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Ma come nasce il prezzo?
Abbiamo visto che, a detta di Simmel, si verifica uno scambio ogni volta che, per acquisire una cosa che vale, “sono disposto a rinunciare” a un’altra cosa che vale. Per questo, Steiner afferma che gli uomini non esercitano tanto uno scambio di beni quanto piuttosto di valori. “In qualsiasi punto ci troviamo posti nel processo economico, – dice – e questo si estrinseca in una compra-vendita, abbiamo in sostanza uno scambio di valori. Non troviamo altro scambio che quello di valori. In fondo è un errore parlare di scambio di beni”.
Quando si verifica “uno scambio di valori”, prende forma il prezzo. Spiega ancora Steiner: “Quel che risulta nel processo economico, quando valore e valore cozzano l’uno contro l’altro per scambiarsi, è il prezzo. Si vedrà apparire il prezzo quando nel processo economico valore urta contro valore” (17).
Eccoci di nuovo alle prese col valore: non però con quello ideale o spirituale (incommensurabile), ma con quello economico (commensurabile).
Come si crea il valore economico?
Per capire come si crei tale valore, è necessario considerare, dice Steiner, due diverse fonti: una è rappresentata dal lavoro umano applicato alla natura; l’altra dallo spirito umano applicato al lavoro. “Questi – afferma – sono in sostanza i due poli del processo economico. Non vi sono altre vie attraverso le quali vengano generati valori economici. O la natura viene modificata dal lavoro umano, o il lavoro viene modificato dallo spirito” (18).
Il valore è dunque una manifestazione dello spirito: in un caso, dello spirito umano quale volontà o forza; nell’altro, dello spirito umano quale pensiero o forma.
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Dire, come fa Steiner, che il prezzo sorge “quando nel processo economico valore urta contro valore” equivale a dire che il valore nasce quando qualità urta contro qualità.
Il valore che deriva dal “lavoro umano applicato alla natura” si crea quando la qualità del bene naturale s’incontra con la qualità del lavoro umano: ossia con l’abilità dell’homo faber. Per poter diventare “valore economico” deve però essere immesso, quale merce, nel circùito degli scambi (“nel lavoro – dice Steiner – non si ha un valore economico diretto”) (19). La fatica spesa per trasformare un qualsiasi bene naturale (per trasformare ad esempio un ramo in un bastone da passeggio) non basta, di per sé, a creare un valore economico, anche quando nei crei magari degli altri, salutistici, estetici o utilitari.
Il valore che nasce dallo “spirito umano applicato al lavoro” si crea quando la qualità del lavoro s’incontra con la qualità dello spirito: ossia, con l’ingegnosità dell’homo sapiens (diceva Leopoldo Pirelli: “Efficienza vuol dire far bene le cose, efficacia significa fare le cose giuste”) (20).
Il primo di questi due processi (quello della trasformazione del bene naturale da parte del lavoro umano) crea valore (valore che diventa economico solo nel momento in cui il bene trasformato viene immesso, come merce, nel mercato); il secondo (quello della trasformazione del lavoro umano da parte dello spirito) crea invece plusvalore (un valore che si aggiunge al primo e lo incrementa).
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Steiner denomina “vNL” il valore che scaturisce dalla trasformazione della natura da parte del lavoro umano e “vLS” quello che scaturisce dalla trasformazione del lavoro da parte dello spirito umano. Per semplificare, chiameremo il primo “vV” (valore-volontà) e il secondo “vP” (valore-pensiero).
Quando nel processo economico subentra, quale effetto della trasformazione del lavoro da parte dello spirito, la divisione del lavoro, il valore-volontà viene frazionato o, come dice Steiner, “smembrato”.
Allorché il bene naturale viene trasformato dal lavoro di più persone, il valore “vV” si viene infatti a suddividere nei valori parziali “vV1”, “vV2”, “vV3”, ecc.. “Quel che esiste nella realtà – osserva Steiner – deve in qualche modo venir diviso, quando il valore vNL [il nostro “vV” ] passa alla divisione del lavoro […] Per che cosa deve venir diviso? Quale sarà il divisore? Che cosa suddivide questo processo?” (21).
È qui, risponde, che subentra l’altro valore: quello che chiama “vLS” e che noi abbiamo chiamato “vP”. Il rapporto di questo secondo valore con il primo viene espresso da una frazione della quale “vV” è il numeratore e “vP” il denominatore.
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Dal momento che questo punto è di grande importanza, proveremo a chiarirlo ricorrendo a un esempio.
Immaginiamo che l’individuo A, dopo aver costruito l’attrezzo a, voglia barattarlo con quello b, costruito dall’individuo B. Ove questi sia d’accordo, si avrà uno scambio che lascerà entrambi soddisfatti.
Ma che cosa accadrebbe se l’attrezzo a, anziché essere stato realizzato dal solo individuo A, fosse stato realizzato in parte da A, in parte da C e in parte da D? In questo caso, l’individuo A, dopo aver scambiato l’attrezzo a con quello b, dovrebbe dividerlo in tre parti e distribuirle tra sé, C e D.
Una cosa del genere, con un bene concreto, non sempre si può fare. Quale senso avrebbe uno scambio in ragione del quale A fosse poi costretto a smontare l’attrezzo b per trattenerne un pezzo e darne gli altri due a C e D?
La differenza tra le due situazioni è determinata dal fatto che nella seconda è intervenuta la divisione del lavoro. È questa a esigere la creazione di un bene o, per meglio dire, di una merce che, svolgendo un ruolo di mediazione, si presti a essere suddivisa senza venir meno, per questo, alla propria funzione. Questa merce è il denaro.
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Dice Simmel che il denaro gode, insieme alla “strumentalità”, alla “trasportabilità”, alla “nascondibilità”, all’“impersonalità”, all’“astrattezza”, alla “potenzialità” e alla “dinamicità”, di “una particolare divisibilità” (22).
Ricordiamo che il primitivo scambio diretto dei beni (il baratto) non è stato direttamente sostituito da quello indiretto del denaro, bensì da quello (già comunque indiretto) di un qualche oggetto concreto cui veniva conferito e riconosciuto, dalla collettività, il privilegio di svolgere quella funzione mediatrice ch’è caratteristica delle moderne banconote.
(Il denaro-valore, il denaro-funzione e il denaro-sostanza sono realtà gerarchicamente ordinate. E’ dall’evoluzione ideale del primo che dipende quella dinamica del secondo, ed è da questa che dipende quella materiale del terzo.)
Scrive Fini: “Sia nel neolitico che tra i cosiddetti “primitivi moderni” è esistita una forma di moneta: la moneta-merce. Praticamente, tutto ciò che aveva un apprezzamento collettivo e diffusione adeguata poteva essere moneta-merce: conchiglie, ostriche, sale, perle, braccialetti, catenelle, certi tipi di pietre, zanne di cinghiale e di elefante, denti di cane e di capidoglio, pesce essiccato, pelli. Alla categoria della moneta-merce appartengono anche la moneta-utensile e la moneta-bestiame (buoi, vacche, pecore)” (23).
In una fase successiva, a tali oggetti concreti vengono preferiti i metalli preziosi (l’oro e l’argento). In seguito, quando ci si rende conto, come dice Simmel, che i metalli preziosi, oltreché rari, sono difficili da raffinare e coniare, instabili nel loro valore e poco adatti a transazioni di piccolo valore economico (in questo caso, il valore della sostanza rischia di superare quello nominale), si passa dapprima ai metalli non preziosi (al bronzo) e poi alla moneta cartacea o alla banconota.
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Il denaro risulta da una graduale metamorfosi della merce. “Tutto il denaro – dice appunto Steiner – si è un tempo trasformato da merce in denaro” (24).
Il denaro-funzione non solo ha sempre subordinato il denaro-sostanza, ma ha preso ormai un netto sopravvento su questo (si pensi, ad esempio, agli assegni, alle carte di credito o a quanto si dice del prossimo avvento di una cashless society).
Scrive Poggi: “La “sostanza tangibile” che serve da supporto al denaro e che gli permette di rappresentare valori economici è praticamente scomparsa, proseguendo nella approssimazione asintotica verso “la completa eliminazione della base materiale del denaro”” (25).
(Mentre andiamo rielaborando queste note, la stampa dà notizia che il 5 aprile 2016 si celebrerà in Italia e in diversi paesi europei la sesta edizione del “No Cash Day”.)
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A questo punto, possiamo modificare la nostra frazione, mettendo al posto del numeratore “vV” (valore-volontà) la merce e al posto del denominatore “vP” (valore-pensiero) il denaro (26).
Osservando questa frazione (questo rapporto tra la merce e il denaro), subito si comprende che quando il quoziente sarà superiore a uno, la quantità delle merci disponibili sarà superiore a quella del denaro; quando sarà uguale a uno, la prima sarà uguale alla seconda; quando sarà inferiore a uno, la seconda sarà superiore alla prima.
Tale quoziente costituisce un indice del maggiore o minore stato di salute della vita economica: si ha infatti un’insana vita economica, sia nel caso in cui, pur essendo presente il denaro, siano assenti le merci da acquistare, sia in quello in cui, pur essendo presenti le merci, sia assente il denaro per acquistarle.
Scrive Andrei Krylienko: “Un sistema monetario sano dovrebbe fornire alla comunità la moneta, che è una misura del valore, uno strumento di scambio e, se necessario, un mezzo di tesaurizzazione. Per adempiere queste funzioni il livello dei prezzi nel sistema deve essere stabile; in altre parole il rapporto numerico tra il volume dei beni e servizi scambiati in una comunità e il volume della moneta mediante la quale questi vengono scambiati dovrebbe essere costante” (27).
Steiner fa inoltre osservare che i consueti concetti di domanda e di offerta non abbracciano l’intero fenomeno. Si dovrebbe infatti considerare che “offerta di merci è domanda di denaro e offerta di denaro è domanda di merci” (28), e che la relazione tra questi due fattori varia in funzione del ruolo svolto nella vita economica: l’offerta, ad esempio, rappresenta per il consumatore “un’offerta in denaro”, per il produttore “una domanda di merci”, per il commerciante un “qualcosa che sta propriamente in mezzo fra il denaro e la merce” (29).
Ciò vuol dire che quando il quoziente della nostra frazione è inferiore a uno (quando la quantità del denaro o dei valori nominali è superiore a quella delle merci o dei valori reali), si ha dal punto di vista del consumatore un eccesso di offerta di denaro, da quello del produttore un eccesso di domanda di merci e da quello del commerciante un’alterazione del rapporto fisiologico tra il primo e le seconde.
Fini pone giustamente l’accento su questo aspetto della patologia economica.
E’ innegabile, infatti, che la quantità dei valori nominali circolanti ha oggi travalicato in misura impropria quella dei valori reali che dovrebbe rappresentare e alla quale dovrebbe sempre, più o meno, corrispondere.
Dice appunto Fini: “Il giorno che il colossale volume del denaro in circolazione, o una parte consistente di esso, si presenterà all’incasso per essere convertito in beni, servizi e lavoro che non rappresenta più da tempo, forse da sempre, il sistema crollerà” (30).