Freud, Jung, Steiner (6)

F

Acting out e acting into

Prima di concludere, vogliamo accennare a un importante risvolto “pratico” di quanto finora detto.
I complessi (“gruppi di rappresentazioni a tonalità affettiva”) conducono nell’anima una loro vita (“le rappresentazioni sono come dei parassiti, come degli esseri viventi interiori dell’essere animico, che esplicano un’esistenza propria nella vita dell’anima”). Si manifestano come delle immagini cariche di brama (degli impulsi) che premono perché l’uomo dia loro, come si usa dire, “corpo”.
Si pensi a un artista: creando, non fa che dare appunto corpo alle immagini che vivono nella sua anima. Il suo agire sensibile-sovrasensibile si colloca tra altri due: tra quello superiore, sovrasensibile, di chi dà liberamente a tali immagini un contenuto spirituale o morale, e quello inferiore, sensibile, di chi dà coattivamente alle stesse un contenuto materiale o comportamentale.
Nella vita ordinaria, e a maggior ragione in quella nevrotica, le immagini che vivono nell’anima cercano un appagamento sensibile, inducendo il soggetto al cosiddetto “acting-out” (a compiere un atto irrazionale o impulsivo).
Nel caso del “complesso di Edipo”, ad esempio, il “Super-io” contrasta (“censura”) l’immagine incestuosa proprio al fine di evitare l’acting-out. Il Super-io è però un’istanza inconscia tanto quanto l’immagine alla quale si contrappone. Per questo Freud, una volta superata la rimozione dell’immagine dovuta al Super-io, affida al conscio (all’ego) il compito di reprimerla.
Concependo unicamente la possibilità dell’acting-out (quale conseguenza del suo materialismo), la psicoterapia freudiana non può far altro che sostituire la rimozione incosciente con la repressione cosciente (guarire, diceva Freud, significa trasformare una sofferenza acuta in quella insoddisfazione cronica che appare propria del genere umano).
Viene persa, in questo modo, un’altra possibilità: quella di ricondurre le immagini alla loro essenza spirituale o morale, facendole uscire dall’anima (dal mondo “interno”) non nella direzione del mondo materiale (“esterno”), bensì in quella del mondo spirituale-morale (“esterno dell’interno”), in virtù di un processo che potrebbe essere detto, in quanto opposto a quello dell’acting-out, dell’“acting-into”.
(Per realizzare un obiettivo del genere devono essere utilizzate delle adeguate “contro-immagini”. Dice Steiner: soltanto delle “rappresentazioni simboliche o immaginative, permeate di passione” possono “debellare la forza patogena di altre rappresentazioni. Grazie alla forza e alla persuasione del terapeuta vanno fornite al paziente delle opportune contro-rappresentazioni. Col semplice ragionamento non c’è alcuna speranza di riuscire a dimostrare ai pazienti il carattere illogico del loro stato. Si deve invece far leva su viventi rappresentazioni […] In particolare, si rende necessario uno studio esauriente per avere sempre pronte le opportune contro-rappresentazioni. Non è neanche importante che queste siano “normali”: è bene anzi che queste oscillino o tendano verso l’opposta direzione” [69].)
E’ risaputo che le immagini prodotte dai pazienti nei sogni o nelle fantasie per lo più appaiono, alla coscienza comune, sconcertanti, se non “peccaminose” o “perverse”. Ciò è dovuto al fatto che la coscienza comune le riferisce al mondo sensibile o alla vita quotidiana.
L’immagine-impulso del “parricidio”, ad esempio, dal punto di vista rappresentativo o sensibile appare immorale, mentre dal punto di vista simbolico o immaginativo si rivela morale, poiché sollecita il soggetto a superare il “conscio collettivo” per realizzare la propria individualità. Allo stesso modo, l’immagine-impulso di “buttarsi dalla finestra”, tradotta (materialmente) in un acting-out, s’incarna in un atto suicida, mentre, tradotta (spiritualmente) in un acting-into, si risolve in un atto morale, giacché “butta giù” l’ego, rafforzando l’umiltà e indebolendo la superbia, il narcisismo o la vanità.
Fatto si è che le immagini, come tali, non sono morali né immorali; che si traducano in atti positivi o negativi, creativi o distruttivi, dipende dal tipo o dal livello di coscienza che le interpreta e realizza.
Ciò vale, in primo luogo, per l’interpretazione dei sogni.
Va subito detto, al riguardo, che il tema, il motivo o il “mitologema” (Bernhard) del sogno costituisce un fatto “immaginativo” ancora più importante e significativo di quello dei simboli per mezzo dei quali si svolge.
Afferma Steiner: “Si capisce che cosa in sostanza vi sia alla base del sogno esercitandosi a prescindere del tutto dal suo contenuto e a seguire invece quella che chiamerei la drammaticità del sogno stesso: se cioè il sogno inizia ponendo una base con una certa immagine onirica per poi creare una tensione e uno svolgimento, o se vi è una diversa successione, o ancora se prima è presente una tensione e poi una soluzione” (70); e aggiunge: “Si conosce solo con la coscienza immaginativa che cosa si svolge dietro la drammaticità del sogno” (71); esso può essere giustamente interpretato “soltanto quando non lo si riferisce al mondo naturalistico fisico, ma si riferiscono i suoi rapporti al mondo “spirituale” e soprattutto, nel maggior numero dei casi, al mondo “morale”. Il sogno non vuol dire ciò che esprime quando s’interpreta il suo contenuto “fisicamente”. Esso intende dire ciò a cui si arriva, se s’interpreta il suo contenuto “moralmente”, “spiritualmente”” (72). Il sogno, dice inoltre, ove lo si intenda correttamente, “già conduce la coscienza ordinaria nel mondo spirituale” (73); esso rappresenta “ciò che gli Dei dicono agli uomini” e, in quanto “manifestazione degli Dei” (74) o giudizio su “ciò che l’uomo è veramente”, può “servire assolutamente d’indirizzo alla vita umana” (75), costituendo un’esperienza dalla quale “l’uomo moderno può imparare moltissimo” (76).
Avverte però, in altra sede: quanto “appartiene alla sfera della vita di sogno non deve essere considerato come un’esperienza che possa veramente condurre alla conoscenza dei mondi soprasensibili, nel senso della scienza dello spirito” (77).
Che l’esigenza di una trasformazione morale (riguardante anzitutto il terapeuta) non venga generalmente avvertita dipende dal fatto che la mentalità meccanicistica dalla quale nacque l’iniziale dottrina del fatto traumatico è tuttora viva e operante. Non ci si è mai rassegnati alla sua sconfitta, e il primo a non farlo è stato proprio Freud.
Scrive David Meghnagi: “La rinuncia alla teoria della seduzione era stata la condizione per la nascita della psicoanalisi: “chiudere gli occhi sulla preistoria” del proprio padre e della propria famiglia, era stata per Freud la condizione per uno spostamento di attenzione sul mondo delle fantasie interne del bambino. La teoria della seduzione non era stata in realtà mai del tutto abbandonata (…) Era stata semplicemente ridimensionata a favore di un modello più esaustivo dell’“accadere psichico”, che teneva più conto dei fantasmi originari nella costruzione dell’esperienza. Del resto la stessa teoria sarebbe ricomparsa in più di un’occasione, ad esempio nell’analisi del caso clinico di L’uomo dei lupi. Messa in sordina dalle successive scoperte, la teoria della seduzione faceva la sua ricomparsa con una implicazione nuova che andava oltre l’uso che se n’era fatto in Totem e tabù. Rifiutata grazie ai progressi dell’“autoanalisi” e per l’assurdo a cui conduceva, la più antica delle teorie psicoanalitiche si riprendeva una propria rivincita nel saggio che meno ne avrebbe avuto bisogno” (78) (in Mosè e il monoteismo del 1934, precedente di cinque anni la morte di Freud).
Nel modo in cui gli odierni freudiani parlano della cosiddetta “scena primaria” (quella che appare al bambino allorché sorprende i genitori a “fare l’amore”), non è difficile ad esempio avvertire tanto la eco quanto la nostalgia dell’antica dottrina.
Fatto sta che la scomparsa della dottrina del fatto traumatico ha lasciato nel cuore dei meccanicisti un vuoto incolmabile; è palese infatti il rimpianto per una dottrina che aveva dato, al suo apparire, la rassicurante sensazione di poter ricondurre la nevrosi (il “male oscuro” di Giuseppe Berto) nell’alveo di un lineare e ordinario rapporto di causa-effetto (il fatto come causa esterna, la nevrosi come effetto interno).
Quanto sia ancora diffusa (nel “conscio collettivo”) una tale forma mentis lo dimostra anche il fatto che la maggior parte dei film di argomento psicoanalitico (ad esempio, Io ti salverò di Alfred Hitchcock o Un uomo a metà di Vittorio De Seta) presentano la figura del terapeuta come quella di un detective che va alla ricerca, nel passato del paziente, della causa della malattia: cioè a dire, dell’evento traumatico o del “fattaccio” che ne sarebbe responsabile (Janet, già nel 1923, aveva scritto: “La psicoanalisi non è una normale analisi psicologica che cerca di scoprire dei fenomeni, qualunque essi siano; è una indagine poliziesca che deve scoprire un colpevole, un avvenimento passato responsabile di disturbi attuali, e riconosce e insegue questo colpevole, che cerca di camuffarsi in modi diversi”) (79).
Così facendo si finisce, volenti o nolenti, col togliere al soggetto (all’Io) la responsabilità (morale) della propria malattia e della propria guarigione, alimentando di fatto l’idea che la terapia consista nella scoperta dell’agente patogeno (esterno) e che la guarigione ne consegua in modo quasi automatico (in virtù della “catarsi” o della “abreazione”).
Ci sembra pertanto opportuno chiudere il presente lavoro con queste parole di Jung: “Il metodo terapeutico della psicologia complessa consiste da una parte in una presa di coscienza il più possibile completa dei contenuti inconsci costellati e dall’altra nella loro sintesi con la coscienza per mezzo dell’atto del riconoscimento. Ora, poiché l’uomo civilizzato possiede una grandissima dissociabilità e ne fa uso costante per sottrarsi a tutti i rischi possibili, non è affatto scontato che il riconoscimento sia seguito da un’azione corrispondente. Al contrario, bisogna fare i conti con la spiccata inefficacia del riconoscimento, e perciò insistere perché esso sia usato in modo coerente. Di per sé, il riconoscimento abitualmente non si comporta così né di per sé implica forza morale. In simili casi diventa chiaro come la cura delle nevrosi sia un problema morale” (80).

P.S.

Rudolf Steiner (28 agosto1906): “Oggidì è diffusa una malattia che un secolo fa era quasi sconosciuta, e non già perché non la si riconoscesse, ma davvero non era diffusa; si tratta della nervosità (nervosismo). Questa peculiare forma morbosa è conseguenza della concezione materialistica del diciannovesimo secolo; essa non avrebbe mai potuto prodursi, se non fosse stata preceduta da quest’abito materialistico di pensiero. L’occultista sa che, se il materialismo si protraesse ancora per decenni, esso eserciterebbe un’azione devastatrice sulla salute dei popoli. Se nulla venisse opposto a quest’abito materialistico del pensiero, in avvenire gli uomini in genere non soltanto sarebbero nervosi, ma i fanciulli già nascerebbero tremuli, e il mondo oltre che agire sulla loro sensibilità desterebbe in essi una continua sofferenza. Soprattutto si diffonderebbero con rapidità prodigiosa malattie mentali e nei futuri decenni si manifesterebbe la pazzia epidemica. E’ proprio questo il pericolo cui l’umanità andrebbe incontro: epidemie di malattie mentali. Questa prospettiva che si presentava per il futuro del mondo fu la vera ragione per cui le guide occulte, i maestri della saggezza, si videro costrette a far fluire nell’umanità parte della sapienza spirituale. Soltanto una siffatta concezione spirituale del mondo potrà dare alle future generazioni una buona disposizione di salute. La scienza dello spirito scaturisce dunque da intime e profonde necessità del genere umano” (81).

Note:

01) E.Jones: Vita e opere di Freud – Il Saggiatore, Milano 1964, vol. I, p. 258;
02) C.L.Musatti: Trattato di psicoanalisi – Boringhieri, Torino 1962, p. 27;
03) P.Janet: La medicina psicologica – Il Pensiero Scientifico, Roma 1964, p. 9;
04) ibid., pp. 5-6;
05) G.P.Lombardo: I fondamenti psicologici dell’intervento terapeutico nell’opera di Janet in P.Janet: op. cit., pp. XVIII-XIX;
06) ibid., p. X;
07) P.Janet: op. cit., p.18;
08) ibid., p. 8;
09) J.Breuer: I fenomeni isterici sono tutti ideogeni? in S.Freud: Opere – Boringhieri, Torino 1967, vol. I, p. 334;
10) cit. in L.Mecacci: Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi – Laterza, Roma-Bari 2002, p. 66;
11) E.Jones: op. cit., p. 280;
12) C.L.Musatti: op. cit., p. 32;
13) ibid., p. 33;
14) L.Mecacci: op. cit. p. 118;
15) E.Jones: op. cit., p. 298;
16) C.L.Musatti: op. cit., p. 69;
17) E.Jones: op. cit., pp. 320-321;
18) C.L.Musatti: op. cit., p.70;
19) ibid., p. 70;
20) S.Freud: Tre saggi sulla teoria della sessualità – Mondadori, Milano 1960, pp.125-126;
21) ibid., p. 128;
22) O.Fenichel: Trattato di psicoanalisi – Astrolabio, Roma 1951, p. 21;
23) C.G.Jung: La teoria della psicoanalisi – Newton Compton, Roma 1970, p. 69;
24) C.G.Jung: Ricordi, sogni, riflessioni – Il Saggiatore, Milano 1965, pp. 177-178;
25) G.Wehr: Jung – La vita, le opere, il pensiero – Rizzoli, Milano 1987, p. 97;
26) cfr. C.G.Jung: Realtà dell’anima – Boringhieri, Torino 1963;
27) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p. 6;
28) R.Steiner: Antroposofia, psicosofia, pneumatosofia – Religio, Roma 1939, p. 186;
29) ibid., p. 187;
30) cit. in J.Jacobi: Complesso, archetipo, simbolo – Boringhieri, Torino 1971, p. 92;
31) R.Steiner: The occult mysteries of antiquity – Steinerbooks, Blauvelt, New York 1961, p. 106; il passo da noi tradotto è il seguente: “What then are myths? They are a creation of the spirit, of the unconsciously creative soul. The soul is governed by entirely definite laws. It must work in a definite direction in order to create beyond itself. On the mythological level it does this in pictures, but these pictures are built up according to the laws of the soul”;
32) cfr. R.Steiner: L’esperienza di colore: i quattro colori-immagine in L’essenza dei colori – Antroposofica, Milano 1977;
33) cit. in A.Samuels, B.Shorter, F.Plaut: Dizionario di psicologia analitica – Cortina, Milano 1987, p. 159;
34) E.Zolla: La psicanalisi – Garzanti, Milano 1960, p. 6;
35) C.G.Jung: Anima e terra in Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna – Einaudi, Torino 1969, p. 126;
36) R.Steiner: Teosofia – Antroposofica, Milano 1957, p. 71;
37) K.König: The human soul – Anthroposophic Press, New York 1973, p. 7; il passo da noi tradotto è il seguente: “In the same way that the mind develops out of the soul’s existence during the childhood and youth, another part of our being retreats into the realm of the unconscious”;
38) ibid., p.6; il passo da noi tradotto è il seguente: “The brighter the lamp of the mind became, the more the colours of the soul faded away”;
39) R.Steiner: Iniziazione e misteri – Rocco, Napoli 1953, p. 74;
40) C.A.Meier: Archetipi e inconscio collettivo in Il Minotauro: problemi e ricerche di psicologia del profondo – Rivista a cura del Gruppo Autonomo di Psicologia Analitica, Roma 1975, anno II, n°1, p. 34;
41) R.Steiner: Antroposofia, psicosofia, pneumatosofia, pp. 92-93;
42) cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
43) J.Jacobi: op.cit., pp. 40-41;
44) J.Hillman: Ananke e Atena in La vana fuga dagli Dei – Adelphi, Milano 1991, pp. 165-166;
45) P.Florenskij: Ai miei figli – Mondadori, Milano 2003, p. 201;
46) R.Noll: Jung: il profeta ariano – Mondadori, Milano 1999, p. 60;
47) E.Boncinelli: Il cervello, la mente e l’anima – Mondadori, Milano 2000, p. 201;
48) R.Steiner: L’Antroposofia e le scienze – Antroposofica, Milano 1995, pp. 130-131;
49) ibid., p. 131;
50) ibid., pp. 75-76;
51) ibid., p. 132;
52) A.Samuels, B.Shorter, F.Plaut: op.cit., p. 19;
53) C.G.Jung: Istinto e inconscio in Inconscio, occultismo e magia – Newton Compton, Roma 1971, p. 227;
54) C.G.Jung: introduzione a D.T.Suzuki: Introduzione al Buddismo Zen – Ubaldini, Roma 1970, p. 21;
55) J.Jacobi: op. cit., p. 39;
56) E.Bernhard: Mitobiografia – Adelphi, Milano 1969, p. XXIII;
57) R.Steiner: Il mistero del doppio – Antroposofica, Milano 1996, pp. 68 e 69;
58) cfr. R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977 e L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971;
59) C.G.Jung: Freud e Jung: contrasti in Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, p. 56;
60) R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, p. 62;
61) cfr. C.G.Jung: Tipi psicologici in Opere – Boringhieri, Torino 1969, vol. VI;
62) C.Brenner: Breve corso di psicoanalisi – Martinelli, Firenze 1967, p. 28;
63) W.Reich: La funzione dell’orgasmo – Sugar, Milano 1969, pp. 44-45;
64) M.Scaligero: Tecniche della concentrazione interiore – Mediterranee, Roma 1975, p. 9;
65) V.Frankl: La sofferenza di una vita senza senso – elle di ci, Colle Don Bosco (Asti) 1978, p. 42;
66) C.G.Jung: Tipi psicologici, p. 477;
67) C.G.Jung: L’io e l’inconscio – Boringhieri, Torino 1948, p. 155;
68) G.W.F.Hegel: op. cit., p. 108;
69) passi di una conferenza, intitolata: La malattia mentale dal punto di vista della scienza dello spirito, tenuta da R.Steiner a Berlino nel novembre del 1907 (trad. Mario Viezzoli);
70) R.Steiner: L’Antroposofia e le scienze, p. 134;
71) R.Steiner: Conoscenza iniziatica – Istituto Tipografico Editoriale, Milano 1938, vol. I, p. 186;
72) ibid., p. 191;
73) ibid., p. 188;
74) ibid., p. 189;
75) ibid., p. 191;
76) ibid., p. 182;
77) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 349;
78) D.Meghnagi: Il padre e la legge – Marsilio, Venezia 1992, pp. 61-62;
79) P.Janet: op. cit., p. 222;
80) C.G.Jung: Gli archetipi dell’inconscio collettivo in La dimensione psichica – Boringhieri, Torino 1972, pp. 160-161;
81) R.Steiner: Alle porte della scienza dello spirito – Antroposofica, Milano 2015, pp. 72-73.

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Di Lucio Russo
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