(7) “As a first step Waldorf should disregard Rudolf Steiner and Anthroposophy as the source of accurate scientific concepts” da: D. Jelinek: But is it Science? , p.11.
(8) Heiner Ullrich: Rudolf Steiner, Carocci Editore, Roma 2013.
(9) Non dimentichiamoci che proprio Jelinek, oltre ad essere stato un insegnante Waldorf per ben 10 anni, ha anche assunto il ruolo di direttore della scuola Waldorf di Santa Barbara.
(10) R. Steiner: Antroposofia-Psicosofia-Pneumatosofia, Antroposofica, Milano 1991, pp.123-124
(11) Hella Wiesberger: Postfazione al ciclo di Rudolf Steiner dal titolo: Storia e contenuti della prima sezione della scuola esoterica 1904-1914, Milano 2013, ed. Antroposofica, p.146.

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Di Daniele Liberi
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