Due parole sull’ansia e sull’angoscia

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1911 – Rudolf Steiner: “Sappiamo che in un tempo relativamente breve il genere umano dovrebbe perdere ogni sicurezza, ogni interiore tranquillità, la pace necessaria per vivere, se la rivelazione che chiamiamo antroposofia non giungesse all’umanità, appunto nell’epoca nostra” (1).

Alla voce “angoscia” del Dizionario di psicologia di Arthur S. Reber (2), si legge: “Per introdurre all’uso di questo termine, si rende necessaria una precisazione terminologica che riprendiamo dalle parole di Mario Moreno: “Nella nostra lingua ansia e angoscia sono sostanzialmente sinonimi. Nelle traduzioni italiane di testi psicoanalitici è invalsa l’abitudine di tradurre il termine tedesco angst (ingl. anxiety) con angoscia. Nella letteratura psichiatrica si è avuta la tendenza a usare il termine ansia per indicare uno stato affettivo per così dire puro, e il termine angoscia per indicare uno stato d’ansia con una componente somatica (in particolare la sensazione di oppressione toracica)” […] L’angoscia viene distinta dalla paura, poiché un tale stato d’angoscia è spesso (di solito, dicono alcuni; sempre, insistono altri) privo di causa oggettiva, mentre la paura è legata ad un oggetto, persona od evento temuto”.
Si potrebbe dunque dire, riassumendo: la paura, l’angoscia e l’ansia sono “emozioni”, e come tali, a detta di König, “figlie delle tenebre” (a differenza delle sensazioni che sono, sempre a detta di König, “figlie della luce”). La paura è un’angoscia determinata e somatizzata, l’angoscia è una paura indeterminata e somatizzata, l’ansia è una paura indeterminata e non somatizzata.
L’angoscia, scrive Musatti, “sarebbe, come Freud si è espresso, la moneta unica in cui viene convertita la merce più svariata, cioè l’unico stato emotivo in cui si traduce, facendosi cosciente, ogni altro stato emotivo rimosso” (3).
Per Freud, l’angoscia sarebbe dunque l’inverso (psichico) di ciò che la “psora” è per Hahnemann. “Questa psora – scrive il fondatore dell’omeopatia – è la vera causa fondamentale delle malattie, la fonte di quasi tutte le numerose e forse innumerevoli affezioni patologiche – sifilide e sicosi escluse – che, sotto nomi svariati, compaiono nei trattati di patologia come malattie singole, distinte, indipendenti le une dalle altre” (4).
Come si vede, l’angoscia sarebbe la “moneta unica” in cui si converte (quale effetto) “ogni altro stato emotivo rimosso”, mentre la psora sarebbe la “moneta unica” che si converte (quale causa) “in quasi tutte le numerose e forse innumerevoli affezioni patologiche”.
Proviamo a osservare il fenomeno alla luce della scienza dello spirito, considerando, anzitutto, ch’è impossibile parlare dell’ansia e dell’angoscia senza parlare del tempo.
Scrive Hegel: “Tutto, si dice, nasce e muore nel tempo […] Ma non è già nel tempo che tutto nasce e muore: il tempo stesso è questo divenire, nascere e morire […] Le dimensioni del tempo, il presente, il futuro e il passato, sono il divenire come tale dell’esteriorità…” (5).
Sul piano psichico, il senso di colpa e il pentimento “dimostrano” la realtà del tempo quale passato, mentre l’ansia e l’angoscia “dimostrano” la realtà del tempo quale futuro: di un futuro che può essere sperimentato (nel presente), sia in modo attivo e positivo quale speranza, sia in modo passivo e negativo quale timore (ansia o angoscia).
(Come messo in luce da Freud, uno dei modi in cui ci si può difendere da tale timore è quello di negare la realtà del futuro. Ne costituisce un esempio quest’affermazione di Massimo Fini: “Il futuro è solo una rappresentazione della mente: è un tempo inesistente” [6].)
L’ego, in quanto coscienza spaziale (corporea) dell’Io, non può avere un rapporto attivo e positivo col tempo. Basterebbero a dimostrarlo i cosiddetti “passatempo” o tutti quegli svaghi, trastulli o diversivi che servono, come si usa dire, a “ingannare” o “ammazzare” il tempo.
(“La differenza fra la visione del mondo fra nascita e morte e del mondo fra morte e nuova nascita” è che “qui vediamo l’essere, mentre là vediamo il divenire”, e che “non vi è nulla cui si possa dare in realtà il nome di beatitudine quanto il rimirare il processo creativo, il processo del divenire” [7].)
Fatto sta che si può avere un rapporto attivo e positivo col divenire solo divenendo: solo entrando in vivo rapporto, cioè, con l’impulso del Cristo e solo trasformandosi da ego in Io (“Sia santificato il tuo nome”).
Ma c’è di più. Tutto ciò che sarebbe possibile, afferma Steiner, “ma che non si realizza sul piano fisico, vive come forza, come effetti, dietro il nostro mondo fisico, in quello spirituale; sono forze là esistenti che per così dire compenetrano il mondo spirituale. Si avventano su di noi non soltanto le forze che in realtà qui ci determinano, ma anche le forze, incommensurabilmente numerose, che esistono soltanto come possibilità; solo raramente qualcosa di tali possibilità penetra nella nostra coscienza fisica (…) Chi rende mobile la sua vita di rappresentazione mediante le meditazioni o in altro modo, costui, anche se non in pensieri nettamente espressi, ma in base soltanto al sentimento, avrà nella vita di veglia momenti nei quali sente di vivere immerso in un mondo di possibilità (…) Proprio perché l’antroposofia insegna che qui nella vita tra nascita e morte vi è il karma, essa ci mostra che, in qualsiasi posto siamo, noi ci troviamo dinanzi ad un numero infinito di possibilità che potrebbero realizzarsi. Una viene scelta secondo la legge del karma [che invera anche la nostra volontà prenatalenda]; le altre rimangono sullo sfondo e ci circondano come una reale aura cosmica” (8).
Un ego che non cresca, che non renda cioè “mobile la sua vita di rappresentazione” (che non sviluppi la coscienza immaginativa) e continui a ignorare, sia l’esistenza del karma, sia quella di tale “aura cosmica” (che gli informatici chiamerebbero forse, a sproposito, “cloud” o “nuvola” di possibilità), sperimenterà i momenti “nei quali sente [suo malgrado] di vivere immerso in un mondo di possibilità” (tra le quali, non dimentichiamolo, c’è anche quella della morte) come momenti di ansia o di angoscia (se non addirittura di panico).
La forza delle possibilità si “avventa” sull’ego allo stesso modo in cui si avventa sull’ego la forza del futuro: ossia del corpo astrale (“Ducunt volentem fata, nolentem trahunt). Spiega infatti Steiner che il corpo astrale muove incontro al presente (all’Io) dal futuro, mentre il corpo eterico muove incontro al presente dal passato (9).
Ove pertanto si consideri che il corpo astrale domina nel temperamento sanguigno (così come il corpo eterico domina in quello flemmatico, il corpo fisico in quello melanconico e l’ego in quello collerico) è possibile affermare che le persone soggette al cosiddetto “disturbo d’ansia generalizzato” sono soprattutto quelle in cui è prevalente o dominante il temperamento sanguigno.
A queste persone si può consigliare, tra le altre cose (oltre alla pratica, ad esempio, della concentrazione), di contrastare l’invadenza della forza astrale (dell’“aura delle possibilità”) rafforzando la coscienza del presente legata all’ego e al corpo fisico, ossia all’hic et nunc della percezione sensibile (in specie tattile), accompagnandola (in modo ovviamente sentito) con il pensiero: “Sia fatta la volontà di Dio o dell’Io” (recita il Pater Noster [formulato da Steiner]: “La Tua volontà venga da noi attuata quale Tu l’hai posta nella nostra più intima essenza”, cioè nell’Io).
(“Si vive nel presente – afferma Steiner – quando si gusta – non in una maniera animale, ma in una maniera umana – il mondo intorno a sé” [10].)
Lo confermano, in qualche modo, le seguenti affermazioni di Karl König: “Il senso del tatto ci conferma la realtà fisica di un oggetto o di una creatura. Analogamente ci assicura della presenza divina. Nessuno è consapevole di quest’esperienza, ma essa si compie nel profondo del nostro inconscio. Costituisce uno dei fondamenti della nostra esistenza. Sappiamo dell’esistenza di Dio perché ne sperimentiamo inconsciamente la presenza col senso del tatto. Avere paura vuol dire perdere temporaneamente quest’esperienza di fondo. Perdita che è connessa a un distacco dell’anima dallo strumento fisico del senso del tatto” (11).
Dello stesso senso, così dice invece Albert Soesman: il senso del tatto ci dà la possibilità di “sperimentare un limite. Ad un tratto ci accorgiamo che: limite urta contro limite […] con il senso del tatto quindi non approdate mai veramente nel mondo: detto schiettamente, usate il mondo soltanto per divenire coscienti di voi stessi, e precisamente in un modo corporeo […] E’ assai singolare: essere coscienti significa al contempo essere esclusi, stare da soli” (12).
Queste affermazioni sembrerebbero a prima vista contraddirsi. Ma non è così. Che cosa significa, infatti, usare il mondo “per divenire coscienti” di se stessi, “e precisamente in un modo corporeo”? Significa usare il mondo o il non-ego per divenire coscienti dell’ego (autocoscienti), cioè a dire dell’Io “in modo – come abbiamo appunto detto – corporeo” (spaziale).
Si deve ricordare, ricorrendo (come abbiamo fatto altrove) (13) alla nota formula hegeliana, che l’ego è “già e non ancora” l’Io (il Sé spirituale): ovvero, che è già l’Io come “forza” e non ancora l’Io come “forma” (extracorporea o spirituale).
Insomma, l’ego sa, in quanto corpo, di toccare consapevolmente i corpi (le “cose”), mentre l’Io sa, in quanto essere o spirito, di toccare inconsapevolmente l’essere o lo spirito (Dio).

Note:

01) R.Steiner: Il mondo dei sensi e il mondo dello spirito – Antroposofica, Milano 1970, p. 7;
02) A.S.Reber: Dizionario di psicologia – Lucarini, Roma 1990;
03) C.L.Musatti: Trattato di psicoanalisi – Boringhieri, Torino 1962, vol. II, p. 316;
04) S.F.C.Hahnemann: Omeopatia. Organon dell’arte del guarire – EDIUM, Milano 1975, p. 79;
05) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p. 54;
06) M.Fini: Il denaro “sterco del demonio” – Marsilio, Venezia 1998, p. 21;
07) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita – Psiche, Torino 1997, p. 148;
08) R.Steiner: ibid., pp. 59 e 61;
09) R.Steiner: Antroposofia-Psicosofia-Pneumatosofia – Antroposofica, Milano 1991, figure alle pp. 178, 179 e 186;
10) R.Steiner: Arte dell’educazione (Antropologia) – Antroposofica, Milano 1993, p. 139;
11) K. König: L’anima umana – Natura e Cultura, Alassio (SV) 1996, p. 39;
12) A.Soesman: I dodici sensi. Porte dell’anima – Natura e Cultura, Alassio (SV) 2012, pp. 21, 23 e 25;
13) cfr. Noterella 17 gennaio 2016.

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Di Lucio Russo
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