Sonno e sogno (2)

S

La psicoanalisi freudiana patisce il medesimo realismo ingenuo di Jouvet (diceva Léon Hervey de Saint-Denis [1822-1892]: “Nihil est in visionibus somniorum quod prius non fuerit in visu”) (23). I sogni, per Freud, non sono che “appagamenti” di desideri inconsci o frustrati, derivano dal solo mondo dei ricordi (della vita attuale) e non varcano l’orizzonte del cosiddetto (da Jung) “inconscio personale”. Jung invece varca tale orizzonte aggiungendo a quello personale un inconscio “collettivo” (una “psiche oggettiva”) quale presunto “serbatoio” di ricordi filogenetici.
La sua psicologia analitica si lascia dunque alle spalle il realismo ingenuo di Freud, ma finisce con l’approdare, nei termini de La filosofia della libertà, al “realismo metafisico”(una forma misticheggiante ed estetizzante di materialismo).
Ne dà un eloquente esempio (suo malgrado) Marie-Louise von Franz (stretta collaboratrice, con Aniela Jaffé e Jolande Jacobi, di Jung). Nel primo capitolo del suo Il mondo dei sogni, asserisce che i sogni “portano in sé un’intelligenza superiore, una saggezza, un’ingegnosità che ci serve da guida”, che “la matrice che crea i sogni in noi è stata definita una guida spirituale interiore” e ch’è come “se dentro di noi si annidasse un’intelligenza superiore che potremmo definire “guida interiore” o “centro interiore divino” che produce i sogni” (24); ecco però che cosa scrive nel penultimo capitolo: “I sogni sono la voce della nostra natura istintiva e animale; in ultima analisi, la voce della sostanza cosmica che c’è in noi. So che si tratta di un’ipotesi molto azzardata, ma oso proporre che l’inconscio collettivo e la materia atomica organica rappresentino due aspetti della medesima cosa. I sogni, in definitiva, sono la voce della materia cosmica. Quindi come non ci è dato comprendere il comportamento degli atomi (basti pensare al linguaggio astruso che i fisici moderni devono utilizzare per descrivere il comportamento degli elettroni), dobbiamo servirci dello stesso genere di linguaggio per descrivere gli stati più profondi del mondo onirico” (25).
Dalla cosiddetta “psicologia del profondo”, sia nella sua versione freudiana, sia in quella junghiana, la realtà del mondo spirituale (il vero “profondo”) viene dunque paradossalmente “rimossa”.
Le altre odierne teorie del sogno fanno comunque di peggio. Guido Almansi e Claude Béguin così riassumono quelle ritenute più significative: “Per Jacques Lacan il sogno è “simile a quel gioco di società in cui si deve dare da indovinare ai partecipanti un enunciato conosciuto o una sua variante solo per mezzo di una scena muta”. Per Charles Rycroft (The innocence of Dreams) il sogno è una sorta di involontaria attività poetica. Per Roger Callois (L’incertitude qui vient des rêves) i sogni sono un disordine di simulacri senza segreti. Per James Hillman (The dream and the underword) il sogno “appartiene al mondo sotterraneo e alle sue divinità”. Per Fairbairn il sogno è come uno spettacolo cinematografico, dove ogni personaggio è una versione del sognatore stesso. Per Francis Crick i sogni durante i periodi REM sono necessari per liberare il cervello da modi di comportamento superflui o parassitari (una posizione non molto diversa dall’opinione espressa da W.Robert nel 1886 e citata da Freud nell’Interpretazione dei sogni: “I sogni sono eliminazione di pensieri soffocati in germe”). Lo psicologo sperimentale ci dice che il sogno è una “simulazione percettiva multimodale”. Lo scrittore di fantascienza ci dice che il sogno è un messaggio trasmessoci da un distante pianeta extragalattico, per esempio, Trafalmadore (26), che ha voluto l’evoluzione della razza umana per motivi a noi ignoti e che ci comunica le sue istruzioni attraverso queste visioni notturne. Per Liam Hudson noi cerchiamo nei sogni di risolvere le complessità della vita da desti. Per un teologo il sogno è ispirato da Dio. Per un altro teologo il sogno è un messaggio dettato dal diavolo, signore della notte, il quale ci controlla attraverso la nostra facoltà onirica. E potremmo andare avanti su questa linea. Tutte le versioni sono ugualmente accettabili in quel regno della vanvera che è l’onirologia. Potremmo aggiungere la formulazione elaborata in un laboratorio di psicologia di una università italiana: il sogno è “un’esperienza mentale del sonno, storylike e allucinata, che presenta carattere di alienità rispetto al presente topo-cronologico del dormiente, che mostra una maggiore o minore vividezza percettiva con frequente sentimento di partecipazione personale del sognatore ed è accompagnata da possibili elementi di bizzarria e da perdita del controllo volontario sul corso del pensiero”. Questa definizione, precisa e ricchissima, nasce da una esperienza pluridecennale di analisi dei sogni in laboratorio; e a questa proveremo ad aggiungere una nostra definizione, ironica, derivata da una esperienza prolungata di quei sogni e falsi sogni e fantasie travestite da sogno che noi abbiamo esaminato nella nostra esperienza notturna e nelle nostre letture diurne: “Un sogno è ciò di cui non si sa niente nella vita desta. Non sappiamo che cosa sia, da dove venga, dove vada, quale sia la sua funzione, quale sia la sua causa, quale sia il suo scopo, quali rapporti mantenga con la veglia e con la vita del corpo e dell’anima, dei sentimenti e degli istinti, della ragione e del cuore […] Chi potrebbe dimostrare che abbiamo torto?”” (27).
Di fronte a cotanto frutto dell’“esperienza notturna” e delle “letture diurne”, tornano ancora una volta alla mente (ironia per ironia) gli ultimi versi di un sonetto di Giuseppe Gioachino Belli, intitolato Er frutto de la predica:

Inzomma, da la predica de jjeri,
Ggira che tt’ariggira, in concrusione
Venissimo a ccapì cche ssò mmisteri
” (28).

Fatto sta che quello dell’onirologia non è un problema di spazio (di “laboratori”) o di tempo (di ricerche “pluridecennali”), ma di qualità: della qualità del pensiero e della coscienza con i quali la si affronta. Anche il mondo dei suoni, nonostante l’eccellenza degli strumenti e la lunghezza delle ricerche, apparirebbe un “regno della vanvera” se lo si affrontasse con la sola vista. In quanto fenomeno immaginativo (extrasensibile), il sogno può essere positivamente affrontato solo da chi abbia sviluppato un livello di coscienza superiore a quello dell’ordinario intelletto (vincolato al sensibile).
Gli unici seri tentativi di comprendere il sogno, quelli di Freud e di Jung, sono falliti proprio per il fatto di essere stati condotti con mezzi conoscitivi inadeguati. “I medici – osserva Steiner – si trovano costretti a cercare nell’elemento animico ciò che si esprime nel fisico. Il pensiero è giusto; ma manca la scienza per dominare questa indagine, perché questa scienza dovrebbe essere la scienza dello spirito. E così questa psicoanalisi, che poggia sulla storica progressiva naturale difettosità della parte superiore del corpo astrale umano, è sorta in seguito a questi fatti presso persone che sono dilettanti nell’investigazione dell’anima e dello spirito […] Non si deve considerare la psicoanalisi come qualcosa di diabolico, ma come qualcosa che dimostra che la nostra epoca vuole ciò che appunto non può raggiungere, e perciò quello che si affaccia nella psicoanalisi non troverà il suo sbocco giusto se non attraverso la investigazione spirituale” (29).
Nel suo 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, James Hillman, noto ed eterodosso seguace di Jung, denuncia con particolare vigore il fallimento della moderna psicoterapia: “Continuo a protestare, e a protestare nei confronti della terapia. C’è qualcosa di marcio nel suo mondo, e io continuerò a dirlo anche se non sono riuscito a immaginare cosa farci […] Amo la terapia e sono arrivato ad odiarla. Quando cominciai ero il più sincero sostenitore che avesse mai calcato le vie di Zurigo, e da allora, per lo più, ho continuato ad esserlo. Mi piace ancora lavorare sugli enigmi dell’anima […] Ma la psiche non è la psicologia, non è la psicoterapia” (30).
Per porre rimedio a questo fallimento, Hillman auspica, sia “un nuovo modo di pensare” (31), sia che l’orizzonte della psicoterapia arrivi ad abbracciare, al di là della sfera della soggettività, quella dell’anima mundi (“Nel momento stesso – scrive – in cui [Keats] riconosce l’utilità che il mondo ha per l’anima, in realtà non lo considera: andiamo nel mondo per il nostro interesse, a realizzare la nostra anima. Ma che ne è dell’anima del mondo? […] Che ne è dell’anima mundi e del fare anima mundi?) (32).
In altra sede, però, così scrive: “Con la parola “archetipo” non posso che riferirmi all’archetipo fenomenico, ciò che si manifesta in immagini. L’archetipo noumenico in sé non può per definizione essere descritto, sicché su di esso non si può postulare assolutamente nulla. Anzi, qualunque cosa si dica sull’archetipo in sé è una congettura già in partenza governata da qualche immagine archetipica. Il che significa che l’immagine archetipica precede e determina l’ipotesi metafisica di archetipo noumenico. Decidiamoci dunque ad applicare al noumeno kantiano il rasoio di Occam. Sfrondando la nozione junghiana di archetipo da questo superfluo ingombro teoretico, restituiamo pieno valore all’immagine archetipica” (33).
In nome dell’anima mundi, Hillman vorrebbe dunque superare la sfera della soggettività rinunciando alla sfera degli archetipi in sé (degli archetipi noumenici) e conservando quella delle immagini archetipiche (degli archetipi fenomenici).
Dal momento, tuttavia, che la sfera soggettiva dell’anima (della psiche) si colloca tra le due sfere oggettive dello spirito e del corpo (fisico), non può far altro, avendo rinunciato a quella noumenica dello spirito, che uscire dalla sfera soggettiva per entrare in quella del corpo o della realtà sensibile.
Dalla lettura del suo libro, e in barba al proposito di pensare in “altro modo gli eventi” (34), emerge infatti il rischio di una regressione a chiavi interpretative di carattere socio-economico, se non addirittura politico (“Lo studio dell’analista potrebbe diventare una cellula rivoluzionaria, se la terapia situasse i nostri problemi più nel presente, e se orientasse la nostra attenzione nella direzione del mondo anziché soltanto verso l’interno”) (35).
“Il sogno – afferma Steiner (a proposito di “rivoluzioni”) – è una protesta nei confronti del modo in cui viviamo nel mondo fisico-sensibile tra lo svegliarsi e l’addormentarsi” (36). E perché è una “protesta”? Perché durante la veglia giudichiamo il mondo dal nostro punto di vista, mentre durante il sogno è il mondo a giudicare il nostro punto di vista.
(In ansia per questo, “pare che un gruppo di rivoluzionari russi – stando a quanto riferito da Almasi e Béguin – abbia chiesto un giorno al grande capo: “Compagno Lenin, possiamo sognare?” [37].)
Consapevole del fatto che un’immagine non può essere che il riflesso speculare di un contenuto che la trascende, Jung distingue l’immagine archetipica dall’archetipo in sé, ma non realizza che il regno degli archetipi in sé è il regno spirituale dei concetti o delle idee (dei lògoi). Hillman ne approfitta e, per far sì che le immagini si reggano su se stesse (afferrandosi magari per il codino come il barone di Münchausen), applica a tale “superfluo ingombro teoretico” il rasoio nominalista di Guglielmo di Ockham. Non si avvede di recidere così il ramo al quale ha appeso la propria teoria, e di fare perciò la medesima figura di chi, per restituire “pieno valore” alle piante, decidesse di sbarazzarsi del “superfluo ingombro” dei loro semi.
Né Freud né Jung (né tantomeno Hillman) hanno dunque realizzato, come sostiene ad esempio Eduard von Hartmann (1842-1906), che nell’inconscio sono presenti anche le idee.
Scrive Steiner: “Secondo Eduard von Hartmann dobbiamo porre a base del mondo l’idea, quale incosciente operante, prescindendo dal suo divenire cosciente. L’essenziale, in Hartmann, è che si cerchi l’idea in tutto ciò che è privo di coscienza. Ma col distinguere tra cosciente e incosciente non si è ancora fatto molto: questa distinzione, infatti, vale solo per la nostra coscienza. Bisogna affrontare l’idea nella sua obiettività, in tutta la pienezza del suo contenuto; non basta riconoscere che l’idea agisce inconsciamente, bisogna cercare che cosa sia questo quid che agisce” (38).
Il regno del sogno è dunque il regno delle idee inconsce (degli archetipi noumenici) che si presentano, durante il sonno, in forma di fantasie oggettive (immaginazioni). Che questo appaia, come dicono Almansi e Béguin, il “regno della vanvera” dipende solo dal fatto che gli uni lo affrontano con oggettività, ma senza fantasia (Freud), e gli altri con fantasia, ma senza oggettività (Jung).
Per poter comprendere il sogno quale inconscia fantasia oggettiva (quale espressione immaginativa di una ispirazione avuta nel sonno), gli si deve portare incontro una cosciente fantasia oggettiva: ovvero, quel primo grado di coscienza superiore detto, da Steiner, “immaginativo”. “Si conosce solo con la coscienza immaginativa – afferma – che cosa si svolge dietro la drammaticità del sogno” (39).
(Va tuttavia ricordato che per una corretta interpretazione dei sogni non basta la coscienza immaginativa, ma serve anche quella “ispirata” [40].)
Dice ancora Steiner: “Si capisce che cosa in sostanza vi sia alla base del sogno esercitandosi a prescindere del tutto dal suo contenuto e a seguire invece quella che chiamerei la drammaticità del sogno stesso: se cioè il sogno inizia ponendo una base con una certa immagine onirica per poi creare una tensione e uno svolgimento, o se vi è una diversa successione, o ancora se prima è presente una tensione e poi una soluzione” (41).
In altre parole, l’oggettività di tali inconsce fantasie risiede non nelle singole immagini, bensì nel tema, nel motivo o nel mitologema (Ernst Bernhard) che sono deputate a illustrare e svolgere (i cosiddetti “sogni ricorrenti” non sono, in realtà, che “motivi” ricorrenti).
Ricordiamo (42), per concludere, queste altre affermazioni di Steiner: il sogno “già conduce la coscienza ordinaria nel mondo spirituale”; il sogno rappresenta “ciò che gli Dei dicono agli uomini”; in quanto “detto”, “manifestazione degli Dei” o giudizio su “ciò che l’uomo è veramente” può “servire assolutamente d’indirizzo alla vita umana” e costituire un’esperienza “da cui l’uomo moderno può imparare moltissimo” (43).

P.S.
Riteniamo opportuno aggiungere il seguente ricordo anonimo, pubblicato da Georg Groddeck nel suo Satanarium, facendolo seguire da un passo di Steiner: “Anni fa mi trovai in mezzo a un gruppo di persone che discutevano sul materialismo. Sebbene dopo non ci avessi riflettuto molto, alcuni giorni più tardi sognai qualcuno che mi diceva che in un determinato luogo veniva data una spiegazione del materialismo e io mi recai colà. In fondo a un bel viale vidi, su di un’altura, una colonna che pareva fatta di puro cristallo, con sopra la scritta: il risultato della nostra scienza. Una grande folla si accalcava in quel luogo e anch’io mi avvicinai. Giunto alla colonna osai toccarla per un istante ma, nonostante il sole splendente, un gran freddo mi pervase, perché la colonna di cristallo era un enorme ghiacciolo. Mai più ho scordato quel sogno” (44).
Steiner: “L’intellettualità emana da Arimane come un cosmico impulso gelido, senz’anima. E gli uomini che vengono presi da quell’impulso sviluppano una logica che sembra parlare di per se stessa, senza pietà e senza amore (in realtà è Arimane che parla per suo mezzo), una logica in cui non si mostra per nulla il giusto e intimo collegamento dell’anima e del cuore con ciò che l’uomo pensa, dice e fa” (45).

Note:

01) A.S.Reber: Dizionario di Psicologia – Lucarini, Roma 1990, p. 781;
02) R.Steiner: Il karma e le professioni in relazione con la vita di Goethe – Antroposofica, Milano 1976, p. 51;
03) I.Oswald: Sonno e sogno – De Donato, Bari 1968, p. 9;
04) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 75;
05) I.Oswald: op. cit., pp. 38 e 71;
06) R.Steiner: La scienza occulta…, p. 141;
07) M.Jouvet: La natura del sogno – Theoria, Roma-Napoli 1991, p. 115;
08) ibid., pp. 45-46;
09) I.Oswald: op. cit., p. 66;
10) M.Jouvet: Il castello dei sogni – Longanesi, Milano 1992, pp. 42-43;
11) ibid., p. 90;
12) cfr. L’alfabetizzazione scientifica: ovvero “come ti erudisco il pupo” , 20 marzo 2001; Nervi “sensori” e nervi “motori” , 18 settembre 2004; “La grande imbrogliona” , 27 agosto 2010;
13) M.Jouvet: La natura del sogno, p. 117;
14) R.Steiner: La scienza occulta…, pp. 69 e 70-71;
15) M.Jouvet: La natura del sogno, p. 16;
16) R.Steiner: Conoscenza iniziatica – Istituto Tipografico Editoriale, Milano 1938, p. 123;
17) Guida alla musica sinfonica: a cura di Ettore Napoli – Zecchini, Varese 2010, p. 112;
18) M.Jouvet: La natura del sogno, p. 72;
19) I.Oswald: op. cit., p. 110;
20) cit. in M.Jouvet: La natura del sogno, p. 33;
21) R.Steiner: L’enigma dell’uomo – Antroposofica, Milano 1973, p. 26;
22) I.Oswald: op. cit., p. 79;
23) cit. in M.Jouvet: La natura del sogno, p. 31;
24) M-L.von Franz: Il mondo dei sogni – RED, Como 1990, pp. 20-21;
25) ibid., pp. 219-220;
26) cfr. K.Vonnegut: The Sirens of Titan – Coronet, London 1972;
27) G.Almasi-C.Béguin: Teatro del sogno – Mondadori, Cles (TN) 1991, pp. 15-16-17;
28) G.G.Belli: I sonetti – Mondadori, Verona 1952, vol. II, p. 1849;
29) R.Steiner: Conoscenza iniziatica, pp. 442-443;
30) J.Hillman-M.Ventura: 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio – Garzanti, Milano 1993, pp. 125 e 180;
31) ibid., p. 63;
32) ibid., p. 62;
33) J.Hillman: Ananke e Atena in La vana fuga dagli Dei – Adelphi, Milano 1991, p. 165-166;
34) J.Hillman-M.Ventura: 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, p. 131;
35) ibid., p. 56;
36) R.Steiner: Il corso dell’anno come respiro della Terra – Antroposofica, Milano 2006, p. 118;
37) G.Almasi-C.Béguin: op. cit., p. 13;
38) R.Steiner: Le opere scientifiche di Goethe – Melita, Genova 1988, pp. 164-165;
39) R.Steiner: L’antroposofia e le scienze – Antroposofica, Milano 1995, p. 59;
40) cfr. L.Russo: Due sogni, 25 aprile 2014;
41) R.Steiner: L’antroposofia e le scienze, p. 133;
42) cfr. L.Russo: Freud, Jung, Steiner, 7 febbraio 2015;
43) R.Steiner: Conoscenza iniziatica, p. 191;
44) G.Groddeck: Satanarium – Il Saggiatore, Milano 1996, p. 187;
45) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 102.

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Di Lucio Russo
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