Il cervello, la mente e l’anima (2)

I

Scrive Boncinelli: “Che cosa significhi mantenersi vivi non è ancora del tutto chiaro. Manca infatti a tutt’oggi una definizione rigorosa di vita e di vivente, ma è abbastanza ovvio che dovrà includere almeno la nozione di una massa di materia organica fisicamente separata dal resto del mondo, dotata della capacità di metabolizzare materia ed energia nonché quella di instaurare e sostenere una propria organizzazione interna. Sono queste in effetti le proprietà essenziali della cellula, l’unità fondamentale di tutti gli esseri viventi. L’organizzazione delle proprie strutture e la coordinazione delle corrispondenti funzioni sono la caratteristica fondamentale della cellula e quindi degli esseri viventi in generale, anche i più elementari. Se a ciò si aggiunge la facoltà di riprodursi e di evolvere in continuazione, si ha un quadro abbastanza esauriente di che cosa si debba intendere per essere vivente” (13).
Siamo daccapo. Benché si ammetta che non è “ancora del tutto chiaro” che cosa significhi mantenersi vivi, si afferma che, considerando la cellula, “si ha un quadro abbastanza esauriente di che cosa si debba intendere per essere vivente”. Ma è considerando la cellula che si può comprendere la vita, o è considerando la vita che si può comprendere la cellula? Insomma, c’è la vita perché c’è la cellula, o c’è la cellula perché c’è la vita?
Abbiamo detto dell’attività (degli esseri viventi). Veniamo adesso alla reattività. Tutte le cellule, scrive Boncinelli, hanno, “in grado maggiore o minore, la proprietà di rispondere a eventi esterni e tale risposta si fonda innanzi tutto sulla capacità di avvertire cosa succede nel mondo circostante. Possiamo chiamare sensibilità (o anche irritabilità) questa capacità ed è ovvio che non ci può essere reattività senza sensibilità. Questa risiede materialmente in apposite microstrutture presenti sulla membrana, detta membrana cellulare o membrana plasmatica, che separa la cellula dal mondo circostante e che costituisce l’interfaccia fra il suo ambiente interno e l’esterno. Una cellula è in grado di rispondere alle sollecitazioni del mondo esterno perché possiede tre caratteristiche essenziali: la sensibilità, la capacità di far corrispondere alla ricezione di segnali l’approntamento di certe risposte e infine la capacità di mettere in atto queste stesse risposte” (14).
Come sarebbe la cellula a possedere la vita (e non perciò quell’insieme od organismo del quale è parte), così sarebbe sempre la cellula a possedere, non solo la sensibilità (o l’irritabilità), ma anche la capacità di pensare (“di far corrispondere alla ricezione di certi segnali l’approntamento di certe risposte”) e di volere (“di mettere in atto queste stesse risposte”). Non è dunque nella pianta che risiederebbe la vita, non è nell’animale che risiederebbe la sensibilità, non è nell’uomo che risiederebbero il pensare, il sentire e il volere, bensì il tutto risiederebbe nella membrana di ogni cellula. Si dice inoltre che la sensibilità “risiede materialmente” nella membrana cellulare o plasmatica (non che, da questa, viene soltanto veicolata o trasmessa). Ma se la vita, la sensibilità, il sentire, il pensare e il volere risiedono “materialmente” nella membrana cellulare o plasmatica, che cosa si aspetta a mostrarceli?
Sarà bene ricordare, in proposito, quanto dice Goethe del Systeme de la nature di Holbach “Ci doveva essere ab aeterno una materia, ed essere ab aeterno mossa, e con questo movimento a destra e sinistra e in tutte le direzioni ecco che doveva senz’altro produrre gli infiniti fenomeni dell’esistenza. Di tutto questo ci saremmo perfino accontentati, se l’autore avesse realmente costruito davanti ai nostri occhi il mondo della materia in movimento” (15).
In tutta modestia, saremmo pronti anche noi ad “accontentarci” se quanti affermano che la sensibilità “risiede materialmente” nella membrana cellulare fossero in grado di farcela vedere con gli occhi o toccare con mano. Il che è impossibile perché la sensibilità, così come la vita, il pensare e il volere, non sono realtà di natura sensibile. Boncinelli, dunque, prima ci sventola sotto il naso l’“attività” (la vita) e la “reattività” (la sensibilità) e poi, alla stessa stregua di un prestidigitatore, le fa sparire nella cellula (nella materia).

Occupiamoci ora di ciò che trascende, nell’anima, il piano della sensazione (di quanto quindi appartiene, secondo la scienza dello spirito, all’“anima razionale-affettiva” e all’“anima cosciente”). Scrive Boncinelli: “Le entità fondamentali che caratterizzano e regolano i fenomeni dell’universo fisico, indipendentemente dal fatto che si tratti di oggetti animati o di oggetti inanimati, sono tre: la materia, l’energia e l’informazione. Un organismo vivente è un sistema aperto, sede di un flusso ininterrotto di tutte e tre queste entità, flusso sul quale esso deve esercitare un continuo accurato controllo” (16).
Ma un “organismo vivente”, per poter esercitare un “continuo e accurato controllo” su “tutte e tre queste entità”, non dovrebbe essere loro sovraordinato? Riprenderemo tra breve l’argomento. Per ora, notiamo il fatto che, alle due consuete realtà della materia e dell’energia, viene aggiunta quella dell’informazione. Che cos’è un’informazione? Un pensiero “morto” (una “rappresentazione” o, direbbe Giovanni Gentile, un “pensato”): tanto morto da poter essere trattato come una cosa, e quindi manipolato, quantificato e perfino “capitalizzato” (17).
Osserva Steiner: “Sottolineo spesso che l’aver legato il pensiero e il sentimento all’organismo fisico umano, come li immagina il materialismo non è del tutto un’illusione. Sottolineo spesso che il materialismo non è solo una concezione errata del mondo, ma che nel vero e proprio significato della parola esso è una visione del tempo, o per meglio dire un fenomeno del nostro tempo. In realtà non si può soltanto dire che sia sbagliato, che il pensare e il sentire umani, e in generale la volontà animica non siano legati all’organismo fisico, e che quindi si debba porre un’altra concezione del mondo al posto di quella. Ciò non rappresenta la piena verità in questo campo; piuttosto il problema è che in effetti, a seguito di quel che è risultato nella civiltà dell’Occidente negli ultimi tre o quattro secoli, la parte spirituale-animica dell’uomo, il pensare, il sentire e il volere oggi sono realmente in una stretta dipendenza dall’organismo fisico; in un certo senso oggi si dà una giusta concezione affermando che esiste tale dipendenza. Il compito del nostro tempo non è di superare una concezione teorica, ma il fatto che l’anima umana deve superare la dipendenza dal corpo. Oggi il compito non è confutare il materialismo, ma svolgere il lavoro, il lavoro animico-spirituale che liberi di nuovo l’anima umana dai legami della materia” (18).
Il materialismo non è dunque un’idea o una teoria, bensì una condizione pratica (esistenziale). Al suo interno, si devono però distinguere almeno tre orientamenti: quello meccanicistico (basato sulla materia e caratteristico dei secoli XVII, XVIII e XIX); quello dialettico (basato sull’energia e caratteristico del secolo XX); quello cibernetico (basato sull’informazione e caratteristico della fine del secolo XX e degli inizi del XXI, detto “post-moderno”). Ebbene, come il primo riflette la sopravvenuta dipendenza dell’anima dal corpo, così il secondo e il terzo riflettono il progressivo intensificarsi di tale dipendenza, e quindi un divenire diametralmente opposto a quello indicato da Steiner. L’attuale materialismo cibernetico sta infatti realizzando, sul piano teorico e pratico, una neurologizzazione del pensiero: ovvero, una sua quantificazione o digitalizzazione. Incatenato alla logica binaria e stretto tra l’hardware (arimanico) e il software (luciferico), il pensiero viene stritolato, triturato e fatto a bit (a pezzi). Che cos’è infatti un bit se non un elemento finito: ossia un tratto, un segmento, una scheggia o un frammento di pensiero? “Il pensiero che produce solo determinazioni finite e che si muove in esse – dice Hegel – si chiama intelletto (nel senso più proprio della parola)” (19). E’ proprio dell’intelletto o della mente, ad esempio, considerare la retta una somma di segmenti, e non il segmento un frammento di retta. La gestione di questo tipo o livello di pensiero l’uomo la sta sempre più affidando oggi al computer. Una cosa, tuttavia, è limitarsi ad affidare al computer la gestione del pensiero intellettuale (algoritmico o combinatorio), altra affidargli, più o meno scientemente, quella del mondo e di noi stessi.

Riprenderemo anche questo argomento. Per ora, seguiamo invece Boncinelli che torna a parlare di energia. “Il concetto di energia – scrive – non è così immediato come quello di materia e ha tardato a farsi strada nella mente dell’uomo. Bisogna infatti attendere la fine del Settecento perché se ne delineino i contorni e la metà del secolo scorso per una sua piena consacrazione. Si è arrivati così a concepire l’energia come una quantità fisica che si può misurare e che si identifica con la capacità di compiere un lavoro materiale” (20).
L’energia sarebbe dunque una “quantità fisica”. D’accordo, ma una quantità di che cosa? Tre mele, ad esempio, sono una quantità di mele, così come quattro pere sono una quantità di pere. Ma di che cosa è quantità l’energia? Stando alla “teoria dei quanti”, si dovrebbe rispondere che è una quantità di “quanti”: ovvero, una quantità di “quantità”. Ma se la prima di queste due quantità è quella, come dice Boncinelli, che “si può misurare”, che dire della seconda? Che dire, cioè, di una quantità che non è misura, ma oggetto di misura? La sola cosa che se ne potrebbe dire è che si tratta di una qualità: non, cioè, di una realtà sensibile (come si vorrebbe far credere), bensì di una realtà extrasensibile. Ma qual è – ci potremmo allora domandare – quella qualità extrasensibile che nasconde la propria realtà qualitativa per presentarsi come una quantità (o, direbbe Hegel, come una “qualità priva di qualità”)? È presto detto: la qualità arimanica.
E’ lecito perciò supporre che Max Planck (1858-1947), ove fosse stato criticamente più agguerrito, avrebbe varato una “teoria dei quali”, e non una “teoria dei quanti”. Tale teoria (non quella dei qualia “dissolventi” e “danzanti” di David J.Chalmers) (21) non sarebbe stata, però, che una scienza dello spirito o, per meglio dire, “degli spiriti”: proprio quella, cioè, elaborata da Steiner all’incirca nello stesso periodo.

Scrive Boncinelli: “La scienza moderna ha effettivamente individuato i costituenti primi della materia che ha chiamato atomi. Ogni entità materiale è costituita di molecole che altro non sono che una combinazione di un certo numero di atomi appartenenti a una novantina di tipi diversi, dal più semplice, l’idrogeno, al più complesso, l’uranio. Per lungo tempo si è ritenuto che gli atomi, così definiti, fossero effettivamente gli elementi primi di cui sono fatte le cose materiali; poi sono state scoperte le particelle subatomiche stabili, cioè i nucleoni (protone e neutrone) e gli elettroni che costituiscono l’atomo, e infine particelle sempre più minuscole ed elementari, tra cui i famosi quark. Oggi si ritiene che i quark siano, insieme ad altre particelle chiamate leptoni, i costituenti fondamentali della materia. Questi si uniscono fra di loro per comporre le particelle subatomiche stabili, le quali compongono gli atomi, i quali si associano in molecole e queste compongono poi tutta la materia con cui veniamo quotidianamente in contatto” (22).
Che cosa direbbe Boncinelli se qualcuno, applicando la stessa logica, dicesse: “Oggi si ritiene che le consonanti (i quark) siano, insieme ad altre particelle chiamate vocali (i leptoni ), i costituenti fondamentali del discorso. Queste si uniscono fra loro per comporre le parole, le quali compongono le proposizioni, le quali si associano in periodi e questi compongono tutti i discorsi che facciamo quotidianamente”? E’ vero, d’altro canto, che la qualità della logica oggi vigente porterebbe davvero a credere che siano le consonanti, le vocali, le parole, le proposizioni e i periodi a decidere di unirsi tra loro per combinare i discorsi.

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Di Lucio Russo
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